Quinto
ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
di Quaresima
IV Domenica
(15 marzo
2015)
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2Cr
36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21
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La prima
lettura, tratta dal secondo libro delle Cronache, si conclude con l’invito ai
deportati in Babilonia a salire a Gerusalemme e tornare a godere dell’alleanza
che Dio rinnova loro. Questa pagina conclude la terza parte, denominata Scritti, della Bibbia ebraica; è
l’ultima pagina della Bibbia secondo la disposizione del canone ebraico. La
liturgia di oggi collega il salire a
Gerusalemme, così tipico della tensione dell’anima e della storia degli ebrei,
con il salire di Gesù alla città santa
per la sua Pasqua, per l’esaltazione
sulla croce, argomento del suo colloquio con Nicodemo. L’alleanza di Dio con il
popolo è rivisitata con l’immagine dell’offerta della salvezza in Gesù da parte
del Padre che “ha tanto amato il mondo da
dare il Figlio unigenito”, come proclama il canto al vangelo.
La grandezza
di questo amore per il mondo da parte del Padre si manifesta proprio
nell’innalzamento di Gesù. Ma quell’innalzamento corrisponde al suo essere
crocifisso. Mistero, che assai più tardi, l’apostolo Giovanni nella sua prima
lettera definisce così: “In questo
abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi;
quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16).
L’espressione ‘ha dato la vita’, letteralmente dovrebbe rendersi: ‘ha posto la
sua anima’, che richiama il passo di Is 53,12: “ha
spogliato se stesso fino alla morte”.
La sfumatura
di significato risulta essere ormai questa. Gesù non solo ha dato la vita per
noi, ma ha dato la vita a noi, quella vita che nemmeno l’ingiustizia più
obbrobriosa, la violenza più ignominiosa, riesce a scalfire, a mortificare, a
sopprimere, perché quella vita è amore effuso. Quell’amore deriva dall’alto, da
Dio, che così svela il suo segreto per il mondo. Gesù ne dà testimonianza con
due allusioni: la prima, al sacrificio di Abramo del figlio Isacco, l’unico,
l’amato, (Gen 22,2) [ciò che ad Abramo Dio risparmia,
Dio lo vive fino in fondo] e la seconda, al serpente di bronzo secondo la
narrazione di Numeri 21,4-9. Come il serpente di bronzo innalzato nel deserto
recava guarigione (letteralmente: vita) a coloro che l’avessero guardato, così
sarà di Gesù quando sarà innalzato sulla croce. Gesù sta istruendo Nicodemo; lo
sta introducendo al mistero di Dio, al mistero dell’immenso amore di Dio per
l’uomo che in Gesù riceve il suo sigillo definitivo, ultima e ultimativa
rivelazione di Dio. La forza del ragionamento di Gesù sta in un particolare:
l’altezza, il fatto che per dare salvezza Gesù debba essere innalzato. Questo
particolare nasconde la modalità della rivelazione di Dio e costituisce perciò
per l’uomo l’accesso a quella rivelazione. È da quell’altezza che ci viene la
vita eterna, perché da quell’altezza si rivela in tutto il suo splendore
l’amore del Padre per l’uomo e l’intimità del Figlio con Lui che di quello
splendore è il testimone per eccellenza. Perché quell’altezza? Di cosa parla
quell’altezza?
Spesso gli
antichi crocifissi, al posto dell’iscrizione di condanna (in latino, INRI= Gesù
nazareno re dei giudei) portavano il titolo ‘re della gloria’. È la gloria di
un amore che manifesta la sua radice dall’alto proprio quando dal basso viene
vilipeso e calpestato. È la gloria di un amore che rimane libero nel suo dono
proprio quando è rifiutato e negletto. Ma, come dice Gesù: “Nessuno è mai salito al cielo fuorché il
Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo”. Da interpretare oramai: non si
può salire al cielo se non discendendo. L’innalzamento della croce mostra la
reale discesa di Dio fino all’uomo, fino a consegnarsi all’uomo, fino a star
sottomesso all’uomo che lo tradisce e lo calpesta. E proprio perché custodisce
la sua divinità nell’essere calpestato, rivela tutta la potenza di un’umanità
che è irraggiamento dello splendore di Dio, un’umanità che tutta si muove
nell’amore perché sia vinto l’odio, perché il mondo torni ancora a risplendere
della presenza di Dio. Così anche per noi non esiste altro modo di salire a Dio
se non quello di discendere, di stare sottomessi perché risplenda l’amore di
Dio. Quando s. Francesco di Assisi parla di perfetta letizia allude proprio a
questo mistero.
Operare la
verità (“chi fa la verità viene verso la
luce”) è un’espressione semita che si riferisce al fatto di mettere in
pratica i comandamenti. Ma la sfumatura essenziale di significato è: i
comandamenti non sono causa di meriti, ma autorivelazione di Dio che
partecipano, all’uomo che li accoglie, la Sua stessa vita, che è amore per noi.
Ciò significa che i comandamenti ci aiutano a ritrovare quella ‘umanità’,
rivelata dal Signore Gesù, che costituisce la vocazione dell’uomo e che in Gesù
riceve il suo sigillo. Se Dio risplende nell’umanità perché sta sottomesso
all’uomo fino a farsi calpestare senza lasciarsi distrarre dal suo amore di
benevolenza, anche l’uomo vedrà lo splendore di Dio se sta sottomesso ai suoi
fratelli senza lasciarsi vincolare da ingiustizie o malvagità pur di non uscire
dall’amore. E se avrà lo sguardo fisso su Colui che di quell’amore, ferito e
appassionato, è il testimone per eccellenza, potrà rimanere nel Suo amore nei tormenti
dell’esistenza e far fiorire l’umanità.
Se Gesù si
premura di ricordare a Nicodemo e ai suoi discepoli che il Figlio dell’uomo
deve essere innalzato, vuol dire che si tratta di un evento che non risponde
alle nostre attese, che noi non avremmo mai immaginato si dovesse passare per
quella strada, perché comporta la rivelazione di un segreto di Dio. E non solo
di un segreto nel senso che ci fa conoscere qualcosa che fino ad allora non era
noto, ma di un segreto nel senso che caratterizza l'intima vita di Dio e quindi
caratterizzerà l'intima vita dei suoi figli. Se Gesù deve essere innalzato,
deve morire in croce, non è solo in ragione del peccato dell'uomo, ma della
manifestazione del segreto della vita divina che a tutti verrà comunicata in
modo da vivere di quella pienezza che appartiene solo a Dio. Gesù è l'Agnello
immolato fin dalla fondazione del mondo, come suggerisce il testo
dell'Apocalisse 13,8 letto secondo la volgata (“in libro vitae Agni, qui occisus est ab origine mundi”). Il mistero adombrato dalla
Parola di Dio è che la sofferenza non è legata al peccato, ma al dono
dell'essere da parte di Dio, alla creazione stessa e quindi alla natura della
stessa vita trinitaria che Gesù è venuto a svelarci e a comunicarci perché ne
diventiamo partecipi e possiamo così non subire più la morte.
L’aspetto
straordinario di questa rivelazione è svelato da Paolo nella sua lettera agli
Efesini: “Siamo infatti opera sua, creati
in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse
camminassimo” (Ef 2,10). Significa che quando
facciamo il bene accogliamo l’amore eterno di Dio nello spazio del nostro tempo
perché la sua presenza risplenda nella nostra umanità. E se potessimo vedere
che tutto nella nostra vita è finalizzato a questo, beati i nostri occhi e
beato il cuore capace dei segreti di Dio!
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 2
Cr 36,14-16.19-23
Dal secondo libro delle Cronache
In quei
giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro
infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il
tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme.
Il Signore,
Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad
ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi
si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i
suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il
culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del
Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi
palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re [dei
Caldei] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi
e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola
del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra
non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della
desolazione fino al compiersi di settanta anni».
Nell’anno
primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore
pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò
lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno,
anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo,
mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli
un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo
popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 136
Il ricordo di te, Signore, è la nostra
gioia.
Lungo i
fiumi di Babilonia,
là sedevamo
e piangevamo
ricordandoci
di Sion.
Ai salici di
quella terra
appendemmo
le nostre cetre.
Perché là ci
chiedevano parole di canto
coloro che
ci avevano deportato,
allegre
canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci
canti di Sion!».
Come cantare
i canti del Signore
in terra
straniera?
Se mi
dimentico di te, Gerusalemme,
si
dimentichi di me la mia destra.
Mi si
attacchi la lingua al palato
se lascio
cadere il tuo ricordo,
se non
innalzo Gerusalemme
al di sopra
di ogni mia gioia.
Seconda Lettura
Ef 2,4-10
Dalla lettera di san Paolo apostolo
agli Efesìni
Fratelli,
Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da
morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia
siete salvati.
Con lui ci
ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per
mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante
la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia
infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di
Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera
sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in
esse camminassimo.
Vangelo Gv 3,14-21
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè
innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio
dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti
ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in
lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il
Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per
mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il
giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le
tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa
il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano
riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».