Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
di Quaresima
III Domenica
(8 marzo 2015)
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Es
20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
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La liturgia oggi collega la santità della Legge alla
santità del Luogo dove celebrarla, che non è più il tempio di pietra, ma il
corpo del Signore Gesù, nel quale “abita
corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,8). L’episodio della
cacciata dei venditori dal tempio ne è la profezia e il simbolo
contemporaneamente. Il racconto di Giovanni comporta molte allusioni all’attesa
del Messia. Chiama la festa ‘pasqua dei giudei’ (e continuerà a chiamarla così
fino al cap 11,55) per distinguerla dalla ‘pasqua’ che Gesù stesso vivrà, come
compimento della ‘pasqua del Signore’ descritta in Es 12,11. Gesù costruisce
una frusta di cordicelle, che corrisponde al flagello messianico, secondo
antichi racconti ebraici, nella sua opera di purificazione dal male e che
riprende due tradizioni profetiche, quella di Zaccaria 14,21 (“In quel giorno non vi sarà neppure un
mercante nella casa del Signore degli eserciti”) e di Malachia “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che
giunga il giorno grande e terribile del Signore”). Quando Gesù risponde ai
capi che gli chiedono un segno di autenticazione della sua autorità, dice: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo
farò risorgere”. Il termine che usa, però, non è ‘tempio’ riferito al
complesso degli edifici (Gesù scaccia i venditori dal recinto del tempio, luogo
al quale anche i pagani potevano accedere) ma alla cappella interna, al ‘Santo
dei santi’ dove era creduta sussistere la Presenza. Riprende l’immagine della
tenda nel deserto, luogo della Presenza del Signore.
Se gli apostoli si ricordano del salmo 69,10: “mi divora lo zelo per la tua casa”,
applicandolo a Gesù, non per questo riescono a cogliere il significato vero
dell’azione di Gesù. La interpretano ancora nell’ottica del Messia restauratore
della santità del Tempio e della Legge, come del resto faranno gli altri di cui
si dice che credono in Gesù ma di cui Gesù non si fida. Nessuno è ancora pronto
a riconoscere la portata vera di ciò che intende Gesù. Solo con la sua Pasqua
tutto si potrà vedere in modo aperto e vero. Solo con la sua Pasqua la santità
della Legge si compirà in ‘grazia e verità’, secondo la grandezza dell’amore
misericordioso del Signore che attira tutti a Sé. Solo allora risulterà
fondante di ogni possibile santità la fede in quel Gesù che, come esprime il
canto al vangelo riprendendo una sua espressione nel colloquio con Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il
Figlio unigenito”.
Nella presentazione delle Dieci Parole nel libro
dell’Esodo, l’espressione che dà fondamento e senso a tutte le parole è quella
iniziale: “Io sono il Signore, tuo Dio”.
Senza l’esperienza di quel ‘tuo Dio’ non sarà possibile accogliere e vivere
nella sua estensione la serie dei comandamenti. Quel ‘tuo’ si riferisce ad una esperienza
tipica: la liberazione dalla condizione servile, la liberazione dalla schiavitù
dell’Egitto. Se applichiamo quella solenne dichiarazione: “Io sono il Signore,
tuo Dio” al Signore Gesù che con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal
male e dalla schiavitù del peccato, allora tutte le parole del Signore
suoneranno con altra risonanza nel nostro cuore.
Il ritornello del salmo lo sottolinea con le parole di
Pietro in risposta alla tristezza di Gesù per l’incomprensione del suo parlare:
“Signore, da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna” (Gv 6,68). E il salmo 18, soprattutto nella sua redazione
greca della LXX, scolpisce a fuoco nel cuore il senso di quella fiducia nel
Signore Gesù e nella sua parola di vita. Accogliendo quel Figlio, dato a noi
nella sua morte e risurrezione, il suo comandamento ci riporta a integrità e
armonia nel nostro essere (è immacolato), con la sua sapienza dall’alto ci fa
bambini desiderosi del Padre e del suo Regno (è fedele), infonde gioia al cuore
(è retto), ci ridà uno sguardo luminoso per tutto e per tutti (è splendente),
in modo da farci vivere i giudizi del Signore nella nostra vita come
espressione del suo amore misericordioso di cui aneliamo l’esperienza. E
siccome tutto questo lo viviamo in fragilità e precarietà, restiamo umili
domandando di essere liberati dal male che non riusciamo a padroneggiare o a
vedere, cercando di tenerci sempre alla sua presenza, nella verità della sua
parola che sempre parla al nostro cuore.
La conferma della sapienza dall’alto, che apre a noi
la verità della sua parola, si fonda sull’apertura di credito alla dinamica di
rivelazione di Gesù, come ci suggerisce la seconda lettura della lettera di
Paolo ai Corinzi: “Infatti ciò che è
stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è
più forte degli uomini” (1Cor 1,25). È proprio quella ‘debolezza’ che i
capi dei giudei non hanno compreso, che i discepoli hanno stentato molto a
comprendere, che i nostri cuori temono perfino di comprendere ma che
costituisce l’unica via di grazia per l’esperienza dell’amore di Dio.
Come canta l’antifona d’ingresso, da dentro
l’accoglimento della ‘debolezza’ di Dio in Gesù, possiamo dire: “I miei occhi sono sempre rivolti al Signore…”.
I nostri occhi sono rivolti al Signore per cercare in ogni evento la traccia
del suo passaggio al fine di seguirlo e poterlo conoscere; per cercare in ogni
pensiero la scintilla divina che attiri a lui e apra uno spazio di visione del
suo volto. Il fatto che i nostri occhi siano rivolti al Signore esprime la
tensione del cuore che non si perde nelle cose, ma delle cose cerca il senso;
che non si confonde con i suoi pensieri, ma li apre al sogno che racchiudono
per compierli in verità. Sarà la Pasqua del Signore per noi.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Es
20, 1-17
Dal libro dell'Esodo
[ In quei
giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti
ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai
altri dèi di fronte a me. ]
Non ti farai
idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù
sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai
davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio
geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta
generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a
mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
[ Non
pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia
impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati
del giorno del sabato per santificarlo. ] Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo
lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai
alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua
schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché
in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in
essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il
giorno del sabato e lo ha consacrato.
[ Onora tuo
padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il
Signore, tuo Dio, ti dà.
Non
ucciderai.
Non
commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non
pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non
desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo
prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino,
né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». ]
Salmo Responsoriale
dal Salmo 18
Signore, tu hai parole di vita
eterna.
La legge del
Signore è perfetta,
rinfranca
l’anima;
la
testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio
il semplice.
I precetti
del Signore sono retti,
fanno gioire
il cuore;
il comando
del Signore è limpido,
illumina gli
occhi.
Il timore
del Signore è puro,
rimane per
sempre;
i giudizi
del Signore sono fedeli,
sono tutti
giusti.
Più preziosi
dell’oro,
di molto oro
fino,
più dolci
del miele
e di un favo
stillante.
Seconda Lettura
1 Cor 1, 22-25
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece
annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani;
ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio
e sapienza di Dio.
Infatti ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di
Dio è più forte degli uomini.
Vangelo Gv
2,13-25
Dal vangelo secondo Giovanni
Si
avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio
gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora
fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e
i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai
venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della
casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta
scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i
Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste
cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in
quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del
tempio del suo corpo.
Quando poi
fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto
questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a
Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli
compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché
conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo.
Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.