Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
di Pasqua
V Domenica
(3 maggio 2015)
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At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8
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L’immagine
della vite ha risonanze profondissime nelle Scritture, soprattutto in rapporto
alle premure di Dio per il suo popolo. Si possono leggere i passi di Os 10,1,
Is 5,1-7, Ger 2,21. In particolare, però, la vite ricorre nelle parabole di
Gesù: nella parabola degli operai inviati alla vigna (Mt 20,1-16), nella
parabola dei due figli invitati ad andare a lavorare nella vigna (Mt 21,28-30)
e, con accenti assolutamente evocativi, nella parabola dei vignaioli assassini
(Mt 21,33-42) dove l’amore di Dio per il suo popolo appare proprio folle.
La vite, per
il vino che se ne ricava pestando gli acini e facendo fermentare il mosto,
richiama il sacrificio pasquale di Gesù; il vino, frutto della vite, richiama
il sangue, il mistero eucaristico, lo Spirito Santo, il regno di Dio.
Nell’orizzonte
di questi riferimenti, l’immagine della vite e dei tralci comporta un collegamento
che tiene insieme tutto il vangelo. Secondo la narrazione di Giovanni, la prima
domanda che gli apostoli fanno a Gesù è: “Rabbì,
dove dimori?” (Gv 1,38). Gesù li invita a venire da lui e a costatare di
persona e il vangelo annota: “quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,39). Ma a
quel tempo, i discepoli potevano al massimo rimanere con Gesù, non rimanere in
Gesù. Tutto il racconto evangelico della sequela di Gesù da parte dei discepoli
non è che la descrizione del passaggio dal rimanere con lui al rimanere in lui.
Alla primitiva domanda dei discepoli Gesù in realtà risponde nell’Ultima Cena
allorquando rivela dove effettivamente lui dimora, cioè nell’amore del Padre
per i suoi figli. Lì lo devono cercare e lì devono rimanere. Non solo, ma Gesù
rivela ciò che sperimenteranno i discepoli con la sua morte e risurrezione: “ …
verrò di nuovo e vi prenderò con me,
perché dove sono io siate anche voi”. La conferma assoluta che lui si trova
nell’amore del Padre per noi avverrà con la sua morte e risurrezione e sarà su
questa conferma che i discepoli potranno ormai, non semplicemente stare con
Gesù, ma stare in Gesù.
I verbi
‘dimorare’, ‘rimanere’, ‘stare’, in greco sono espressi da un unico verbo, su
cui si fonda plasticamente l’immagine della vite e dei tralci, riassunta dalle
parole di Gesù: “Io sono la vite, voi i
tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me
non potete far nulla” (Gv 15,5). Rimanere
in Gesù, ecco l’unico verbo che attraversa tutto il vangelo dall’inizio alla
fine.
La
motivazione del rimanere in Gesù riguarda il portare frutto. Ci possiamo allora
domandare: cosa significa portare frutto? La prima lettura, con la conversione
e la testimonianza di Saulo, ormai Paolo, nel movimento di diffusione del
vangelo nel mondo, sembra rispondere: nel diventare discepoli di Gesù. Ma se
continuiamo a domandarci: cosa significa in verità diventare discepoli di Gesù,
allora ci accorgiamo che il rimanere in Gesù esprime tutto un movimento
incredibile. Si tratta di un continuamente sperimentato movimento di adesione,
di inabissamento, di radicamento in Gesù, finché tutto di noi sia dentro la
dinamica di rivelazione che ha caratterizzato lui, vale a dire: tutto il suo
essere e agire, tutta la sua vita, non è che rivelazione dell’amore sconfinato
del Padre per noi. In quell’amore tutto confluisce in unità, perché su tutto e
in tutti splenda il suo amore salvatore. Ora, Gesù aveva dichiarato: “quando sarò innalzato da terra, attirerò
tutti a me” (Gv 12,32). E quando i discepoli, a loro volta, nell’occasione
del possibile martirio, potranno dire: ‘quando saremo perseguitati attireremo
tutti a Gesù’, potrà esprimersi quel frutto che il Padre cerca, quel molto
frutto di cui parla Gesù. Verrà cioè moltiplicato nel mondo il frutto del suo
amore. Tanto che l'amore al prossimo da parte dei discepoli di Cristo non
rivela in primo luogo la generosità degli uomini, ma la loro fede sincera,
l'attaccamento al loro Signore, la condivisione di un'intimità di vita e di
affetti, nello Spirito, capace di vivere un'umanità trasfigurata. Proprio come
abbiamo chiesto nella colletta: “ ...perché, amandoci gli uni gli altri di
sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di
santità e di pace”. La santità si riferisce al fatto di “avere lo Spirito del
Signore e la sua santa operazione”, come dice s. Francesco d'Assisi e la pace
riguarda la ritrovata comunione con Dio, in Cristo, che si espande e dilaga su
tutto, senza più avanzare rivendicazioni di sorta che ne limiterebbero lo splendore
e la portata. Ma come poter sognare di vivere questa realtà se non rimanendo in
Cristo, sempre, comunque, a tutti i costi; se non operando perché le sue parole
rimangano in noi, sempre, comunque, a tutti i costi?
In effetti,
come segnale indicatore di questo scenario vale l’affermazione di Gesù a
proposito della preghiera: “Se rimanete
in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà
fatto” (Gv 15,7). Al discepolo viene promesso quello che Gesù dice di se
stesso: “Io sapevo che sempre mi dai
ascolto …” (Gv 11,42), allorquando Gesù si accinge a far risorgere l’amico
Lazzaro. Quel ‘vi sarà fatto’ allude proprio alla realtà che nulla e nessuno
potrà in noi oscurare e sopprimere quel dinamismo di rivelazione dell’amore del
Padre per noi, in qualsiasi circostanza. Non che non ci insidieranno i nostri
peccati e le nostre fragilità, ma ritorneremo sempre allo splendore dell’amore
suo, che non verrà mai meno.
Posso ancora
aggiungere un aspetto rispetto al portar frutto che riguarda anche
l’intelligenza delle Scritture, colte nella loro capacità di rivelare al nostro
cuore il mistero di Dio nella sua volontà di salvezza per l’uomo. Il segreto
delle Scritture è il segreto di Dio, che ha sempre a che fare con la vocazione
dell’uomo alla gioia del suo Dio. E il frutto per l’uomo sta proprio nel vivere
secondo quel segreto, nella potenza che quel segreto comunica. Non si tratta
tanto di venire a conoscenza di qualche dato di verità, ma di venir sopraffatti
dalla rivelazione di un segreto che ti abilita a un’esperienza, capace per sua
stessa natura, data la sua radice dall’alto, di inglobare tutti.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[Tutti i testi sono protetti dal © Libreria Editrice
Vaticana. È vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, dei
suddetti testi]
Prima Lettura At
9, 26-31
Dagli Atti degli Apostoli
In quei
giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti
avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo.
Allora
Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come,
durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in
Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con
loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del
Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di
ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo
fecero partire per Tarso.
La Chiesa
era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava
e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva
di numero.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 21
A te la mia lode, Signore, nella
grande assemblea.
Scioglierò i
miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri
mangeranno e saranno saziati,
loderanno il
Signore quanti lo cercano;
il vostro
cuore viva per sempre!
Ricorderanno
e torneranno al Signore
tutti i
confini della terra;
davanti a te
si prostreranno
tutte le
famiglie dei popoli.
A lui solo
si prostreranno
quanti
dormono sotto terra,
davanti a
lui si curveranno
quanti
discendono nella polvere.
Ma io vivrò
per lui,
lo servirà
la mia discendenza.
Si parlerà
del Signore alla generazione che viene;
annunceranno
la sua giustizia;
al popolo
che nascerà diranno:
«Ecco
l’opera del Signore!».
Seconda Lettura
1 Gv 3, 18-24
Dalla prima lettera di san Giovanni
apostolo
Figlioli,
non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo
conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro
cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e
conosce ogni cosa.
Carissimi,
se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque
cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e
facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il
suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo
gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi
comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane
in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Vangelo Gv 15,
1-8
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è
l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri,
a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in
me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non
rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi
i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me
non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e
secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete
in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà
fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e
diventiate miei discepoli».