Quinto
ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
di Pasqua
IV Domenica
(26 aprile
2015)
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At 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18
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La confessione del Risorto come il
Vivente, Colui sul quale la morte non ha più potere, in questo periodo
pasquale, comporta due verità strettamente collegate: anzitutto la realtà che Gesù
e il Padre siano una cosa sola e poi che Gesù sia il Redentore, cioè Colui che
introduce l'umanità alla piena comunione con Dio. La figura del 'buon pastore',
come risalta dal brano evangelico odierno, prende tutto il suo spessore se si
collega a queste due verità.
Prima però di definirsi ‘il pastore
buono’ (in greco è usato l’aggettivo: bello), Gesù si presenta come colui che
entra dalla porta perché è conosciuto dal guardiano. Poco oltre Gesù dirà: “il
Padre conosce me e io conosco il Padre”. Tale conoscenza è definita in
rapporto al loro amore, totalmente condiviso, per le pecore. Quando Gesù dice
che conosce il Padre allude fondamentalmente all’unità del loro sentire e agire
in rapporto ai figli, che il Padre vuole nella piena comunione con Sé per partecipare
loro la gioia del suo amore. La conferma la possiamo dedurre dall’espressione
di Gesù: “Per il questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi
riprenderla di nuovo” (Gv 10,17).
È proprio ciò che viene suggerito
con la seconda immagine che Gesù si applica: lui è la porta (cfr Gv 10,7). È la porta che
introduce alla comunione della gioia dell’amore del Padre: “io sono venuto
perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv
10,10). È l’abbondanza messianica, quel ‘di più’ che solo il Messia poteva
ottenerci e tale che sopravanza ogni tipo di merito perché ciò che riempie il
cuore dell’uomo è solo questa sovrabbondanza che proviene da lui e non la
giustizia che proviene dalle nostre opere. Se il vangelo definisce questa porta
come la porta stretta è perché l’uomo con fatica abbandona la sua pretesa di
giustizia per far posto a tale sovrabbondanza.
Con la terza immagine: ‘io sono il
buon pastore’ Gesù allude al come ci ha gratificato della vita in abbondanza,
dandoci cioè la sua. Il testo evangelico, a dire la verità, è più preciso. Non
dice semplicemente che dà la vita per noi, ma che la pone, la mette a
disposizione, la mette in gioco totalmente, la vive per noi. L’allusione è che
Gesù, che pone la sua vita per noi, va colto nel mistero del Padre che gli ha
comandato questo, nel mistero dell’amore eterno di Dio per i suoi figli. Per
questo la colletta può pregare: O Dio, creatore e Padre, che fai risplendere la
gloria del Signore risorto quando nel suo nome è risanata l’infermità della condizione
umana, raduna gli uomini dispersi nell’unità di una sola famiglia, perché
aderendo a Cristo buon pastore gustino la gioia di essere tuoi figli”.
Dignità filiale, che Giovanni, nella
sua prima lettera, definisce in questi termini: “vedete quale grande amore
ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente …
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato
ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo
simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,1-2). È guardando
a Gesù, morto e risorto per noi, che tale verità emerge nei cuori e dà senso a
tutta la nostra storia, che è sempre storia sacra, una storia d’amore del
nostro Dio con noi. Ciò che il paradiso svelerà sarà semplicemente questo: sarà
un’esplosione di umanità allorquando tutto sarà visto percorso da questa
abbondanza di amore, e precisamente in tutto ciò in cui si è espressa la nostra
vita. Non solo tutto sarà consumato nell’amore ma che tutto è stato intriso di
questo amore. Come può questa esperienza non generare un inno di lode modulato
in infiniti modi, sempre rinnovato?
Quando Pietro dichiara: “In
nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato
agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12), allude
alla dinamica di amore del Padre che ha accolto e raccolto tutti i suoi figli
nell’unico Figlio, testimone del suo amore per noi. È una dichiarazione
inclusiva, non esclusiva. Non vuol dire che non ci si salva se non per mezzo di
Gesù, ma che ogni ricerca di salvezza, comunque sia vissuta dagli uomini, è
mediata da Gesù, a lui si riferisce, perché a lui guarda il Padre, perché in
lui riposa tutta la sua compiacenza.
Ora, la ragione di amore del Padre
per il Figlio, è la stessa ragione di amore che vale per i discepoli di Gesù.
Gesù è amato dal Padre perché pone la sua vita per noi, così noi siamo amati da
Gesù perché poniamo la nostra vita per i fratelli. Non è una ragione di merito,
ma una ragione fontale, di sorgente. Vale a dire, possiamo scoprire l’amore di
Dio nel fatto di porre la nostra vita per i fratelli e lo possiamo fare
nell’energia di Colui che ce l’ottiene con la sua morte e risurrezione. Per
questo Giovanni dice che Gesù è stato inviato e muore in croce “per riunire
insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv
11,52). Se Gesù è il buon pastore, lo è per questo.
Di fronte ad ogni tipo di
ingiustizia, di afflizione, di oppressione, interiore e esteriore, potessimo
dire con Gesù: "Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia
vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me
stesso"! Significherebbe diventare collaboratori con Dio alla sua
opera di salvezza, quella di radunare i figli di Dio
dispersi; significherebbe non permettere che il nostro cuore ceda alla
divisione con qualche fratello scavando fossati o respingendolo lontano da noi,
perché in tal caso daremmo più importanza all'agire di un uomo che all'agire di
Dio e ci sottrarremmo alla comunione con Lui che non ha altro desiderio se non
quello di attrarre alla sua comunione tutti i suoi figli.
L’amore del Padre si rivela in Gesù
perché Gesù lascia che quell’amore, che in Lui riposa pieno, si espanda e
conquisti tutti fino a far vivere tutti di quello stesso amore. Quando dice che
il buon pastore conosce le sue pecore e le sue pecore conoscono lui allude al
fatto che l’amore per loro, frutto dell’amore del Padre che su di lui riposa, è
la ragione stessa della sua vita, la ragione che non permette a nessun’altra di
avere voce nel suo cuore. E le pecore possono conoscere lui perché conoscono
questo suo amore, che rivela loro la bontà di Dio per loro. Ma tale è la
dinamica di ogni amore: conosco se dò la vita; solo se metto a disposizione
dell’altro la mia vita potrò conoscerlo perché la conoscenza proviene e conduce
all’amore. È il dono del Risorto a coloro che credono in lui. È la speranza che
la chiesa deve al mondo per la sua fede nel Risorto che la raduna.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura At
4, 8-12
Dagli Atti degli Apostoli
In quei
giorni, Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro:
«Capi del
popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un
uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, sia noto a tutti
voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi
avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi
risanato.
Questo Gesù
è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la
pietra d’angolo.
In nessun
altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli
uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 117
La pietra scartata dai costruttori è
divenuta la pietra d’angolo.
Rendete
grazie al Signore perché è buono,
perché il
suo amore è per sempre.
È meglio
rifugiarsi nel Signore
che
confidare nell’uomo.
È meglio
rifugiarsi nel Signore
che
confidare nei potenti.
Ti rendo
grazie, perché mi hai risposto,
perché sei
stato la mia salvezza.
La pietra
scartata dai costruttori
è divenuta
la pietra d’angolo.
Questo è
stato fatto dal Signore:
una
meraviglia ai nostri occhi.
Benedetto
colui che viene nel nome del Signore.
Vi
benediciamo dalla casa del Signore.
Sei tu il
mio Dio e ti rendo grazie,
sei il mio
Dio e ti esalto.
Rendete
grazie al Signore, perché è buono,
perché il
suo amore è per sempre.
Seconda Lettura
1 Gv 3, 1-2
Dalla prima lettera di san Giovanni
apostolo
Carissimi,
vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio,
e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha
conosciuto lui.
Carissimi,
noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora
rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili
a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Vangelo Gv 10, 11-18
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita
per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non
appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le
rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il
buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il
Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho
altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo
guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo
pastore.
Per questo
il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere
di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».