Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XXXII Domenica
(8 novembre
2015)
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1 Re 17,10-16;
Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12,38-44
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Nella
liturgia di oggi qualcosa di strano risuona per il nostro modo di ragionare.
Dio ordina al profeta Elia di rifugiarsi a Sarepta, in territorio pagano,
perché una vedova provvederà a lui, ma quella donna non ha di che sfamarlo.
Come vedova già viveva di elemosine e ora che è tempo di carestia raccoglie
solo briciole. Eppure proprio a lei il profeta viene inviato per la sua
sopravvivenza. Prima, nella sua solitudine, il profeta riceveva cibo dai corvi,
termine che alcuni commentatori rendono con ‘arabi’ intendendo che un israelita
viene aiutato proprio da uno straniero. Gesù, che si è messo in posizione di
osservazione davanti al tesoro del tempio, elogia una povera vedova per i due
spiccioli che vi aveva buttato restando senza più risorse lei per vivere.
Tutta la
liturgia di oggi può essere letta come il commento della Chiesa alla prima
beatitudine cantata nel versetto all’alleluia: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt
5,3), secondo l’elogio che Gesù tributa ad una povera vedova a sua insaputa.
L’antifona alla comunione ne svela la ragione la ragione profonda: “Il Signore è il mio pastore, non manco di
nulla ...”. Di questa certezza era colmo il suo cuore, certezza che fa dire
a Gesù: “In verità io vi dico: questa
vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria,
vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Gesù,
elogiando la vedova, vuol esaltare un tipo di legame, di attaccamento, di
comportamento dei cuori tra Dio e i suoi servi. La vedova, nel dare tutto
quello che aveva per vivere, fa affidamento alla promessa di Dio che, nella sua
grandezza e generosità, non lascerà mancare il necessario ai suoi servi. Quella
donna, che vuole ottemperare al comando di Dio di portare l’offerta al tempio,
come era richiesto a tutti gli ebrei, si fida del suo Dio, con tutto il suo
cuore. E come sempre, la promessa di Dio, per rivelarsi nella sua gratuità, non ha bisogno di sfruttare
nulla che appartenga all’uomo. Dio in effetti ha soltanto bisogno dello spazio
di un cuore che si faccia semplicemente e totalmente accogliente, anche quando
le apparenze sembrano giocare a sfavore.
Traducendo
letteralmente si potrebbe rendere: “i ricchi hanno preso sul loro superfluo,
lei, vedova, ha preso sulla sua indigenza tutto quello che aveva, che
costituiva tutta la sua vita”. Oppure, ancora più significativamente: “dalla sua mancanza gettò tutto quanto aveva,
tutta la sua vita”. Il nostro Dio è un Signore strano: non chiede né poco
né tanto né tutto; chiede quello che non hai. Il gesto della vedova, che trae
dalla sua mancanza quello che costituiva la sua vita, assume una valenza
spirituale paradigmatica. Basta pensare ai comandamenti. Dio ci comanda: “siate
miti … portatori di pace … misericordiosi …”. Uno dà quello che ha, questa è la
norma dell’agire tra gli uomini. Con Dio non vale: uno deve dare quello che non
ha per averlo anche lui. Così, io, che non sono affatto mite, che non sono
affatto in pace, sono richiesto di usare mitezza, di portare pace. Ma come è
possibile? Sulla promessa della fedeltà di Dio al suo comandamento. Dare
mitezza in nome di Dio a un fratello vuol dire fidarsi totalmente della
promessa che farà gustare anche al mio cuore quella mitezza. Ed in questo gusto
trovare finalmente la compagnia di colui che il mio cuore ama. Perché se già
non lo amassi, come farei a fidarmi? Per questo la vedova è tanto elogiata da
Gesù. Il fidarsi del suo Dio rivela il suo amore per lui, per tutte le sue
cose, vale a dire il tempio e il popolo per cui si portavano le monete al
tesoro. E in cambio tutta la sua vita resta assicurata, in modo inspiegabile,
sulla fedeltà di Dio.
Come annota
Madeleine Delbrel commentando la prima beatitudine: “Non pensate che la nostra
gioia sia trascorrere i giorni a vuotare le nostre mani, le nostre menti, i
nostri cuori. La nostra gioia è trascorrere i giorni a scavare nelle nostre
mani, nelle nostre menti, nei nostri cuori un posto per il Regno dei Cieli che
passa. Perché è straordinario saperlo così imminente, saper Dio così vicino. È
prodigioso sapere il suo amore tanto possibile in noi e su di noi. E non
aprirgli questa porta unica e semplice che è la povertà di spirito”.
Gregorio
Magno, commentando la prontezza dei pescatori a seguire la chiamata di Gesù,
riflette sul fatto che a dire il vero quegli uomini avevano ben poco da
lasciare essendo poveri. Ma – aggiunge – “ha molto lasciato chi non ha tenuto
nulla per sé”. É il senso della fede genuina. Non importa lasciare poco o
tanto; l'importante è non conservare nulla per sé, vale a dire fidarsi fino in
fondo, lungo tutto il cammino, con tutte le fatiche che comporta, in modo che
la grazia dell'incontro possa rivelare tutti i suoi frutti, nel tempo.
La vicenda
del profeta Elia e della vedova di Sarepta allude alla medesima realtà. Se la
vedova si fida della parola del profeta, il quale si era fidato della parola di
Dio, non solo non muore nella sua indigenza, ma con la sua indigenza, offerta,
ricostituirà la vita del profeta e la sua. Così, rispetto alla prima
beatitudine, la vedova è tra quei poveri
nei quali prevale la beatitudine promessa perché la fedeltà di Dio per lei è
cosa saputa, vera, tanto da scavare nella sua indigenza la gioia del vivere,
proprio perché con il suo Dio. Ma la beatitudine va letta non solo in rapporto
al fatto che i poveri in spirito toccheranno il regno dei cieli, ma anche in
rapporto al fatto che, se incontreremo questi poveri, il regno dei cieli sarà
reso visibile a noi. Così in effetti prega la chiesa dopo la comunione: “La
forza dello Spirito Santo, che ci hai comunicato in questi sacramenti, rimanga
in noi e trasformi tutta la nostra vita”. Come a dire: lo Spirito del Signore
radichi i nostri cuori nello stesso atteggiamento di fede della vedova che ha
strappato a Gesù quell’elogio pieno di ammirazione.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria
Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi
mezzo]
Prima Lettura 1
Re 17, 10-16
Dal primo libro dei Re
In quei
giorni, il profeta Elia si alzò e andò a Sarèpta. Arrivato alla porta della
città, ecco una vedova che raccoglieva legna. La chiamò e le disse: «Prendimi
un po' d'acqua in un vaso, perché io possa bere».
Mentre
quella andava a prenderla, le gridò: «Per favore, prendimi anche un pezzo di
pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di
cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora
raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio:
la mangeremo e poi moriremo».
Elia le
disse: «Non temere; va' a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola
focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio,
poiché così dice il Signore, Dio d'Israele: "La farina della giara non si
esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore
manderà la pioggia sulla faccia della terra"».
Quella andò
e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per
diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non
diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 145
Loda il Signore, anima mia.
Il Signore
rimane fedele per sempre
rende
giustizia agli oppressi,
dà il pane
agli affamati.
Il Signore
libera i prigionieri.
Il Signore
ridona la vista ai ciechi,
il Signore
rialza chi è caduto,
il Signore
ama i giusti,
il Signore
protegge i forestieri.
Egli
sostiene l'orfano e la vedova,
ma sconvolge
le vie dei malvagi.
Il Signore
regna per sempre,
il tuo Dio,
o Sion, di generazione in generazione.
Seconda Lettura
Eb 9, 24-28
Dalla lettera agli Ebrei
Cristo non è
entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel
cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore. E non deve
offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario
ogni anno con sangue altrui: in questo caso egli, fin dalla fondazione del
mondo, avrebbe dovuto soffrire molte volte.
Invece ora,
una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il
peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come per gli uomini è stabilito
che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo
essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una
seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano
per la loro salvezza.
Vangelo Mc 12,
38-44
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi
dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,
avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le
case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una
condanna più severa».
[Seduto di
fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne
gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno
un soldo.
Allora,
chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa
vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti
infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria,
vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».]