Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XXX Domenica
(25 ottobre
2015)
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Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
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Il brano
evangelico di oggi ha degli accenti assolutamente speciali. I verbi, anzitutto.
Tutti i verbi del brano sono intensivi: Bartimeo, il cieco alle porte di
Gerico, grida, non semplicemente chiama; ripetutamente grida (tra l’altro, il
grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della preghiera di
Gesù, della preghiera del cuore!); getta via il mantello, non semplicemente se
lo toglie; balza in piedi, non semplicemente si alza; si rivolge a Gesù da
dentro un’emozione che aveva già lavorato il suo cuore, sebbene non avesse
ancora mai potuto vederlo in faccia e, appena lo vede, non può che mettersi a
seguirlo. Tutto il racconto assume una valenza simbolica precisa, che la
liturgia fa risaltare.
La prima
lettura è tratta dal cap. 31 di Geremia, il capitolo che descrive il compiersi
della promessa di Dio per gli esuli a Babilonia, l’arrivo a Sion del Signore
con il suo popolo, realizzazione che allude a un’altra promessa, quella di una
nuova alleanza, scritta sui cuori, quando Israele corrisponderà con la stessa
dedizione all’attaccamento del Signore al suo popolo e tutto sarà riedificato
nuovamente. Straordinaria è la descrizione dei sentimenti di Dio: “Ti ho amato di amore eterno … il mio cuore
si commuove e sento per lui profonda tenerezza … tutti mi conosceranno … poiché
io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato”. Il
salmo responsoriale celebra l’esperienza del ritorno dall’esilio e la
riconsegna del popolo al suo destino di bene e di felicità, come il Signore
aveva promesso.
A noi sfugge
la dimensione drammatica di queste promesse di Dio, come sfugge la tensione
emotiva del cuore del cieco che ha tanto atteso il suo momento. Geremia vede in
sogno la realizzazione del ritorno del popolo dall’esilio e legge il suo sogno
come la profezia del futuro. In realtà, attorno a lui, a Gerusalemme, tutto è
distrutto, la città svuotata, le sofferenze immani e la prostrazione abissale.
Ma Dio non può venir meno alle sue promesse e il profeta vede, spera, crede,
lotta per rianimare e consolare.
Così per
Bartimeo, che troppo a lungo ha dovuto soffrire, troppo a lungo ha dovuto
aspettare, troppo a lungo aveva sperato. Quando gli si presenta l’occasione,
tutto scoppia, prorompe, e lui perde ogni ritegno. E Gesù, che anche lui vive
con impazienza ormai la dinamica di rivelazione dell’amore di Dio per gli
uomini da non vedere l’ora di arrivare a Gerusalemme, riconosce il suo
desiderio, lo risana e lo rende suo compagno di viaggio, partecipe ‘vedente’ del
suo segreto da parte di Dio.
I particolari
che illustrano la tensione interiore di Bartimeo sono due: il grido, ‘Figlio di
Davide’ e il nome con il quale si rivolge a Gesù: ‘Rabbunì’. Nei vangeli
sinottici, se non vado errato, soltanto nel caso del o dei ciechi di Gerico ci
si rivolge a Gesù con ‘Figlio di Davide’ (in Matteo, anche la donna cananea usa
quel titolo, lei, pagana!). L’espressione è da collegare all’esclamazione che
subito dopo, entrando Gesù in Gerusalemme, la folla proclama festante. Allude
al mistero di Gesù che si sta svelando e che nessuno coglie. Bartimeo sembra
presagirlo. Lo conferma il titolo con il quale si rivolge a Gesù quando gli
arriva davanti: “Rabbunì”, evidentemente pronunciato con un tono accorato, a
differenza delle grida che gli avevano ottenuto l’attenzione dello stesso Gesù.
Quella espressione nasconde un mondo. Quel modo di riferirsi a Gesù fiorisce
solo sulle labbra di un’altra persona: Maria Maddalena. Quando, nel giardino,
si sente chiamare per nome da Gesù subito dopo la sua resurrezione (cfr. Gv
20,16), ella risponde: Rabbunì! Immaginiamo il trasporto, l’emozione con cui
viene pronunciato! Rivela la natura di un rapporto ricco di intimità,
assolutamente personale, riassume la sua storia, contiene tutto il suo cuore di
donna e di discepola. Per Bartimeo quell’appellativo cela tutto il desiderio
che aveva a lungo lavorato il suo cuore, esprime una tensione fortissima
dell’anima. E non solo in funzione della guarigione che invoca, ma in funzione
dell’orientamento di tutta la sua vita, come poi il brano testimonia annotando
che Bartimeo va dietro a Gesù. Quel suo ‘andar dietro’ a Gesù porta l’eco del
comando di Gesù: “Va’, la tua fede ti ha
salvato”. E dove Gesù lo porta? A Gerusalemme, perché subito dopo il
miracolo, il testo del vangelo prosegue descrivendo l’entrata trionfale di Gesù
in Gerusalemme, dove si compie la sua ora. La vista che gli ha ridato, nella
visione della fede che ormai abita il cuore, lo porta a vedere in Lui il Regno
che si compie, il Paradiso nel quale
tutti i discepoli di Cristo sono chiamati ad entrare. E così la figura di
questo cieco diventa l’immagine-simbolo della tensione dell’anima e della
scoperta di Colui che ormai ha rapito i nostri cuori.
Ora, questo
è l’esito della preghiera: tornare ad avere il cuore che vede svelarsi e compiersi
nel concreto della vita il segreto di Dio. In questa prospettiva va letta
l’esultanza del credente come ripete l’antifona d’ingresso di oggi, ripresa dal
salmo 105: “Gioisca il cuore di chi cerca
il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto”,
perché vi renda complici del suo segreto per l’uomo. Come la versione greca e
latina rendono: ‘cercate il Signore e siate fortificati’. Fortificati dalla
comunanza di vita con colui che dell’amore per noi ha fatto la ragione della
sua umanità. La preghiera è allora la condivisione della fretta che muove Gesù
di veder compiersi il segreto di Dio in favore degli uomini, fretta che
trascina i discepoli e muove il mondo. Soltanto l’invocazione gridata con tutto
il cuore, senza alcun ritegno, come è avvenuto per la donna Cananea (Mc 7, 26)
e Bartimeo: “Figlio di Davide, abbi pietà
di me” farà vedere la fretta che muove il Signore nel suo appressarsi
all’uomo aprendoci il suo segreto e sanando così il nostro cuore, tanto da
trascinarci nella sua stessa dinamica perché tutti ne siano lambiti e il mondo
risplenda della Sua presenza.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria
Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con
qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Ger
31, 7-9
Dal libro del profeta Geremia
Così dice il
Signore:
«Innalzate
canti di gioia per Giacobbe,
esultate per
la prima delle nazioni,
fate udire
la vostra lode e dite:
"Il
Signore ha salvato il suo popolo, il resto d'Israele".
Ecco, li
riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno
dalle estremità della terra;
fra loro
sono il cieco e lo zoppo,
la donna
incinta e la partoriente:
ritorneranno
qui in gran folla.
Erano
partiti nel pianto,
io li
riporterò tra le consolazioni;
li
ricondurrò a fiumi ricchi d'acqua
per una
strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io
sono un padre per Israele,
Èfraim è il
mio primogenito».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 125
Grandi cose ha fatto il Signore per
noi.
Quando il
Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava
di sognare.
Allora la
nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra
lingua di gioia.
Allora si
diceva tra le genti:
«Il Signore
ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose
ha fatto il Signore per noi:
eravamo
pieni di gioia.
Ristabilisci,
Signore, la nostra sorte,
come i
torrenti del Negheb.
Chi semina
nelle lacrime
mieterà
nella gioia.
Nell'andare,
se ne va piangendo,
portando la
semente da gettare,
ma nel tornare,
viene con gioia,
portando i
suoi covoni.
Seconda Lettura
Eb 5, 1-6
Dalla lettera agli Ebrei
Ogni sommo
sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle
cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in
grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e
nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli
deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il
popolo.
Nessuno
attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come
Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo
sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»,
gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l'ordine di Melchìsedek».
Vangelo Mc 10, 46-52
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla,
il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a
mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio
di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ».
Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di
Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il
cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo
mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù
gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose:
«Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha
salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.