Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XXII Domenica
(30 agosto
2015)
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Dt 4,1-2.6-8; Sal 14; Gc 1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23
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Se ‘i puri di cuore vedranno Dio’ (cfr Mt 5,8) o, come
dice il salmo responsoriale: "Chi teme il Signore abiterà nella sua
tenda", perché stupirci di non sentirci a nostro agio nella sua casa, di
non riuscire mai ad esserci per davvero o di non risiedervi stabilmente? Se Dio
guarda il cuore, perché noi invece ci perdiamo nell’illusione dei nostri meriti
o delle nostre rivendicazioni, palesi o segrete?
Potremmo considerare da questo punto di vista le
letture di oggi. Tutte richiamano il valore fondante della parola di Dio, del
suo comandamento, per la vita dell’uomo. Nel libro del Deuteronomio Mosè
avverte: “Ora, Israele, ascolta le leggi
e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate
ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta
per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete
nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo”.
Come Gesù fa ben risaltare nel brano evangelico di oggi, il guaio proviene dal
fatto che la nostra pratica proviene spesso, non dal comandamento di Dio, ma da
tradizioni, atteggiamenti, pensieri, obblighi, esclusivamente umani. Così, la
promessa di trovare la vita ed entrare in possesso della terra del cuore, cioè
gustare il mistero del regno dei cieli svelato dal Signore Gesù Cristo, non si
compie mai. Quella promessa è abbinata solo alla pratica del comandamento di
Dio, non ad altro. Ora, il comandamento di Dio tocca sempre il cuore, mentre la
tradizione umana, spesso, non ha nulla a che vedere con il cuore. Tutto il
discorso di Gesù verte appunto sulla contrapposizione: comandamento di
Dio/tradizione umana (“Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la
tradizione degli uomini”) e, di conseguenza, sulla purità o meno del cuore.
Ben a proposito, rispetto al comandamento di Dio, la
Scrittura dice: non aggiungere né togliere. Se è abbastanza facile capire
quando ci rifiutiamo di compiere un comandamento, non lo è quando in qualche
modo ci imponiamo un comandamento, quando cioè crediamo di fare qualcosa di
bene, ma non secondo Dio. La tradizione midrashica ebraica incastona in questo
contesto l’occasione del peccato di Adamo ed Eva. Se si leggono attentamente i
primi capitoli della Genesi si noterà l’aggiunta di Eva al comandamento di Dio.
Dio dice: “…dell’albero della conoscenza
del bene e del male non devi mangiare,
perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”. Ma Eva
al serpente risponde: “…del frutto
dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti
morirete”. Eva aveva provato a toccare il frutto proibito, ma non era
successo niente. Quindi conclude: allora Dio non ha detto il vero, ha ragione
il serpente. Allora posso mangiare per avere la conoscenza…! E incontra la
morte.
L’aspetto misterioso del comandamento di Dio deriva
dal fatto che la parola di Dio cela la rivelazione del Suo volto al nostro
cuore abilitandolo a vivere in pienezza la sua vocazione all’umanità. Per
questo la logica dell’intelligenza della parola di Dio capovolge la logica
normale della comprensione. Davanti alla parola di Dio siamo invitati subito a
metterla in pratica al fine di comprenderla, al fine cioè di cogliere la
rivelazione di Dio che si svela al cuore. La comprensione viene dalla pratica;
io accetto di mettere in pratica per capire e non, come solitamente ci
riduciamo a fare, cerco di capire per mettere in pratica. Il primo moto è
affettivo, non intellettivo, nel senso che prima devo poter cogliere l’intenzione
segreta di Dio che a me si rivolge fidandomi del suo amore. È per questo che,
continuando la lettura del brano del Deuteronomio, al v. 9, si proclama: “Ma bada a te e guardati bene dal dimenticare
le cose [parole] che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per
tutto il tempo della tua vita”.
L’accento cade sulla sincerità del cuore, che si trova
dentro una storia d’amore che lo precede e l’accompagna e a cui risponde, e non
sulla sua generosità. Cosa significa ‘vedere’ le parole? Significa aver accolto
la parola per metterla in pratica e avanzare in quella realizzazione di umanità
che fa risplendere la prossimità di Dio.
La liturgia ha ben collocato, a commento del brano del
Deuteronomio, il salmo 14, il quale riassume la sincerità del cuore davanti a
Dio nell’agire con giustizia e nel parlare lealmente, cioè nel non danneggiare
il prossimo, noi stessi compresi, né coi fatti né con la lingua (quello che i
nostri Padri chiamavano: non ferire mai la coscienza del prossimo, né coi fatti
né con le parole). Questo vale assai di più di qualsiasi pratica umana, pur
grandiosa, perché in questo risplende la vicinanza di Dio.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria
Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con
qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Dt
4, 1-2. 6-8
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò
al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi
insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in
possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non
aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma
osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le
osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra
saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo
parlare di tutte queste leggi, diranno: "Questa grande nazione è il solo
popolo saggio e intelligente". Infatti quale grande nazione ha gli dèi
così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo
invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa
legislazione che io oggi vi do?».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 14
Chi teme il Signore abiterà nella
sua tenda.
Colui che
cammina senza colpa,
pratica la
giustizia
e dice la
verità che ha nel cuore,
non sparge
calunnie con la sua lingua.
Non fa danno
al suo prossimo
e non lancia
insulti al suo vicino.
Ai suoi
occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi
teme il Signore.
Non presta
il suo denaro a usura
e non
accetta doni contro l'innocente.
Colui che
agisce in questo modo
resterà
saldo per sempre.
Seconda Lettura
Gc 1, 17-18. 21b-22.27
Dalla lettera di san Giacomo
apostolo
Fratelli
miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e
discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c'è variazione né
ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della
parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Accogliete
con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla
salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori
soltanto, illudendo voi stessi.
Religione
pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le
vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
Vangelo Mc
7,1-8.14-15.21-23
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da
Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con
mani impure, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano
se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli
antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e
osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di
stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo
interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione
degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene
ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi
onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il
comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di
nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è
nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le
cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]:
«Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di
male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno,
dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive
vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».