Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XX Domenica
(16 agosto
2015)
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Pr
9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
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Oggi la liturgia ci richiama una grande questione:
come ottenere l’intelligenza della vita. Appare desiderabile, chi non la vuole?
Non è segreta, non è inaccessibile, non è complicata, non richiede studi
particolari. Eppure, non è proprio a portata di mano. E nonostante tutto, il
cuore la gradirebbe sempre.
S. Paolo, nella sua lettera agli Efesini, ne mostra le
condizioni indicandocela nel fatto di diventare intelligenti della volontà di
Bene di Dio. In sostanza ci dice che per essere intelligenti, occorre essere
spirituali, per essere spirituali occorre essere oranti, per essere oranti
occorre diventare capaci di rendere grazie, per avere questa capacità occorre
essere sottomessi: “…siate ricolmi dello
Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti spirituali, cantando e
inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per
ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Nel timore di
Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri” (Ef 5,18-21). Purtroppo le
edizioni moderne della Bibbia suddividono la frase, che in greco è unica e
suona così: "...rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre,
nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, sottomettendosi gli uni agli altri nel
timore di Cristo". Il dono dello Spirito è il contenuto della preghiera
nel senso di imparare a percepire la volontà di Bene di Dio per noi; il rendere
grazie esprime l’esperienza della percezione di quel Bene per noi e lo stare
sottomessi indica il radicamento di quel Bene nel cuore da risultare il tesoro
più prezioso. Ma tra il rendere grazie e lo stare sottomessi c'è tutto il
tragitto del cammino da fare. Se si rende grazie senza stare sottomessi si è
boriosi; se si è sottomessi senza rendere grazie si è servili. Invece, il segno
che un cuore adora sinceramente il suo Dio è proprio il fatto di rendere
continuamente (= sempre, in ogni circostanza, comunque) grazie e di stare
sottomessi (ai propri fratelli, ma anche alla vita in generale) portando
pazienza con il tempo, le cose, le circostanze, il nostro cuore e i nostri
difetti.
Dalla prospettiva di questa ‘intelligenza di Dio’, le
parole di Gesù suonano con tutt’altro accento. A conclusione del suo discorso,
Gesù riassume in tre passaggi la rivelazione della volontà di Bene di Dio per
l’uomo che in Lui si compie: avere la vita, dimorare in lui, vivere per lui.
Tutte realtà che solamente coloro che accettano di mangiare la carne del Figlio
dell’uomo possono ereditare. Espressione più forte Gesù non poteva usare: ‘chi
mangia [masticare, rompere con i denti] la mia carne…’. Come accoglierla se non
a partire dal dono dello Spirito che di quel mistero ci rende intelligenti?
In effetti, se coloro che ascoltavano Gesù non avevano
accettato l’idea di Gesù ‘pane vivo che discende dal cielo’, come avrebbero
potuto accettare l’idea di Gesù che si fa pane da mangiare, di un Gesù che
intende dar da mangiare il suo stesso corpo? È evidentemente necessario un
forte supplemento di intelligenza! Il discorso di Gesù è impostato su due
verbi: mangiare e dimorare. Il mangiare è in funzione del dimorare. Lo stesso
modo di parlare Gesù lo userà nell’Ultima Cena insistendo però assai di più
allora sul dimorare per mostrarne le conseguenze: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”; “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se
stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me”; “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho
amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti,
rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e
rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la
vostra gioia sia piena” (Gv 14-16). Come rimanere in Gesù senza assumere
Gesù? E dove più concretamente, più realmente, più intimamente assumiamo Gesù
se non nell’Eucaristia? E’ appunto questo il mistero che vuole illustrare Gesù:
se non assumete me, non potrete essere in me e se non sarete trovati in me, non
potrete riuscire graditi a Dio.
Come una parola ascoltata resta nel nostro cuore, così
chi mangia il Corpo del Signore dimora in Lui. Sarà la logica della
similitudine della vite (cfr Gv 15): lui dimora in me e io in lui, fino a poter
dire con s. Paolo: “non vivo più io, ma
Cristo vive in me” (Gal 2,20). Quando mangiamo il pane eucaristico, in
realtà non siamo noi a mangiare il Corpo di Gesù, ma è Lui ad assimilarci al
suo Corpo, ad assumerci in Sé. Come fa dire a Gesù una bella preghiera di
Lorenzo Scupoli (1530-1610): “Io voglio da te, che niente voglia, niente
intenda, niente veda fuori di me e della mia volontà, acciocché io in te tutto
voglia, pensi, intenda e veda in modo che il tuo niente assorto nell’abisso
della mia infinità, in quella si converta, così tu sarai in me pienamente
felice e beata, e io in te tutto contento”. È la consumazione di quella ‘vita
in Cristo’ in cui consiste lo scopo della comunione eucaristica e a cui tende
ogni sforzo ascetico e l’anelito di ogni preghiera.
Dimorare allude alla dinamica di un amore che diventa
radice di vita, che si fa vita di amore partecipando alla stessa potenza di
amore che qualifica la vita del Figlio dell’uomo, splendore dell’amore di Dio per
il mondo. La preghiera dopo la comunione della messa di oggi lo ricorda molto
bene: “O Dio, che in questo sacramento ci hai fatti partecipi della vita del
Cristo, trasformaci a immagine del tuo Figlio, perché diventiamo coeredi della
sua gloria nel cielo”. Diventare partecipi della vita del Cristo significa
somigliargli, rivestirsi dei suoi sentimenti, vivere della sua stessa umanità
sulla quale risplende, imperitura, la gloria dell’amore di Dio per gli uomini.
Significa incarnare la Presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Perché, per la
nostra stoltezza, non ritenerci ‘degni’ dell’offerta di Dio, del suo mistero? E
così, se l’uomo vuole la vita e dimora nella vita, non può non viverla che in
forza e per estendere a tutti quell’amore che gli si è rivelato in quel Gesù,
che ha accolto nel suo cuore come la parola definitiva di Dio per l’uomo,
sigillo di Bene e di Verità, principio di vita vera che riempie il suo
desiderio.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice
Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Pr
9, 1-6
Dal libro dei Proverbi
La sapienza
si è costruita la sua casa,
ha
intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il
suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha
imbandito la sua tavola.
Ha mandato
le sue ancelle a proclamare
sui punti
più alti della città:
«Chi è
inesperto venga qui!».
A chi è
privo di senno ella dice:
«Venite,
mangiate il mio pane,
bevete il
vino che io ho preparato.
Abbandonate
l'inesperienza e vivrete,
andate
diritti per la via dell'intelligenza».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 33/34
Gustate e vedete com'è buono il
Signore.
Benedirò il
Signore in ogni tempo,
sulla mia
bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio
nel Signore:
i poveri
ascoltino e si rallegrino.
Temete il
Signore, suoi santi:
nulla manca
a coloro che lo temono.
I leoni sono
miseri e affamati,
ma a chi
cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite,
figli, ascoltatemi:
vi insegnerò
il timore del Signore.
Chi è l'uomo
che desidera la vita
e ama i
giorni in cui vedere il bene?
Custodisci
la lingua dal male,
le labbra da
parole di menzogna.
Sta' lontano
dal male e fa' il bene,
cerca e
persegui la pace.
Seconda Lettura
Ef 5, 15-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo
agli Efesìni
Fratelli,
fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma
da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate
perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non
ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi
dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati,
cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente
grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Vangelo Gv 6, 51-58
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per
la vita del mondo».
Allora i
Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua
carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in
voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e
io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio
sangue vera bevanda.
Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che
ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia
me vivrà per me.
Questo è il
pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno».