Quinto
ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XIX Domenica
(9 agosto
2015)
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1
Re 19,4-8; Sal
33; Ef
4,30-5,2; Gv
6,41-51
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Tutto il lungo discorso eucaristico di Gesù narrato
nel cap. 6 di Giovanni può essere letto come l’illustrazione della difficoltà
per l’uomo di cogliere e accogliere i segreti di Dio. Davanti alla difficoltà
di riconoscere la sua provenienza divina, Gesù esorta: “non mormorate tra voi”. Mormorare vuol dire prendere le distanze,
vuol dire uscire dalla fiducia, uscire da una storia con. Ma appena si esce da
una storia con, tutto si fa incomprensibile e soprattutto si resta
nell’impossibilità di soddisfare i desideri del cuore, si resta cioè sulla
nostra fame.
E aggiunge: “Nessuno
può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. S. Agostino,
commentando questi versetti, ha un’intuizione geniale. Osserva che se siamo
attirati dal Padre, questo non vuol dire che siamo attirati per forza: “Che
significa essere attratti dal piacere? Metti
il tuo piacere nel Signore, ed egli soddisferà i desideri del tuo cuore (Sal 36,4). Che se il poeta ha potuto dire: ‘Ciascuno è
attratto dal suo piacere’ [“trahit sua quemque voluptas”, Virgilio,
Egloghe 2], non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione ma dal
diletto; a maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l’uomo
che trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia,
nella vita eterna, in tutto ciò, insomma, che è Cristo. Se i sensi del corpo
hanno i loro piaceri, perché l’anima non dovrebbe averli? Se l’anima non avesse
i suoi piaceri, il salmista non direbbe: ‘I
figli degli uomini si rifugiano all’ombra delle tue ali; s’inebriano per
l’abbondanza della tua casa, bevono al torrente delle tue delizie; poiché
presso di te è la fonte della vita e nella tua luce noi vediamo la luce’ (Sal 35,8-10)” [Commento al vangelo di Giovanni, 26,4].
Ma solo un cuore che ama sa cosa significa questo.
Solo un cuore che ha conosciuto l’amore sa di cosa si parla qui. È come se
dicessimo a Dio: fa, Signore, che io trovi in te la mia felicità e tu mi darai
i desideri del mio cuore (cfr Sal
36,4). Il salmo non dice che Dio
soddisferà i desideri del nostro cuore, ma che farà nascere i desideri del
nostro cuore, il nostro cuore vorrà ciò che forma la sua felicità. In questo
verremo ammaestrati da Dio, perché saremo attirati là dove il piacere del
nostro cuore ci spinge. Gesù poi cita il profeta Geremia: “tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore;
poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato”
(Ger 31,33-34), eco di Isaia 54,13: “Tutti i tuoi figli saranno discepoli del
Signore”. Ora, proprio nel Cristo siamo accolti nel perdono di Dio che ci
consente di vederlo, di scoprirlo cioè nella sua verità di amore per noi.
Quando Gesù proclama che lui è il pane di vita, dice essenzialmente che lui ci
comunica quell’amore di Dio che è radice di vita e che ci permette di conoscere
personalmente Dio accogliendoci senza riserve nel suo perdono. Proprio questo è
ciò che la folla desiderava nel profondo del suo cuore, ma alla fine si trova
impossibilitata ad accettare perché non si riconosce adatta al mistero di Dio,
per cui scade nella mormorazione.
Come sempre nel vangelo di Giovanni, ma in particolare
in questo dialogo, le espressioni hanno un valore intensivo. Tutto può suonare
in una certa ovvietà, materiale o religiosa, eppure tutto può avere sfumature
insospettate. I verbi usati: discendere, mangiare, vedere, credere, imparare,
hanno tutti risonanze, scritturistiche e interiori, impensabili. Gesù cerca di
illustrare il mistero che costituisce la sua persona come il segreto di Dio
svelato agli uomini che, pur immensamente desiderabile, non è facilmente
ricevibile. Perché? La reazione della gente al fatto che Gesù si presenti come
il pane della vita è rivelatrice. Di per sé la gente non rifiuta
l’equiparazione di Gesù al pane di vita; rifiuta l’affermazione che lui
discenda dal cielo. Loro ne conoscono la sua origine: conoscono la famiglia, la
provenienza (cfr Mt 13,55; Mc 6,3; Lc 4,22; Gv 7,15). Come può dire di venire dal cielo? Forse c’è
l’allusione alla credenza che del Messia non si potesse sapere l’origine
oppure, velatamente, potrebbe esserci un’allusione alla nascita verginale di
Gesù. Il fatto comunque è che la rivelazione definitiva di Dio è ormai
l’umanità di Gesù, tanto che mangiare la carne del Figlio dell’uomo significa
assimilare il Figlio di Dio fino a vivere di lui. Non è possibile che l’uomo
non desideri la presenza del Signore e il suo amore e proprio quando gli viene
rivelato che quel desiderio può essere soddisfatto fa resistenza. Perché i
cuori non riescono a vedere?
Forse la risposta va cercata proprio in quel movimento
di discesa che caratterizza l’agire
di Dio. Il ‘discendere dal cielo’ non indica semplicemente la provenienza di
Gesù; indica piuttosto il movimento dell’abbassarsi di Dio per comunicare il
suo amore e far vivere. Gli uomini non amano abbassarsi, benché vogliano la
vita e desiderino l’amore e quindi pensano sempre in termini di grandezza
mondana, dove il potente prevale sul debole, dove l’alto la spunta sul basso,
dove l’affermazione di sé presuppone l’innalzamento. Gesù, quando parla di
innalzamento, allude sempre al suo essere innalzato sulla croce, là dove
risplende l’amore di Dio per l’uomo.
Tanto, che san Paolo riassume il senso della
rivelazione di Gesù nell’espressione ‘Dio fa grazia di sé a noi in Cristo’,
resa in italiano con “perdonandovi a
vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio …”.
Perché mangiare il pane disceso dal cielo, questo significa! Come lui ha fatto
dono di sé agli uomini in Cristo, così noi siamo chiamati a fare dono di noi
agli altri in Cristo. Ora, tutta la difficoltà per l’uomo deriva proprio dal
fatto che invece di accogliere la grazia ne cerca una a sua misura. Ma non
esiste altra grazia se non quella, da parte di Dio, del suo ‘far grazia di Sé’ a noi, in benevolenza
e misericordia, nel Cristo. Qui è racchiusa tutta l’abbondanza di vita che una
rivelazione siffatta promette. Se il segreto di Dio è racchiuso in quella
rivelazione, pure il nostro cuore trova in quel segreto le radici dei suoi
sogni per sé e per il mondo. Aprire il cuore al credere significa approdare
alla percezione di quella grazia, grazia che apre alla bellezza di un amore
gustato e condiviso, nell’accondiscendere a quel movimento di abbassamento
perché risplenda in questo mondo l’amore di Dio. La fede è proprio a servizio
dello splendore di quell’amore che ‘discende dall’alto’ e di cui il pane
eucaristico è simbolo perfetto.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria Editrice
Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo]
Prima Lettura 1
Re 19, 4-8
Dal primo libro dei Re
In quei
giorni, Elia s'inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi
sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la
mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si
addormentò sotto la ginestra.
Ma ecco che
un angelo lo toccò e gli disse: «Alzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino
alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d'acqua.
Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò.
Tornò per la
seconda volta l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Alzati, mangia,
perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza
di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio,
l'Oreb.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 33/34
Gustate e vedete com'è buono il
Signore.
Benedirò il
Signore in ogni tempo,
sulla mia
bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio
nel Signore:
i poveri
ascoltino e si rallegrino.
Magnificate
con me il Signore,
esaltiamo
insieme il suo nome.
Ho cercato
il Signore: mi ha risposto
e da ogni
mia paura mi ha liberato.
Guardate a
lui e sarete raggianti,
i vostri
volti non dovranno arrossire.
Questo
povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da
tutte le sue angosce.
L'angelo del
Signore si accampa
attorno a
quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e
vedete com'è buono il Signore;
beato l'uomo
che in lui si rifugia.
Seconda Lettura
Ef 4, 30 - 5, 2
Dalla lettera di san Paolo apostolo
agli Efesìni
Fratelli,
non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati
per il giorno della redenzione.
Scompaiano
da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di
malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi,
perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
Fatevi
dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel
modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a
Dio in sacrificio di soave odore.
Vangelo Gv 6, 41-51
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono
il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di
Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire:
"Sono disceso dal cielo"?».
Gesù rispose
loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il
Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto
nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato
il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il
Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io
vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il
pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono
morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».