Quinto ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
Ordinario
XIV Domenica
(5 luglio 2015)
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Ez 2,2-5; Sal 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6
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La liturgia
di oggi mette in risalto il contrasto tra la fantasia d’amore di Dio per il suo
popolo e la resistenza del popolo ad accogliere l’amore del suo Dio. Difficile
spiegare la cosa, ma è un’evidenza della storia, un’evidenza della nostra
storia.
La prima
lettura sottolinea la tenacia di Dio verso il suo popolo: manda un suo profeta
a ricordare al suo popolo la sua promessa di bene, sebbene sappia già in
partenza che il popolo non ascolterà quel profeta. E allora avverte il profeta:
tu non temere, annuncia loro quello che ti dirò, così sapranno almeno che un
profeta è in mezzo a loro. Tradotto con altre parole, ecco quello che potranno
capire: la storia di Dio con il suo popolo continua, continua sempre, Dio non
si stanca mai di inseguire, di venire a cercare. E il salmo responsoriale
traduce in supplica quello che il popolo potrà capire, anche se confusamente:
“A te alzo i miei occhi … finché abbia pietà di noi”.
Il brano
evangelico, in modo ancora più drammatico, illustra la stessa cosa. Gesù viene
a Nazareth, il luogo che l’ha visto crescere e non è accolto, viene rifiutato.
Se mettiamo a confronto i tre vangeli sinottici l’evento ci appare in tutta la
sua drammaticità. Marco narra l’episodio dopo il racconto dei miracoli di Gesù
ed è l’unico ad apporre una certa firma all’evento: “E si meravigliava della loro incredulità”. Luca è l’unico a
spiegare la diffidenza dei suoi concittadini: sembra suggerire che non abbiano
accolto di buon grado il ricordo della preferenza dei pagani da parte di Dio
(la vedova di Zarepta di Sidone al tempo del profeta Elia e Naaman il siro ai
tempi di Eliseo) e così contrastano la predicazione di Gesù gelosi dei doni di
Dio. Per Luca, che pone l’evento all’inizio dell’attività di Gesù, l’esito
negativo della prima predicazione di Gesù a Nazaret è la prefigurazione del
rifiuto finale di Gesù e della sua morte in croce. Matteo invece sembra
suggerire altro perché il passo di oggi fa da contrappunto alla scelta di Gesù,
con la proclamazione delle parabole del regno, di chiamare sua madre e suoi
fratelli i suoi discepoli, ai quali “è
dato conoscere i misteri del regno dei cieli” (Mt 13,11). Alla fine però
gli ascoltatori non comprendono e Matteo li definisce come coloro che non
vogliono essere familiari di Dio,
esattamente come i concittadini di Gesù che lo rifiutano.
L’episodio
della predicazione di Gesù a Nazaret illustra bene la premura di Dio. La scena
è racchiusa da due identici sentimenti di valore diametralmente opposto. Si
apre con la meraviglia, sospettosa, diffidente, che si tramuta poi in ostilità
da parte degli ascoltatori presenti nella sinagoga e si chiude con la
meraviglia, dispiaciuta, di Gesù che si vede costretto a fuggire: “E si meravigliava della loro incredulità”.
Una meraviglia, quella di Gesù, però, che non si tramuta in ostilità con la sua
fuga, bensì in tenacia e immaginazione per creare nuove occasioni, fino alla
fine, come il resto del racconto evangelico proverà, perché i cuori finalmente
si aprano all’amore del Padre testimoniato da lui e dalla sua attività ovunque.
Noi non ci
accorgiamo che spesso la nostra incredulità nasconde una cattiva idea di Dio. A
dire il vero non si tratta realmente di una mancanza di fede, ma di diffidenza,
di riserva mentale. Come per i
concittadini di Gesù descritti da Luca 4,16-31: gli ascoltatori della sinagoga
si sentono offesi quando Gesù ricorda loro che Dio non ha disdegnato i pagani
come se questa preferenza comportasse un’accusa ai suoi figli. Così è per noi:
è vero che ci accorgiamo che Gesù insegna cose belle, cose degne della massima
stima, ma essere disposti ad accoglierlo e seguirlo nella sua rivelazione di
Dio e nel suo servizio agli uomini non ci è agevole.
La liturgia
ci invita allora a cogliere il nodo essenziale della vita: la salvezza è data
dalla potenza di Dio ma ha bisogno di essere accolta con fede, senza riserve
mentali. Il problema più o meno può essere posto così: perché la grazia non
compie tutto ciò che promette? Pensiamo al perdono che domandiamo a Dio per i
nostri peccati. Perché, pur chiedendolo sinceramente e ottenendolo, non agisce
in profondità da trasformarci completamente? Forse che Dio vincola il suo
perdono? Non sarebbe morto per noi! Pensiamo alla richiesta di una virtù:
“Signore, fammi umile”. Perché dopo la richiesta restiamo ancora in preda
all'orgoglio e all'egoismo? Forse che Dio è geloso dei suoi doni? Non ci
avrebbe dato il suo Figlio! Ecco dunque la meraviglia di Gesù: la nostra
incredulità.
Dio non si
stanca però della nostra incredulità perché sa che il nostro cuore ha bisogno
di tempo per cedere, per arrendersi, per sciogliere le sue paure, le sue
resistenze, le sue ambiguità. L'importante è non lasciare mai il Signore,
lasciarsi sempre riaccostare da lui tanto che, come dice la colletta: “sappiamo
riconoscere la tua gloria nell’umiliazione del tuo Figlio e nella nostra
infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione”. Il movimento
suggerito dalla preghiera è appunto quello di imparare a vedere la gloria, cioè
lo splendore dell’amore del Padre per gli uomini, proprio nell’umiliazione del
Figlio che si consegna agli uomini perché sappiano quanto lui ama il Padre e
quanto è grande il suo amore per noi. Il che significa riconoscersi dentro una
provvidenza di bene per noi, stando solidale con i sentimenti di Dio, in favore
dei fratelli. Così facendo, potremo sperimentare la potenza della vita che
viene da Dio accogliendo in pace le infermità e le afflizioni della nostra
storia perché non ci allontanano dalla comunione con Colui che il nostro cuore
cerca e di cui potente è la salvezza.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
[I testi delle letture sono protetti dal © Libreria
Editrice Vaticana e ne è vietata la riproduzione, anche parziale e con
qualsiasi mezzo]
Prima Lettura Ez
2, 2-5
Dal libro del profeta Ezechiele
In quei
giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui
che mi parlava.
Mi disse:
«Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele, a una razza di ribelli, che
si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di
me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore
indurito. Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio”.
Ascoltino o
non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno
che un profeta si trova in mezzo a loro».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 122
I nostri occhi sono rivolti al
Signore.
A te alzo i
miei occhi,
a te che
siedi nei cieli.
Ecco, come
gli occhi dei servi
alla mano
dei loro padroni.
Come gli
occhi di una schiava
alla mano
della sua padrona,
così i
nostri occhi al Signore nostro Dio,
finché abbia
pietà di noi.
Pietà di
noi, Signore, pietà di noi,
siamo già
troppo sazi di disprezzo,
troppo sazi
noi siamo dello scherno dei gaudenti,
del
disprezzo dei superbi.
Seconda Lettura
2 Cor 12, 7-10
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un
inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia.
A causa di
questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi
ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente
nella debolezza».
Mi vanterò
quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di
Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle
difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti
quando sono debole, è allora che sono forte.
Vangelo Mc 6,
1-6
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il
sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano
stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella
che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è
costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di
Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro
motivo di scandalo.
Ma Gesù
disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi
parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo
impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro
incredulità.
Gesù
percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.