Quinto
ciclo
Anno
liturgico B (2014-2015)
Tempo
di Natale
Santa Famiglia
(28
dicembre 2014)
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Gn 15,1-6; 21,1-3; Sal 104; Eb 11,8.11-12.17-19;
Lc 2,22-40
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È significativo che la tradizione non celebri l'incarnazione
del Figlio di Dio in generale, ma dentro una singola famiglia della famiglia
umana. Per quanto misteriosa e singolare questa famiglia, è proprio
a questa famiglia che tutte le altre famiglie possono guardare per comprendere
e vivere il loro stesso mistero.
La liturgia
di oggi contempla
il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio sottolineandone gli aspetti di veracità
storica. Dio si fa uomo in un determinato popolo, dentro una determinata
storia, rispettando certe regole: la mamma si dovrà purificare, il bambino
ebreo dovrà essere circonciso, gli si darà un nome,
sarà presentato al tempio e vivrà in una famiglia che gli assicurerà la
crescita e l’educazione.
Due sono i
personaggi che introducono a questa contemplazione: Abramo e Simeone. Proprio
di Abramo Gesù dirà: “Abramo, vostro
padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide
e fu pieno di gioia” (Gv 8,56). E Simeone
esultante proclama,
prendendo tra le sue braccia il bambino Gesù: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza”. Quando o come Abramo
avrà potuto vedere il giorno di Gesù? L’ha visto profeticamente alla nascita di
Isacco, il figlio della promessa, avuto in vecchiaia, ma soprattutto dopo aver
riavuto il suo Isacco, amatissimo, allorché il Signore
gli impedisce di sacrificarlo e gli fa trovare l’ariete per l’olocausto sul
monte Moria (cfr Gn 22). E l’ha visto nella sua discendenza,
in Simeone, che da Abramo deriva e che ha tenuto Gesù bambino nelle sue
braccia. L’esultanza di Abramo attraversa tutta la sua discendenza per giungere
a compiersi in Simeone e da Simeone risale indietro fino a ricadere sullo
stesso Abramo.
Il testo del
vangelo di Luca che narra della presentazione al
tempio di Gesù è ricco di particolari misteriosi, particolari che tradiscono la
contemplazione di un mistero, velato ma percepibile. Luca parla della loro purificazione: ma solo la mamma era
tenuta a purificarsi dopo il parto (cfr. Lev 12,1-8).
Non c’è nessuna legge che prescrive di portare il bambino al tempio. La Legge
di Mosè prescrive di consacrare e riscattare ogni primogenito (cfr Es 13); Luca, citando quella norma, ne modifica
l’espressione dicendo che ‘ogni maschio
primogenito sarà sacro al Signore’ ed usa le
stesse parole dell’angelo Gabriele quando reca l’annunzio a Maria. Come a sottolineare: Gesù non ha bisogno di essere consacrato al
Signore e non deve essere riscattato; anzi, lui è il Consacrato, il Cristo di
Dio; lui sarà il riscatto per il suo popolo, per l’intera umanità. In lui si
concentra tutto il senso della storia sacra perché compie in verità quello che
nella Legge veniva descritto in simbolo: Gesù è il
primogenito diletto che compie il
sacrificio di Isacco, come lui è il vero pane celeste che era prefigurato nella
manna.
Simeone, che
aspettava la consolazione di Israele,
figura di tutta l’umanità in attesa, ha ricevuto la promessa che non avrebbe
visto la morte prima di aver veduto il Messia del Signore, cioè colui stesso
che era la consolazione di Israele, colui nel quale tutte le attese di
consolazione si sarebbero compiute. E siccome si
sarebbero compiute attraverso la passione della croce, Simeone vede la spada di
dolore che trafiggerà la mamma di quel bambino, non solo in ragione del suo
dolore di mamma, e nemmeno solo in ragione della sofferenza della divisione nel
suo popolo che sperimenta in se stessa in tutta la sua tragedia, ma anche e
soprattutto in ragione della sua solidarietà con il Figlio Redentore e con
l’Amore del Padre che così perdutamente testimonia la sua dilezione per gli
uomini.
Ma anche la
visione di Simeone, come quella di Abramo, come del resto la visione di ogni
credente, è una visione profetica. Tiene il bambino Gesù in
braccio e vede avanti, vede in spirito, sente il mistero di quel bambino venuto
a compiere tutte le attese: “Ora puoi
lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a
tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”.
È il cantico che la chiesa innalza a compieta, tutti i giorni, come a riprova
che l’esito dei nostri giorni mortali non può che risolversi in questa
contemplazione di Dio. Eppure le parole di Simeone hanno un’altra forza.
Potremmo tradurle così: Signore, ora che ho potuto trattenere una tua parola,
fa che sia sciolto da ogni legame che impedisce a questa parola di agire, che impedisce
al mio cuore di goderne la potenza e possa cominciare a vivere in quella pace
che compie la mia attesa ed anche la tua! Sì, perché non è soltanto l’uomo ad aspettare la
consolazione, è anche Dio e la consolazione di Dio è la condivisione della sua
gioia e della sua pace con noi. E possano tutte le genti, insieme al popolo di
Israele, diventare l’Israele di Dio, nel quale si compie la consolazione e
dell’uomo e di Dio.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Gn 15, 1-6;
21, 1-3
Dal libro della Genesi
In quei
giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa
parola del Signore: «Non temere, Abram.
Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».
Rispose Abram: «Signore Dio,
che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio
domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore:
«Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà
il tuo erede».
Poi lo
condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a
contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».
Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore
visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì
e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato.
Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.
Salmo Responsoriale dal Salmo 104
Il Signore è fedele al suo patto.
Rendete
grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui
cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi
del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il
Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.
Ricordate le
meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e i giudizi della sua
bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
Si è sempre
ricordato della sua alleanza,
parola data
per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco.
Seconda Lettura Eb 11,
8.11-12.17-19
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli,
per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per
un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede,
anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la
possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo
aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte,
nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che
si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Per fede,
Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le
promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante
Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti
che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche
come simbolo.
Vangelo Lc 2,22-40
Dal vangelo secondo Luca
[Quando furono compiuti i giorni della loro
purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono
il bambino (Gesù) a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto
nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e
per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come
prescrive la legge del Signore.]
Ora a
Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto
e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di
lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non
avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso
dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino
Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse
tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi
lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua
salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e
la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li
benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la
risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te
una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti
cuori».
C’era anche
una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù
di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con
il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva
ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e
giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei
a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di
Gerusalemme.
[Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo
la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di
sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. ]