Quinto
ciclo
Anno
liturgico A (2013-2014)
Tempo
di Pasqua
IV Domenica
(11 maggio
2014)
_________________________________________________
At
2,14a.36-41; Sal 22; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10
_________________________________________________
La liturgia
di questa domenica è intessuta sull’immagine del buon pastore (cfr. Sal 22; 1Pt 2,25; canto al vangelo e colletta), tipica del
cap. 10 del vangelo di Giovanni, proclamato la quarta domenica di Pasqua in
tutti e tre i cicli A, B e C, suddividendolo in tre parti. Nel ciclo A il brano si incentra più
semplicemente sulla figura della porta: “in
verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore”.
Solo Dio è
il pastore di Israele; solo lui guida il suo popolo perché se l’è scelto, l’ha
posto in essere, gli testimonia il suo amore di predilezione e ne esige la
santità corrispondente. Ogni altro che ambisce a pascere Israele a titolo
proprio è ladro e brigante. Gesù è
la porta per vedere il Padre, per essere introdotti nell’intimità di vita con
lui: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il
Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”
(Gv 1,18); “Chi
vede me, vede colui che mi ha mandato” (Gv
12,45).
L’episodio
del battesimo al Giordano è qui richiamato in tutta la sua valenza rivelativa:
si aprono i cieli, discende lo Spirito, si ode la voce del Padre che lo
dichiara luogo della sua compiacenza. Gesù è porta tanto da parte di Dio (lui
solo, che ha visto il Padre, lo può rivelare) quanto da parte dell’uomo (lui
solo costituisce la chiave di senso che manca all’agire dell’uomo perché lui
solo lo apre in verità al compimento della sua vocazione all’umanità come
rivelazione di Dio nel mondo).
Per lui si
entra per godere l’intimità del Padre e per lui si esce per riversare sul mondo
l’amore del Padre. E non c’è timore che valga davanti a tale rivelazione perché
Pietro, nella prima lettura, lo dichiara solennemente: “Per voi infatti è la promessa”. Quel Figlio, morto e risorto, è per
voi; in lui si compiono e le promesse di Dio e i desideri del cuore dell’uomo.
Il salmo responsoriale che ripete: “Il
Signore è il mio pastore: non manco di nulla”, allude prima di tutto al
sentimento che si era impadronito del cuore degli ascoltatori di Pietro nel suo
discorso di Pentecoste: “All’udire queste
cose si sentirono trafiggere il cuore. E dissero a Pietro e agli altri
apostoli: ‘che cosa dobbiamo fare, fratelli?’ ” (At 2,37). Dobbiamo
guardare a quel Figlio, trafitto, e entrare nella sua vita a noi offerta, senza
condizioni.
Il brano
evangelico di oggi termina con l’annotazione: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”
per continuare subito dopo: “Io sono il
buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”. A dire il
vero il testo greco usa il termine ‘bello’: “Io sono il pastore bello”. Quella
‘bellezza’ allude al fatto di dare la vita per le pecore, motivo della sua
discesa dal cielo per mostrare la grandezza dell’amore del Padre per i suoi
figli. In quel ‘bello’ c’è l’indicazione del ‘modello’, non tanto nel senso di
imitarlo, ma nel senso di indicare l’unica via anche per noi di vedere il volto
di Dio. La particolarità dell’immagine di Gesù, pastore bello, sta nel fatto
che Gesù non dà semplicemente la vita per noi; fa sì che la sua vita diventi
vita nostra.
È il mistero
dell’eucaristia, tipica scoperta del tempo pasquale. La sua vita è vita nostra,
non solo vita per noi donata. Siamo cioè invitati a vivere della stessa
dinamica di vita che caratterizza lui, vita che compie la vocazione all’umanità
come rivelazione dello splendore di Dio. Come ricordava Annalena
Tonelli nel decifrare il messaggio rivoluzionario
dell’eucaristia: “Questo è il mio Corpo
fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se
tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, mangi la tua condanna… Se non
amo, Dio muore sulla terra, che Dio sia Dio io ne sono causa, (dice Silesio), se non amo, Dio rimane senza epifania, perché
siamo noi il segno visibile della sua presenza e lo rendiamo vivo in questo
inferno di mondo dove pare che lui non ci sia…”.
Quando il
salmo 22 proclama che il pastore fa riposare le pecore in pascoli erbosi e
presso acque tranquille, allude proprio al dono della sua vita, che è vita
eterna, sovrabbondante. Le acque tranquille - in ebraico, le acque di ‘menuchot’- richiamano la creazione del riposo/ristoro nel settimo giorno della creazione. Il testo della
Genesi, dopo aver narrato la creazione di tutte le cose, dice: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento
il lavoro che aveva fatto”. Gli antichi rabbini intravedono un atto di
creazione anche nel settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo giorno?
La ‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e
il riposo” (Cfr
Gen Rabbà, 10, 9). È lo
stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né diffidenza; è felicità,
pace e armonia; vita nel mondo futuro, vita eterna. Proprio quella ‘vita
abbondante’ che Gesù riconsegna agli uomini che lo accolgono. È la gioia di un
amore che non sarà più mortificato da nulla, amore che, testimoniato nel suo
splendore sul calvario, è donato come Spirito di vita agli uomini che nel
‘crocifisso’ colgono il compimento della promessa di Dio per l’uomo.
A quel dono
anelano gli ascoltatori di Pietro a Pentecoste, come del resto noi tutti quando
ci sentiamo trafiggere il cuore di
fronte al Crocifisso. “Convertitevi”:
tornate alla promessa di Dio che si è compiuta in quel trafitto, morto e
risorto; tornate a sentirvi destinatari della promessa di Dio che ha fatto
risplendere in quel trafitto lo splendore del suo amore salvatore, riunendo –
come buon pastore – i figli di Dio dispersi. Tornate a dar credito alla potenza
salvatrice di Dio che per mezzo di quel trafitto ha realizzato la sua promessa
di vita, la quale non è che l’offerta incondizionata della sua comunione perché
tutto e tutti possano godere del suo amore.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura At
2, 14a.36-41
Dagli Atti degli Apostoli
[ Nel giorno
di Pentecoste, ] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò
così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito
Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».
All’udire
queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri
apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?».
E Pietro
disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di
Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito
Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli
che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».
Con molte
altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa
generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono
battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non
manco di nulla.
Il Signore è
il mio pastore:
non manco di
nulla.
Su pascoli
erbosi mi fa riposare,
ad acque
tranquille mi conduce.
Rinfranca
l’anima mia.
Mi guida per
il giusto cammino
a motivo del
suo nome.
Anche se
vado per una valle oscura,
non temo
alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo
bastone e il tuo vincastro
mi danno
sicurezza.
Davanti a me
tu prepari una mensa
sotto gli
occhi dei miei nemici.
Ungi di olio
il mio capo;
il mio
calice trabocca.
Sì, bontà e
fedeltà mi saranno compagne
tutti i
giorni della mia vita,
abiterò
ancora nella casa del Signore
per lunghi
giorni.
Seconda Lettura
1 Pt 2, 20b-25
Dalla prima lettera di san Pietro
apostolo
Carissimi,
se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito
davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché
anche Cristo
patì per voi,
lasciandovi
un esempio,
perché ne
seguiate le orme:
egli non
commise peccato
e non si
trovò inganno sulla sua bocca;
insultato,
non rispondeva con insulti,
maltrattato,
non minacciava vendetta,
ma si
affidava a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i
nostri peccati nel suo corpo
sul legno
della croce, perché,
non vivendo
più per il peccato,
vivessimo
per la giustizia;
dalle sue
piaghe siete stati guariti.
Eravate
erranti come pecore,
ma ora siete
stati ricondotti al pastore
e custode
delle vostre anime.
Vangelo Gv 10, 1-10
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse:
«In verità,
in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi
sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta,
è pastore delle pecore.
Il guardiano
gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna
per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore,
cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un
estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non
conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse
loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù
disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle
pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le
pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me,
sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non
viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano
la vita e l’abbiano in abbondanza».