Quinto
ciclo
Anno
liturgico A (2013-2014)
Tempo
Ordinario
VIII Domenica
(2 marzo
2014)
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Is 49,14-15;
Sal 61; 1 Cor 4,1-5; Mt 6,24-34
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Perché la
fiducia in Dio trova spesso le porte chiuse del nostro cuore? Certo non per
cattiveria, non per incredulità, ma per l’oppressione degli affanni e delle
afflizioni della vita. Il Signore lo sa e in molte occasioni cerca di
conquistarci alla fiducia. È l’argomento delle letture di oggi.
Il brano di
Isaia lo dichiara splendidamente: “Si
dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il
figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti
dimenticherò mai”. Sono le parole con cui Dio risponde all’angoscia del
popolo: “Il Signore mi ha abbandonato, il
Signore mi ha dimenticato”. Il profeta aveva già annunciato il ritorno
glorioso degli esuli nella terra dei padri, ma quando sarebbe avvenuto? Ogni
israelita poteva domandarsi: lo potrò vedere io? In altre parole: è possibile
nelle afflizioni continuare a fidarsi di Dio?
Il brano di
vangelo risponde a questo interrogativo e ne stabilisce come la condizione di
fondo: non si possono servire due padroni, non è salutare preoccuparsi del
domani, non serve affatto preoccuparsi. Sì, ma l’indicazione di Gesù non
procede da buone ragioni. Mira ad altro. Invita i cuori all’esperienza della
fede, esperienza che deriva dal fascino suscitato dal nuovo annuncio evangelico
di Gesù, che si presenta come il Dono di Dio all’uomo. Sarà la sua vita, il suo
agire, le sue parole a far vedere giunto fino a noi il Regno di Dio, a
convincerci dell’amore grande del Padre per i suoi figli di cui cerca la
compagnia. Senza la percezione gioiosa di questa ‘novità’, sarà difficile
mantenere la fiducia in Dio quando le preoccupazioni, d’altronde necessarie,
della vita ci assilleranno fino a soffocarci.
Matteo
inserisce le ammonizioni di Gesù nel contesto di una ritrovata libertà dalle
preoccupazioni per un cuore conquistato dall’annuncio del vangelo tanto da
indurlo a focalizzare tutti i suoi sforzi su di un unico obiettivo: custodire
la gioia del vangelo nelle vicissitudini quotidiane. Luca, invece, inserisce le
stesse ammonizioni nel contesto della testimonianza del discepolo di Gesù di
fronte al mondo. L’invito a non preoccuparsi dei beni della vita diventa
l’invito a non avere paura, a non temere quello che ci può venire dagli uomini
perché “al Padre vostro è piaciuto dare a
voi il Regno” (Lc 12,32). Evidentemente, il cuore
deve poter essersi già dischiuso a percepire la bellezza di quel ‘regno’, di
cui la Chiesa è allusiva e di cui è la memoria tra gli uomini e per il quale la
fede nel Cristo Signore è porta di accesso. La narrazione evangelica tende a
questo, come del resto tende a questo anche la celebrazione liturgica.
Quando il
canto al vangelo proclama che “la parola di Dio è viva ed efficace, discerne i
sentimenti e i pensieri del cuore”, nel contesto del brano evangelico odierno
significa: non si può a lungo mescolare ciò che è importante, essenziale, con
ciò che è superficiale, vacuo. Se la parola del Signore tocca il nostro cuore,
allora appare subito evidente che non si può barattare il di più con il di
meno. Se voglio la ricchezza comunque, ciò vuol dire che non voglio il Signore
e quindi non mi interessa la giustizia; se voglio il mio diritto comunque, ciò
significa che non mi sta a cuore il prossimo; se voglio un bene a scapito della
giustizia, ciò significa che non voglio la pace: “Solo in Dio riposa l’anima mia: da lui la mia speranza”.
Di fronte
alle preoccupazioni e alle vicissitudini della vita, Gesù invita: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e
la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. È come
un invitare a vivere da dentro una relazione riuscita, quella per cui tutte le
cose che cerchiamo trovano la loro destinazione di fondo. Non agire in questo
modo significa vivere a partire dall’assillo della paura che attanaglia il
cuore dell’uomo. Non è solo la paura di non avere quello che ci è necessario,
ma la paura che altri prendano quello che è nostro, per cui la lotta contro la
paura si risolve nella diffidenza verso tutti e nella lamentela contro la vita.
La scoperta
da fare è proprio la benevolenza di Dio che ha deciso di ‘darci il Regno’ comunque. Il regno
non si sostituisce ai beni di questo mondo, che ci sono necessari. Fa’ in modo
che il perseguimento dei beni non ci perverta il cuore, contro noi stessi e
contro il prossimo; fa in modo che i beni raggiungano la loro vera destinazione
nel senso di schiudere il cuore alla gratitudine e alla condivisione perché
l’amore di Dio splenda nel mondo. Non si tratta però di una saggezza umana, forse
anche condivisibile, ma incapace di rispondere al dramma dell’uomo e della
storia. Si tratta del segreto di Dio per l’uomo, che Gesù svela e che partecipa
ai cuori che sono disposti ad accoglierlo, come più avanti nel racconto
evangelico dirà: “Venite a me, voi tutti
che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra
di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro
per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt
11,28-30).
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Is 49, 14-15
Dal libro del profeta Isaìa
Sion ha
detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore
mi ha dimenticato».
Si dimentica
forse una donna del suo bambino,
così da non
commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se
costoro si dimenticassero,
io invece
non ti dimenticherò mai.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 61
Solo in Dio riposa l’anima mia.
Solo in Dio
riposa l’anima mia:
da lui la
mia salvezza.
Lui solo è
mia roccia e mia salvezza,
mia difesa:
mai potrò vacillare.
Solo in Dio
riposa l’anima mia:
da lui la
mia speranza.
Lui solo è
mia roccia e mia salvezza,
mia difesa:
non potrò vacillare.
In Dio è la
mia salvezza e la mia gloria;
il mio
riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in
lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a
lui aprite il vostro cuore.
Seconda Lettura
1 Cor 4, 1-5
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.
Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele.
A me però
importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io
non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna
colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!
Non vogliate
perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli
metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori;
allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
Vangelo Mt 6,
24-34
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può
servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si
affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la
ricchezza.
Perciò io vi
dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete,
né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più
del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli
uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure
il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi,
per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il
vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non
faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua
gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che
oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di
poca fede?
Non
preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa
indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro
celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate
invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi
saranno date in aggiunta.
Non preoccupatevi
dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun
giorno basta la sua pena».