Quinto ciclo
Anno liturgico A (2013-2014)
Tempo Ordinario
XXXIII Domenica
(16 novembre 2014)
_________________________________________________
Pr 31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30
_________________________________________________
La parabola di oggi è incastonata
tra la parabola delle dieci vergini, che invita a stare vigilanti e la parabola
del giudizio finale, che rivela su cosa saremo giudicati nel nostro fare, cioè
sull’amore. La parabola dei talenti invita invece alla fedeltà nell’operare. Il
padrone distribuisce i suoi beni per mettere gli uomini nella opportunità di
giocare la loro vita, concepita nei termini di un esercizio di responsabilità.
La domanda di accesso al mistero della parabola può essere la seguente: cosa è
in gioco nella nostra operosità? In che cosa siamo servi? Servi per che cosa?
Anzitutto rendiamoci conto di che
operosità si tratta. L’uomo che parte per un viaggio rappresenta Gesù stesso,
che con la sua morte-risurrezione-ascensione lascia i suoi discepoli affidando
loro i misteri del Regno. La somma data è assai cospicua (secondo alcuni
calcoli corrisponderebbe a circa cento anni di paga o, in termini monetari, a
una quantità d’oro enorme, equivalendo un talento a Kg 34). Anche per questo
sembra strano che il padrone, alla resa dei conti, dichiari che questa cifra
enorme è poca cosa! I talenti si riferirebbero cioè alla fede in Gesù con tutto
quello che comporta quanto al partecipare ai segreti di Dio, come dirà Gesù
nell’ultima cena ai suoi discepoli: “Non
vi chiamo più servi … vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal
Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
Quello che fa problema è la
spiegazione del terzo servo, che aveva ricevuto un talento e che dichiara la
sua paura per averlo nascosto sottoterra. Le sue parole rivelano la sua
indisponibilità verso il padrone. Da dove gli deriva il cattivo giudizio, la
sua paura?
La liturgia sembra suggerire lo
scenario per evitarci di cadere in quel cattivo giudizio. L’antifona di ingresso
riporta le parole del Signore al popolo esiliato a Babilonia: “Io ho progetti
di pace e non di sventura …”. Quelle parole si trovano nella lettera che il
profeta Geremia aveva scritto ai deportati per diffidarli dal credere che
l’esilio sarebbe durato poco, come alcuni millantati profeti andavano dicendo
sulla base di notizie di rivolte che erano scoppiate qua e là nell’impero
babilonese. Li invita a pazientare e a sfruttare il tempo dell’esilio per
tornare al Signore, fiduciosi che a suo tempo il Signore li avrebbe riportati a
casa. Quando la liturgia invita alla fedeltà quanto alla nostra operosità sa
che il contesto in cui esercitare tale operosità è l’esilio, un tempo difficile
da non sprecare in recriminazioni e ribellioni. Così l’antica colletta prega:
“Il tuo aiuto, Signore, ci renda sempre lieti nel tuo servizio, perché solo
nella dedizione a te, fonte di ogni bene, possiamo avere felicità piena e
duratura”. E l’orazione sui doni proclama: “Quest’offerta che ti presentiamo,
Dio onnipotente, ci ottenga la grazia di servirti fedelmente e ci prepari il
frutto di un’eternità beata”.
Il ‘servizio fedele’ non può essere
che il medesimo esercitato dal Maestro, quello di mostrare la grandezza
dell’amore del Padre per i suoi figli, servizio che risalta in tutta la sua
bellezza proprio nella lavanda dei piedi nell’ultima cena. Alla resistenza di
Pietro a farsi lavare i piedi, Gesù non ha altro argomento per convincere
Pietro che questo: “Se non ti laverò, non
avrai parte con me” (Gv 13,8). Non è forse la
stessa cosa che dice il padrone ai servi fedeli: “ .. sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla
gioia del tuo padrone”?
E se l’opera di Gesù si risolve
nella gloria del Padre perché ne fa risplendere lo splendore in mezzo agli
uomini con la sua testimonianza di amore fino alla fine (fino a raggiungere lo
scopo della Provvidenza di Dio, che è quello di riunire a Sé i figli
dispersi!), così sarà l’opera dei suoi servi. Siamo servi di questo ‘splendore’
di Dio dovuto all’umanità perché ottenuto da Gesù per noi. Il servo che ha
nascosto il talento è colui che vuole solo per sé ciò che invece è trovato
donandolo, è il servo che non vuol seguire la dinamica della fede, ne
svigorisce il potere e chiude agli uomini la possibilità di cogliere, almeno
per la parte di cui è responsabile, lo splendore dell’amore di Dio. Non è più
‘buono a nulla’ ed è malvagio perché impedisce a Dio di essere conosciuto dai
suoi figli! Non sa o non vuol sapere che la sua felicità dipende dal farsi dono
a tutti perché l’amore del Signore splenda in questo mondo.
Ora, se la ‘responsabilità’ del dare
se stessi è esercitata di fronte a Colui che per noi ha dato se stesso,
l’esercizio di tale responsabilità è volto direttamente verso i fratelli, in
specie i fratelli più piccoli, per i quali, come per noi, il Signore ha dato se
stesso. Come ci ricorda un racconto chassidico. Un uomo entusiasta di Dio vagò
nell’universo fino ad arrivare alle porte del segreto. Bussò. Da dentro gli fu
chiesto: “Che cosa cerchi qui?”. Disse: “Ho proclamato la tua lode agli orecchi
dei mortali, ma erano sordi alla mia parola. Allora giungo a te, perché tu
stesso mi ascolti e mi risponda”. “Torna indietro”, si udì dall’interno, “qui
non c’è orecchio per te. Ho inabissato il mio udito nella sordità dei mortali”.
Così, per cogliere la natura del
trafficare i talenti, bisogna rivolgersi alla parabola di domenica prossima,
quella sul giudizio finale, allorquando il Signore Gesù dirà a ciascuno: ‘avevo
fame e mi hai dato da mangiare …’. La vita si gioca nel dare amore e scoprirsi
figli dello stesso Padre. Quando l’uomo teme di dare se stesso, come nel caso del servo cattivo, in gioco non
è semplicemente la sua pigrizia verso gli altri uomini, ma l’autocensura
rispetto alla vita e l’incapacità del pentimento perché dice: è tutto sbagliato
se Dio ha fatto così le cose, se Dio agisce così! E così la vita non assurge
mai a quel livello di dignità che la rende desiderabile, feconda e fruttuosa.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
Prima Lettura Pr
31,10-13.19-20.30-31
Dal libro dei Proverbi
Una donna
forte chi potrà trovarla?
Ben
superiore alle perle è il suo valore.
In lei
confida il cuore del marito
e non verrà
a mancargli il profitto.
Gli dà
felicità e non dispiacere
per tutti i
giorni della sua vita.
Si procura
lana e lino
e li lavora
volentieri con le mani.
Stende la
sua mano alla conocchia
e le sue
dita tengono il fuso.
Apre le sue
palme al misero,
stende la
mano al povero.
Illusorio è
il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna
che teme Dio è da lodare.
Siatele
riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue
opere la lodino alle porte della città.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 127
Beato chi teme il Signore.
Beato chi
teme il Signore
e cammina
nelle sue vie.
Della fatica
delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice
e avrai ogni bene.
La tua sposa
come vite feconda
nell’intimità
della tua casa;
i tuoi figli
come virgulti d’ulivo
intorno alla
tua mensa.
Ecco com’è
benedetto
l’uomo che
teme il Signore.
Ti benedica
il Signore da Sion.
Possa tu
vedere il bene di Gerusalemme
tutti i
giorni della tua vita!
Seconda Lettura
1Ts 5,1-6
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Tessalonicési
Riguardo ai
tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti
sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la
gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà,
come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi,
fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come
un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non
apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo
dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Vangelo Mt
25,14-30
Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà
come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò
loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno,
secondo le capacità di ciascuno; poi partì. ]
Subito colui
che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri
cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel
terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
[ Dopo molto
tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò
colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo:
“Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri
cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato
fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo
padrone”. ]
Si presentò
poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato
due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele –
gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto;
prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò
infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che
sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai
sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra:
ecco ciò che è tuo”.
Il padrone
gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato
e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai
banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a
chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto
anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà
pianto e stridore di denti”».