Quinto
ciclo
Anno
liturgico A (2013-2014)
Tempo
Ordinario
XXVIII Domenica
(12 ottobre
2014)
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Is 25,6-10; Sal 22 (23); Fil
4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
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La domanda di fondo che emerge dalla liturgia di oggi potrebbe suonare:
la dignità dell’uomo su cosa si misura? Nella parabola, altamente
drammatica anche per l’accenno alla catastrofe subita da Gerusalemme nel 70
d.C. ad opera dei Romani (“Allora il re
si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle
fiamme la loro città”), il re sentenzia: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni”.
Le nozze
dell’Agnello (“sono giunte le nozze dell’Agnello”, Ap 19,7)
sono l’immolazione del Figlio nella sua dimensione di compimento e vivibilità
della comunione tra Dio e gli uomini dentro lo splendore di un amore goduto.
Perché il re proclama che gli invitati non erano degni? Non ci sono condizioni
previe da osservare; c’è semplicemente il fatto di non aver accolto l’invito.
L’indegnità corrisponde dunque al rifiuto dell’invito del proprio Signore.
L’uomo non è mai indegno rispetto all’amore del Signore perché è il Signore che
prende l’iniziativa di rivolgergli il suo amore, senza condizioni. Ma l’uomo può sempre opporre le sue ragioni, può ripararsi
dietro la nobiltà ostentata delle sue ragioni e non aderire.
La parabola
allude sia al possibile rifiuto di Israele come al possibile rifiuto della
Chiesa: gli invitati rinunciano, il commensale, che non porta la veste nuziale,
verrà estromesso dalla sala di nozze. Tra la vocazione gratuita e il giudizio
escatologico, che appartiene solo a Dio, sussiste lo spazio che possiamo chiamare della dignità cristiana. Sono chiamati
tutti, buoni e cattivi; non c’è alcuna distinzione rispetto all’invito. Anzi, come prega la colletta: “O Padre, che inviti il mondo intero
alle nozze del tuo Figlio …”, la dignità dell’uomo si misura sul fatto di non
impedire a nessuno l’accesso all’invito: siamo chiamati tutti alla stessa
tavola del re. Quando però disprezziamo il nostro fratello, quando
portiamo rancore, quando creiamo distanza con i nostri fratelli, è come se
impedissimo a qualcuno di ricevere l’invito del re ad andare alla stessa tavola
della vita. Disprezziamo la volontà del padrone e noi non possiamo più goderla.
E questo avviene perché qualche ragione ‘nobile’ ci ha impedito di accogliere
l’invito del re, perché non abbiamo conosciuto la
premura dell’amore di Dio per noi.
Il parallelo
con il brano di Isaia è illuminante. Il profeta descrive il lauto banchetto
imbandito sul monte Sion per tutte le genti. L’elezione di Israele è per
attirare tutte le genti all’amore del Signore, amore
che il Signore farà gustare a tutti. Nella visione del profeta tre sono gli
aspetti che caratterizzeranno la gioia della vita: la conoscenza del Signore
invaderà i cuori (‘il velo strappato), la morte non
avrà più potere, ognuno godrà personalmente (‘lacrime asciugate). Allora si
dirà: “Ecco il nostro Dio”, sottolineando nostro come espressione di una
esperienza goduta. Allorquando le nozze del Figlio
saranno celebrate, guardando a Colui che è stato trafitto, allora si potrà
dire: “Ecco il nostro Dio”, ecco dove l’amore ha condotto il nostro Dio, ecco
l’amore che fa vivere il nostro cuore. La visione di quell’amore non vale
semplicemente per me, ma per me se vale contemporaneamente per tutti. Così, non
si tratta di credere semplicemente al Figlio di Dio, ma di vedere il suo amore
per noi che diventa in noi radice di vita per tutti. Così custodiamo per tutti
l’invito alla tavola del re.
Quando il
salmo 22 riprende la visione di Isaia usa l’immagine
del pastore che ci procura ristoro. In realtà allude alla rivelazione di Gesù:
“Venite a me, voi tutti che siete stanchi
e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio
giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti
è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,29-30). L’invito alle nozze
corrisponde al ‘venite’ di Gesù e per noi si traduce
nell’andarci in compagnia di tutti i nostri fratelli perché il suo desiderio di
comunione con noi si compia nel suo splendore.
Se ancora ci perseguita l’idea di indegnità rispetto alla chiamata
all’amore, allora valgono le parole del canto di ingresso: “Se
consideri le nostre colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma
presso di te è il perdono, o Dio di Israele” (Sal 130,3-4). Il perdono di Dio
corrisponde all’invito alla sua stessa tavola in compagnia di tutti. Così sono
custodite la preziosità dell’invito e l’umiltà per l’invitato. Come suggeriva
il versetto dell’alleluia tratto dalla lettera agli Efesini, il cui passo
completo suona: “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il
Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più
profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi
comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude
la sua eredità fra i santi …” (Ef 1,17-18). Possa
davvero il nostro cuore aprirsi al dono di speranza e di gloria che il Signore
ha preparato per noi! Quello che il passo dice ai nostri orecchi, l’icona della
Trinità di Rublev lo fa vedere ai nostri occhi: i tre
angeli in dolce colloquio, uniti nell’amore all’uomo per il quale il Padre
celebra le nozze del Figlio e invita tutti, nella forza dello Spirito, a
partecipare alla sua gioia. Sulla mensa giace l’Agnello immolato, simbolo e
mistero di questo infinito amore che siamo tutti invitati a gustare.
Alle nozze
del Figlio fa riscontro la nostra gioia, non la nostra perfezione. Ma la gioia dice l’apertura del nostro cuore all’invito del
Padre, nonostante la nostra patente indegnità. In questo contesto
suona strana la dichiarazione finale della parabola: ‘molti sono chiamati, ma pochi eletti’. Di tutta la moltitudine che
riempiva la sala, solo uno è stato trovato senza la veste appropriata! Se non è
un invito alla speranza questo, a fidarci dell’amore di Dio!!!
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Is 25, 6-10
Dal libro del profeta Isaia
Preparerà il
Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di
grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di
cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che
copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio
asciugherà le lacrime su ogni volto, l'ignominia del suo popolo farà scomparire
da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci
salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo
per la sua salvezza, poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».
Salmo Responsoriale dal Salmo 22 (23)
Abiterò per sempre nella casa del
Signore.
Il Signore è
il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli
erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca
l'anima mia. R.
Mi guida per
il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se
vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con
me.
Il tuo
bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. R.
Davanti a me
tu prepari una mensa
sotto gli
occhi dei miei nemici.
Ungi di olio
il mio capo;
il mio calice trabocca. R.
Sì, bontà e
fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni. R.
Seconda Lettura
Fil 4,12-14.19-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Filippési.
Fratelli, so
vivere nella povertà come so vivere nell'abbondanza;
sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e
all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la
forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. Il mio
Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con
magnificenza, in Cristo Gesù. Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei
secoli. Amen.
Vangelo Mt 22, 1-14
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai
farisei] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un
re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a
chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo
altri servi con quest'ordine: Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio
pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto;
venite alle nozze!. Ma quelli
non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri
poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli
assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: La festa
di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi
delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli
alle nozze. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che
trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il
re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito
nuziale. Gli disse: Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo
mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di
denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».