Quinto
ciclo
Anno
liturgico A (2013-2014)
Tempo
di Natale
Santa Famiglia
(29
dicembre 2013)
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Sir
3, 3-7.14-17a; Sal
127; Col 3, 12-21; Mt 2, 13-15. 19-23
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È
significativo che la Chiesa non celebri l'incarnazione del Figlio di Dio in
generale, ma dentro una singola famiglia della famiglia umana. Per quanto
misteriosa e singolare sia questa famiglia, è proprio a questa famiglia che
tutte le altre famiglie possono guardare per comprendere e vivere il loro
stesso mistero. Si tratta del mistero che io definirei dell’obbedienza
all’amore. Parlo di obbedienza prima che di amore perché l’amore costituisce
l’esito di un’obbedienza confidente.
Si
appartiene all’umanità perché si nasce da una donna, ma si diventa ‘umani’
perché accolti in una famiglia. È il destino della chiamata alla vita, della
vocazione umana: si diventa uomini solo dentro una storia riconosciuta, che ci
precede e ci accompagna, imparando a riconoscere e vivere quella ‘promessa’ di
vita che resta inscritta in noi venendo al mondo sia per i genitori che per i
figli. La famiglia è il luogo di svelamento di quella promessa che viene
dall’alto, il luogo di riferimento esistenziale che segna la natura dei nostri
sogni. Non è il luogo da dove proviene la promessa; è più semplicemente il
luogo dove la promessa diventa nostra, diventa mia.
La figura di
Giuseppe nella famiglia di Nazaret è altamente
eloquente. La sua vita si gioca attorno a tre sogni che orientano le sue
decisioni. “Prendi la tua sposa…” gli dice l’angelo e
Giuseppe acconsente. Non aveva previsto in questo modo la sua vita, ma
l’obbedienza a questo invito gli fornisce le condizioni concrete in cui vivere
il suo amore a Maria compiendone la promessa di vita che racchiudeva nel sogno
d’amore di Dio per l’umanità. Non può però prevedere lo svolgimento della
storia per cui, ancora una volta, deve acconsentire all’invito dell’angelo che
lo distoglie dalle sue attese: “Fuggi…”. E poi
ancora: “Ritorna… Va’ in Galilea…”.
L’amore di Giuseppe si gioca nel vivere con responsabilità, coraggio,
intelligenza, determinazione, le sempre nuove condizioni di vita in cui è come
costretto. Più si immerge nei dettagli della storia, più deve allargare la sua
percezione del mistero: al massimo di dettaglio corrisponde il massimo di
allargamento. È tutto il mistero della fede di Giuseppe, come del resto della
Vergine. L’amore è in funzione del compimento del sogno di Dio di stare con gli
uomini.
La lettera
di Paolo ai Colossesi descrive la famiglia come il
luogo di esercizio e di visione nella fede. Paolo parla di ‘sottomissione’ per
la moglie, di ‘amore’ per il marito, di ‘obbedienza’ per i figli. Il senso lo
si ricava dalle espressioni precedenti quando Paolo delinea la comunità dei
credenti come eletti di Dio rivestiti dei sentimenti di Cristo, riconciliati,
nella pace di un unico sentire, con la parola di Cristo che tutto regge e
pervade. La ‘sottomissione’ della donna non ha nulla a che vedere con la
soggezione all’uomo: è l’espressione di quella visione del mistero che
appartiene alla donna, che le colma il cuore e che estende continuamente i
confini di quell’‘amore’ che è richiesto all’uomo, perché senza di lei l’uomo
non saprebbe coglierne la profondità e la preziosità. La ‘obbedienza’ dei figli
in quel contesto non è che l’appropriazione della tenerezza verso la propria
umanità, terreno ideale per imparare a vedere la ‘promessa’ di vita che si apre
davanti a loro. E così tutti restano immersi in quell’unico mistero che regge e
orienta la loro vita, mistero di cui imparano, insieme, poco a poco, a
dipanarne i segreti nel concreto della vita.
L'avvertimento
di Paolo ai Colossesi "...rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di
misericordia ... perdonandovi a vicenda ... e la pace di Cristo regni nei
vostri cuori..." allude appunto al mistero di obbedienza. L'obbedienza
si fa trasparenza della tenerezza di Dio che non disdegna di consegnarsi agli
uomini perché essi imparino a consegnarsi vicendevolmente e a Lui. E se
l'obbedienza non porta a svelare la tenerezza vuol dire che non procede
dall'adorazione, da una visione, ma solo da una volontà. E quando tutto
procedesse dalla mia volontà, come posso accogliere e celebrare la salvezza che
viene da Dio? Come essere custodi del segreto di Dio per noi?
Il vangelo
presenta Giuseppe proprio come il custode del segreto di Dio, nella concretezza
e nel dramma della vita quotidiana, custode della tenerezza di Dio per
l'umanità, che per lui si concentrava nella sua famiglia, luogo di rivelazione
di Dio nel mondo e la sua storia è storia di questa famiglia, storia per questa
famiglia. La realizzazione di sé, come diremmo oggi, passa per l'assunzione di
un compito di grazia che fa dell'obbedienza a Dio, nel cammino di fedeltà
all'assolvimento di tutto ciò che un tal compito comporta nel concreto delle
situazioni, la porta dell'amore. Porta che può essere intravista solo se gli
occhi del cuore 'vedono' quanto basta per non tirarsi indietro. Con la figura
di Giuseppe viene descritto il ‘dramma’ in cui si vive la storia di un amore,
in quel gioco di responsabilità che continuamente rimanda e alla concretezza
dell’agire e alla grandezza del mistero in cui si è buttati e di cui si svela
poco a poco la benevolenza per noi tutti.
Abbiamo solo
bisogno di 'rivestirci', di divenire cioè consapevoli del dono e compito di
grazia che ci ha riguardati nell'intimo e ci ha resi, nella nostra piccolezza e
nelle situazioni concrete, 'evangelici', cooperatori della gioia altrui, segni
e strumenti di salvezza, come Giuseppe. Non però di quella salvezza operata da
noi, come se il nostro amore bastasse a salvare noi o gli altri, ma di quella
che viene da Dio la cui debolezza è più forte della forza degli uomini,
debolezza la cui eco io sento nel qualificare Gesù 'il nazareno'.
In effetti,
l’ultimo versetto del brano evangelico letto riporta: "... andò ad abitare in una città chiamata Nazaret,
perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato
Nazareno»". Non è chiaro a quali passi profetici l'evangelista si
richiama, ma è chiara l'allusione al mistero che quell'aggettivo comporta. Due
sono almeno i significati di quell'aggettivo. Designa Gesù come proveniente da Nazaret: esprime la concretezza della sua umanità quanto
alle radici, agli affetti, alla crescita. Gesù è uomo non solo perché è nato,
ma perché è stato allevato, nutrito, curato, educato, amato, in una famiglia
umana. Nazareno richiama poi 'nazir' (cfr. Gen 49,26; Gdc 13,5), il
consacrato a Dio, il Santo di Dio: esprime la natura del compito che è chiamato
a compiere: salvare Israele, salvare l'umanità.
Se poi
andiamo a vedere quando Gesù è chiamato 'nazareno' notiamo che lo chiamano così
i demoni (Mc 1,24), gli angeli (Mc 16,6); ma soprattutto l'aggettivo compare nei
racconti della passione di Giovanni, all'arresto e soprattutto sull'iscrizione
sopra la croce: Gesù Nazareno Re dei Giudei (Gv 18,5;
19,19). Tutte sottolineature della realtà della sua umanità: è proprio
quell'uomo che è vissuto a Nazaret, la cui famiglia è
di Nazaret, è proprio lui il Figlio di Dio, morto e
risorto per la nostra salvezza.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Sir
3, 3-7.14-17a
Dal libro di Siracide
Il Signore
ha glorificato il padre al di sopra dei figli
e ha
stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il
padre espìa i peccati e li eviterà
e la sua
preghiera quotidiana sarà esaudita.
Chi onora
sua madre è come chi accumula tesori.
Chi onora il
padre avrà gioia dai propri figli
e sarà
esaudito nel giorno della sua preghiera.
Chi
glorifica il padre vivrà a lungo,
chi
obbedisce al Signore darà consolazione alla madre.
Figlio,
soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non
contristarlo durante la sua vita.
Sii
indulgente, anche se perde il senno,
e non disprezzarlo,
mentre tu sei nel pieno vigore.
L’opera
buona verso il padre non sarà dimenticata,
otterrà il
perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 127
Beato chi teme il Signore e cammina
nelle sue vie.
Beato chi
teme il Signore
e cammina
nelle sue vie.
Della fatica
delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice
e avrai ogni bene.
La tua sposa
come vite feconda
nell’intimità
della tua casa;
i tuoi figli
come virgulti d’ulivo
intorno alla
tua mensa.
Ecco com’è
benedetto
l’uomo che
teme il Signore.
Ti benedica
il Signore da Sion.
Possa tu
vedere il bene di Gerusalemme
tutti i
giorni della tua vita!
Seconda Lettura
Col 3, 12-21
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Colossesi
Fratelli,
scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà,
di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e
perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei
riguardi di un altro.
Come il
Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose
rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo
regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E
rendete grazie!
La parola di
Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e
ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine,
cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in
opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui
grazie a Dio Padre.
Voi, mogli,
state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le
vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in
tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli,
perché non si scoraggino.
Vangelo Mt 2,
13-15. 19-23
Dal vangelo secondo Matteo
I Magi erano
appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli
disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre,
fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare
il bambino per ucciderlo».
Egli si
alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove
rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal
Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode,
ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:
«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’
nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il
bambino».
Egli si
alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando
venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al
posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si
ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per
mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».