Quinto
ciclo
Anno
liturgico A (2013-2014)
Solennità
e feste
Ss. Trinità
(15 giugno
2014)
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Es
34, 4b-6. 8-9; Dn
3,52.56; 2 Cor
13, 11-13; Gv
3, 16-18
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All’ingresso
la chiesa canta: “Sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo
Spirito Santo: perché grande è il suo amore per noi”. Benedizione, che viene
ripresa nell’antica colletta con la supplica: “fa’ che nella professione della
vera fede riconosciamo la gloria della Trinità”. È la sintesi della lunga
benedizione di Paolo all’inizio della lettera agli Efesini: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei8 cieli in
Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo ….” (Ef 1,3sgg). Non si dà benedizione senza essere inglobati
nella rivelazione della ‘gloria’ di Dio che è amore per noi.
Proclamare
Dio come Trinità di Persone significa riconoscere che di Dio null’altro possiamo
conoscere che il suo amore per noi. E colui che di quell’amore è il Testimone
per eccellenza è quel Figlio inviato a patire, morire e risorgere perché quella
conoscenza diventi la radice di vita che alimenta i nostri cuori. Perché questo
è il mistero: proclamare l’amore di Dio per noi significa attingere alle radici
della vita.
Scopriamo
tutta la drammaticità che comporta la rivelazione dell’amore dalla lettura
dell’Esodo nei capitoli 32-34. Dio, che aveva svelato a Mosè il tradimento del
popolo a causa del vitello d’oro, era pronto a distruggerlo e a formarsene uno
nuovo. Mosè ricorda al suo Dio le sue promesse e intercede per il popolo.
Quando scende dal Sinai con le tavole della Legge tagliate e scritte da Dio, le
spezza contro la montagna, distrugge il vitello e fa perire di spada gli
apostati. Ma il Signore perdonerà? L’angoscia è totale. Anche Mosè sa che se il
Signore venisse in mezzo al popolo lo sterminerebbe. Allora, nella sua
intercessione angosciosa, aggiunge: se non vuoi loro, cancella anche me! E
insiste presso il Signore: indicami la tua via, cammina con noi. E a garanzia
chiede a Dio di mostrargli la sua gloria. Quando risale sul Sinai, dopo che il
Signore ha accettato le sue richieste, Mosè ode il Nome di Dio: “Il Signore, il
Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di
fedeltà”. E l’angoscia si scioglie: Dio perdona!
La ‘gloria’
di Dio non è che lo splendore del suo amore per i suoi figli. E solo dalla
consapevolezza della propria indegnità risalta tutta la qualità dell’amore di
Dio per l’uomo: un amore perdonante, un amore ricco in misericordia. Tanto che
in tutto l’Antico Testamento, di nessun uomo si riporta che sia
‘misericordioso’, ma solo di Dio.
Quando il
popolo sente, prima che Mosè interceda,
che Dio non verrà più in mezzo a loro, fa lutto. Sul Sinai, come sul
Calvario, per noi l’amore di benevolenza di Dio per i suoi figli diventa
esperibile solo ‘facendo lutto’, solo riconoscendo la nostra insensata
idolatria e consegnandoci di nuovo interamente nelle mani del Dio Vivente.
Tutta la Scrittura ricorda come quell’esperienza sia la più sublime e la più
tormentosa, la più agognata e la più temuta. Non è così facile spiegarne il
perché nonostante non ci manchino le ragioni di comprensione, che però il cuore
stenta ad accogliere. Eppure, anche per noi risulta vera la proclamazione
evangelica: “Dalla sua pienezza noi tutti
abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,16-17). Se l’uomo cerca la verità, la verità di cui ha
sete il suo cuore è una verità di grazia e contemporaneamente una grazia di
verità. La festa di oggi invita ciascuno a vivere la propria vita
nell’atteggiamento di chi si dispone ad accogliere nel suo cuore la grazia di verità che il Signore Gesù
testimonia rivelando l’amore del Padre e donandoci il suo Spirito.
Così il
credere in Gesù (“Dio ha tanto amato il
mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada
perduto, ma abbia la vita eterna”), comporta sempre:
1) la
speranza in una promessa, indefinita forse, ma chiaramente avvertita. La vita,
quella che riempie, non è mai immediata; se pure è alla nostra portata, non è
facilmente coglibile. Il vangelo ce lo ricorda
spesso: se il chicco di grano caduto in terra non muore, non porta frutto; se
vuoi la vita, sii disposto a perderla ...
2)
l'accettazione di un rapporto, da dentro il quale scaturisce la vita e più si
ha il coraggio di impegnare tutto il proprio cuore in esso, più la vita scorre
abbondante
3) un
consegnarsi in fiducia e quando nulla del nostro cuore si sottrarrà a questo
consegnarsi, la vita sarà stabilmente goduta, immancabilmente piena.
Il nome che
Dio proclama: “Dio misericordioso e
pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e fedeltà” si riassume
nell’esperienza che ‘il Signore è per noi’, esperienza che Gesù fa splendere in
tutta la sua bellezza. Chi ci apre a quella esperienza è proprio lo Spirito
Santo il quale ci mette in comunione con l’amore del Padre, di cui il Figlio è
la grazia di verità per noi. Lo Spirito ritorna a scrivere direttamente sul
nostro cuore le parole di Dio di modo che noi non le professiamo semplicemente
ricordando che sono parole di Dio, ma vivendole direttamente come mozione di
Dio in noi. Si torna alle primitive tavole della legge che aveva scritto
direttamente il dito di Dio, tavole che Mosè aveva poi infranto dopo il peccato
del vitello d’oro.
È
caratteristico che il cristiano, tracciando il segno di croce sulla propria
persona, l’accompagni con la confessione trinitaria: Padre, Figlio, Spirito
Santo. Come a dire: l’amore di Dio per gli uomini, che si è rivelato in tutto
il suo splendore a partire dalla croce di Gesù, riempia e copra tutta la mia
persona partecipando alla stessa comunione di vita che intercorre tra le tre
Persone divine. E quando quel segno si traccia sulle cose o prima delle varie
azioni si intende accedere alla dimensione di rivelazione dell’amore di Dio per
il nostro cuore che quegli atti comportano nella sua provvidenza per noi.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Es 34, 4b-6. 8-9
Dal libro dell'Èsodo
In quei
giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore
gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.
Allora il
Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del
Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore,
Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».
Mosè si
curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi
occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato:
fa’ di noi la tua eredità».
Salmo Responsoriale
Dn 3,52.56
A te la lode e la gloria nei secoli.
Benedetto
sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.
Benedetto il
tuo nome glorioso e santo.
Benedetto
sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.
Benedetto
sei tu sul trono del tuo regno.
Benedetto
sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi
e siedi sui
cherubini.
Benedetto
sei tu nel firmamento del cielo.
Seconda Lettura
2 Cor 13, 11-13
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli
stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con
voi.
Salutatevi a
vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.
La grazia
del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo
siano con tutti voi.
Vangelo Gv 3, 16-18
Dal vangelo secondo Giovanni
«Dio ha
tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui
non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio,
infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché
il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in
lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha
creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».