Quinto
ciclo
Anno
liturgico A (2013-2014)
Solennità
e feste
Ss. Corpo e Sangue di Cristo
(22 giugno
2014)
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Dt 8,2-3.14b-16a; Sal 147; 1 Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
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Quando s.
Agostino si domanda quale sia la virtù specifica dell'Eucarestia, non può che
rispondere: "La virtù propria di questo nutrimento è quella di produrre
l'unità, affinché, ridotti ad essere il corpo di Cristo, divenuti sue membra,
siamo ciò che riceviamo". In effetti, quando ci accostiamo alla comunione
eucaristica, l’amen che il fedele risponde non significa : sì, credo che quel
pezzo di pane è il corpo di Cristo, ma, più in verità: sì, so che faccio parte
di quel corpo e accetto di vivere come un corpo solo!
Un corpo
solo con il Signore Gesù, che si è consegnato agli uomini perché gli uomini
conoscessero la grandezza dell’amore di Dio per loro! La liturgia oggi
sottolinea fortemente la realtà di quell’essere un corpo solo, nella consegna
al mondo. Il brano di Giovanni, con un realismo perfino provocatorio, lo rivela
chiaramente. Gesù, che si presenta come il pane vero disceso dal cielo,
raffigurato nella manna che gli ebrei ebbero in dono nella loro traversata del
deserto, non dice semplicemente che chi mangia di lui avrà la vita. Dice più
specificamente: chi lo ‘mastica rompendo con i denti’, azione tipica del
mangiare a livello corporale. Ebbene, nello spirito, l’azione del mangiare il
corpo del Signore, è ancora più reale del mangiare fisico. Tra l’altro,
Giovanni sottolinea come il primo effetto del mangiare la carne del Signore
immolato non sia quello di avere il Signore in noi, ma di dimorare noi in lui,
di essere noi presi in lui. E proprio questo effetto primario, tipicamente
spirituale e assolutamente reale, fonte di energia e di vita, induce a
collegare l’essere un corpo solo con il Signore con l’essere un corpo solo
anche tra di noi. Essere nel Signore significa essere assunti nella dinamica di
rivelazione dell’amore di Dio al mondo (questo significa l’essere inviati da
Dio) per cui la vita stessa non può essere vissuta che a servizio dello
splendore di quell’amore.
La prima
richiesta che Andrea e Giovanni fanno a Gesù: “dove dimori?” trova risposta
alla fine della vita di Gesù quando nell’ultima cena rivela che lui dimora
nell’amore del Padre per noi. Con il dono di sé nell’eucaristia, con il
mangiare e bere la sua carne e il suo sangue, anche noi dimoriamo nella sua
stessa dimora, vale a dire possiamo stare radicati nell’amore del Padre per i
suoi figli. Così Gesù, dandosi a noi in cibo, rende anche noi, in lui e con
lui, dimora di Dio in questo mondo.
Quello che
però appare così tanto desiderabile, perché spesso non convince i nostri cuori
nel viverne tutte le implicazioni nella vita concreta? Se rileggiamo tutto il
capitolo 6 di Giovanni riusciamo a intuire la natura di questa difficoltà. Gesù
si presenta come il pane disceso dal
cielo, ma gli ascoltatori, che pure avevano goduto del miracolo della
moltiplicazione dei pani, sono incapaci di riconoscere nel concreto la via di
Dio che a loro si sta rivelando. Perché, pur desiderando la vita, non
l’accolgono? Forse la risposta va cercata proprio in quel movimento di discesa che caratterizza l’agire di Dio.
Il discendere dal cielo non indica
semplicemente la provenienza di Gesù; indica piuttosto il movimento
dell’abbassarsi di Dio per comunicare il suo amore e far vivere. Gli uomini non
amano abbassarsi, benché vogliano la vita e desiderino l’amore. Pensano sempre
in termini di grandezza, ma mondana, dove il potente prevale sul debole, il
grande la spunta sul piccolo e l’affermazione di sé è una questione di
innalzamento. Gesù invece, quando parla di innalzamento, allude sempre al suo
essere innalzato sulla croce, cioè al suo abbassamento, perché è lì che
risplende l’amore di Dio per l’uomo.
Il dimorare
in Gesù, mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, allude al rimanere in
questo movimento di discesa per essere testimoni dello splendore dell’amore di
Dio in mezzo agli uomini, non avendo altro tesoro più prezioso da custodire.
Dovremmo imparare a collegare il mangiare
e il rimanere in funzione della
manifestazione al mondo dell’amore di Dio.
All'inizio
della celebrazione nel rito bizantino, il sacerdote proclama ad alta voce: “Benedetto il regno del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen!”. Ogni celebrazione
eucaristica predispone al ‘Regno di Dio che viene’, introduce alla beatitudine
evangelica: “Beati i vostri orecchi che
ascoltano, beati i vostri occhi che vedono” o ancora, come ricorda papa
Francesco: “al Padre vostro è piaciuto
rivelare il suo Regno”. Siamo ancora capaci, nelle nostre celebrazioni
eucaristiche, di sintonizzarci con questa dimensione di rivelazione del Regno
che apre la nostra storia alla venuta di qualcosa che è al di là ma che si vive
nella nostra storia? Dire di mangiare e bere la carne e il sangue del Signore
Gesù, per noi immolato e risorto, significa vivere la concretezza della sua
umanità nella nostra, partecipi della stessa dinamica di rivelazione al mondo
dell’amore di Dio.
Non solo, ma
l’Eucaristia è la rivelazione del mistero di tutte le cose. Nell'inno ai vespri
della festa cantiamo: "Frumento di Cristo noi siamo .... In pane
trasformaci, o Padre, per il sacramento di pace: un Pane, uno Spirito, un
Corpo, la Chiesa una-santa, o Signore". E
Francesco d'Assisi, nel suo commento al Padre Nostro, annuncia: "Il nostro pane quotidiano, il tuo Figlio
diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà
a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che egli ebbe
per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì".
Un uomo non
si rivela in tutta la sua totalità se non dentro un mistero più grande di lui,
che gli offre uno spazio di movimento, infinito quanto il suo desiderio. Il
chicco di frumento non conosce la sua vera natura se non viene trasformato in
farina, impastata, cotta in pane e poi assunto in sacramento di pace. L'uomo
non coglie la sua verità se non nel suo porsi con gli altri uomini ed
accogliersi ed offrirsi e farsi punto di comunione, luogo in cui crescere in comunione, assunto
nel corpo di Cristo. Cosa diventa il nostro cuore compreso nella logica
eucaristica? Un amore donato che si fa dimora per tutti nella gioia. E da dove
si pesca la potenza e la freschezza di quell’amore se non nell’essere un corpo
solo con il Signore Gesù, che di quell’amore è il testimone per eccellenza?
È
l'Eucarestia, come dice s. Francesco, a comunicare al cuore dell'uomo credente,
che fa affidamento alla logica che viene dall'alto, la potenza di una memoria,
di una intelligenza e di un sentimento per un amore grande che ci ha toccati,
per Colui che si è rivelato al nostro cuore come capace di amore per noi.
Sperimentando questo, allora le sue parole, il suo agire ed il suo soffrire, si
impastano con il nostro, lo lievitano e, mossi ormai dalla sua stessa dinamica
di vita, impariamo a stare solidali con tutti, in quell’umanità che ci rende un
unico corpo, un corpo solo con il nostro Dio.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Dt 8, 2-3. 14b-16a
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al
popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti
ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e
metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti
osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque
ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu
non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire
che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla
bocca del Signore.
Non
dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto,
dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e
spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata,
senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che
nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 147
Loda il Signore, Gerusalemme.
Celebra il
Signore, Gerusalemme,
loda il tuo
Dio, Sion,
perché ha
rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a
te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette
pace nei tuoi confini
e ti sazia
con fiore di frumento.
Manda sulla
terra il suo messaggio:
la sua
parola corre veloce.
Annuncia a
Giacobbe la sua parola,
i suoi
decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha
fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto
conoscere loro i suoi giudizi.
Seconda Lettura
1 Cor 10, 16-17
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli, il
calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il
sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il
corpo di Cristo?
Poiché vi è
un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti
partecipiamo all’unico pane.
Sequenza
[ Sion, loda
il Salvatore,
la tua
guida, il tuo pastore
con inni e
cantici.
Lauda Sion Salvatorem,
lauda ducem et pastorem,
in hymnis
et canticis.
Impegna
tutto il tuo fervore:
egli supera
ogni lode,
non vi è
canto che sia degno.
Quantum potes,
tantum aude:
quia major omni laude,
nec laudare sufficis,
Pane vivo,
che dà vita:
questo è
tema del tuo canto,
oggetto
della lode.
laudis thema specialis,
panis vivus et vitalis
hodie proponitur.
Veramente fu
donato
agli
apostoli riuniti
in fraterna
e sacra cena.
Quem in sacræ mensæ coenæ,
turbæ fractrum duodenæ
datum non ambigitur.
Lode piena e
risonante,
gioia nobile
e serena
sgorghi oggi
dallo spirito.
Sit laus plena, sit sonora,
sit jucunda, sit
decora
mentis jubilatio.
Questa è la
festa solenne
nella quale
celebriamo
la prima
sacra cena.
Dies enim solemnis agitur,
in qua mensæ
prima recolitur
Hujus institutio.
E il
banchetto del nuovo Re,
nuova,
Pasqua, nuova legge;
e l'antico è
giunto a termine.
In hac mensa novi
Regis,
novum Pascha novæ legis,
phase vetus terminat.
Cede al
nuovo il rito antico,
la realtà
disperde l'ombra:
luce, non
più tenebra.
Vetustatem novitas,
umbram fugat veritas,
noctem lux eliminat.
Cristo
lascia in sua memoria
ciò che ha
fatto nella cena:
noi lo
rinnoviamo,
Quod in coena Christus gessit,
faciendum hoc expressit
in sui memoriam.
Obbedienti
al suo comando,
consacriamo
il pane e il vino,
ostia di
salvezza.
Docti sacris institutis,
panem, vinum in salutis
consecramus
hostiam.
È certezza a
noi cristiani:
si trasforma
il pane in carne,
si fa sangue
il vino.
Dogma datur
christianis,
Quod in carnem
transit panis,
Et vinum in sanguinem.
Tu non vedi,
non comprendi,
ma la fede
ti conferma,
oltre la
natura.
Quod non capis, quod non vides,
animosa firmat fides,
Præter rerum ordinem.
È un segno
ciò che appare:
nasconde nel
mistero
realtà
sublimi.
Sub diversis
speciebus,
signis tantum, et non rebus,
latent res eximiæ.
Mangi carne,
bevi sangue;
ma rimane
Cristo intero
in ciascuna
specie.
Caro cibus,
sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utraque specie.
Chi ne
mangia non lo spezza,
né separa,
né divide:
intatto lo
riceve.
A sumente non concisus,
non confractus,
non divisus:
integer accipitur.
Siano uno,
siano mille,
ugualmente
lo ricevono:
mai è
consumato.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti,
tantum ille:
Nec sumptus consumitur.
Vanno i
buoni, vanno gli empi;
ma diversa
ne è la sorte:
vita o morte
provoca.
Sumunt boni, sumunt mali:
sorte tamen inæquali,
vitæ vel interitus.
Vita ai
buoni, morte agli empi:
nella stessa
comunione
ben diverso
è l'esito!
Mors est
malis, vita bonis:
Vide paris
sumptionis
quam sit dispar
exitus.
Quando
spezzi il sacramento
non temere,
ma ricorda:
Cristo è
tanto in ogni parte,
quanto
nell'intero.
Fracto demum sacramento,
ne vacille, sed memento
tantum esse sub fragmento,
È diviso
solo il segno
non si tocca
la sostanza;
nulla è
diminuito
della sua
persona. ]
Quantum tot tegitur.
Nulla rei fit
scissura:
Signi tantum fit fractura,
qua nec status, nec statura
signati minuitur.
Ecco il pane
degli angeli,
pane dei
pellegrini,
vero pane
dei figli:
non dev'essere gettato.
Ecce Panis Angelorum,
factus cibus viatorum:
vere panis flliorum,
non mittendus canibus.
Con i
simboli è annunziato,
in Isacco
dato a morte,
nell'agnello
della Pasqua,
nella manna
data ai padri.
In figuris præsignatur,
cuni Isaac immolatur,
Agnus Paschæ deputatur,
datur manna patribus.
Buon
pastore, vero pane,
o Gesù,
pietà di noi:
nutrici e
difendici,
portaci ai
beni eterni
nella terra
dei viventi.
Bone pastor, panis vere,
Jesu, nostri
miserere:
Tu nos pasce, nos tuere,
tu nos bona fac videre
in terra viventium.
Tu che tutto
sai e puoi,
che ci nutri
sulla terra,
conduci i
tuoi fratelli
alla tavola
del cielo
nella gioia
dei tuoi santi.
Tu qui cuncta seis et vales,
qui nos pascis hic mortales:
Tuos ibi commensales,
coheredes
et sodales
fac
sanctorum civium.
Amen. (Alleluia).
Vangelo Gv 6, 51-58
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i
Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua
carne da mangiare?».
Gesù disse
loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio
dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera
bevanda.
Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che
ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia
me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che
mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».