Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
di Quaresima
2a Domenica
(24 febbraio
2013)
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Gn
15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
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La liturgia
inizia con la rivelazione del desiderio più profondo dei cuori: “Di te dice il mio cuore: ‘Cercate il suo
volto’; il tuo volto, Signore, io cerco”, cantato dal salmo 26 e ora reso
nella nuova versione: “Il mio cuore ripete il tuo invito: Cercate il mio
volto!”. È il versetto che orienta la comprensione dell’evento della
trasfigurazione alla quale tutto il salmo 26, il salmo responsoriale, rimanda,
perché, come dice Paolo nella sua lettera ai Filippesi: “La nostra cittadinanza è nei cieli”. È la cittadinanza alla quale
rimanda la gloria della
trasfigurazione, intravista dai discepoli, impauriti e rapiti nello stesso
tempo, per la quale la chiesa con la colletta fa supplicare per diventarne
partecipi: “purifica gli occhi del nostro spirito perché possiamo godere la
visione della tua gloria”. Gloria che splende sul volto di colui sul quale è
proclamato: “Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!”, come ripete il
canto al vangelo. Viene delineato l’intero arco del percorso del discepolo di
Gesù: ascoltarlo con desiderio, conoscerne il mistero e vederne la gloria.
Tutto il cammino quaresimale è teso a questo obiettivo.
A quale
condizione possiamo essere ammessi alla visione? Solo chi dal fondo del cuore,
nonostante le sue resistenze e confusioni, dice con il salmista: “Di te dice il mio cuore: Cercate il suo
volto” potrà intuire l’esperienza dei tre discepoli sul monte della
trasfigurazione. Qualcosa della bellezza di quel Volto ha ferito allora i cuori
dei discepoli, come del resto ogni nostro cuore aspetta di esserne ferito.
Intervengono gli occhi, ma sono guidati dagli orecchi: la contemplazione del
Signore avviene nello spazio creato nel cuore dalla voce misteriosa di cui gli
occhi ne vedono i contorni di bellezza. Già al battesimo era stata udita la voce
dal cielo, che proclamava Gesù come il Figlio prediletto, ma ora, per i
discepoli, viene aggiunto: “ascoltatelo!”. I discepoli ancora non possono
sapere fin dove li porterà l'ascoltare il loro Maestro e ancora non possono
conoscere tutta la profondità di quell'espressione: “il mio Figlio, l’Amato”,
come poi si rivelerà alle loro coscienze e ai loro occhi con la
passione-morte-risurrezione di Gesù e con la testimonianza della loro vita,
resa capace di portare quello stesso amore di Dio, visto in Gesù e da lui
partecipato, in se stessi e per tutti gli uomini. Anzi, tutta la scena della
trasfigurazione sembra abbia lo scopo, nella narrazione evangelica, di segnare
i cuori dei discepoli in vista della prova della croce. Così non può che
seguire la consegna del silenzio, perché l'evento divino, ancora misterioso al
loro cuore, non si trasformi in un motivo di vanto o di confusione.
Il racconto
della trasfigurazione segue la confessione di Pietro a Cesarea e il primo
annuncio della passione da parte di Gesù ai discepoli increduli. Soltanto Luca
però annota che Gesù aveva preso i discepoli con sé per passare la notte in
preghiera sul monte, descrivendoli in preda all’oppressione del sonno e
soltanto lui svela il contenuto del colloquio tra Gesù e i due uomini apparsi
nella gloria con lui, Mosè ed Elia. Il tutto, evidentemente, allude alla scena
futura del giardino degli ulivi nella notte del tradimento di Gesù. I discepoli
sembrano accorgersi dell’evento della trasfigurazione all’ultimo momento,
allorquando, svegliandosi, vedono Gesù, Mosè ed Elia in colloquio mentre si
stanno congedando. Quasi nello stesso tempo li sorprende la nube e sentono la
voce: “Questi è il mio Figlio, l’amato:
ascoltatelo!”, voce che costituisce il punto di fuga della visione.
La
proclamazione della voce misteriosa, già sentita al battesimo di Gesù nel
Giordano, è costruita sul salmo 2,7: “Egli
mi ha detto: Tu sei mio figlio” e su Isaia 42,1: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui”. Lo conferma il redattore della seconda
lettera di Pietro: “Infatti, vi abbiamo
fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non
perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo
stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e
gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria:
«Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento».
Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul
santo monte” (2Pt 1,16-18).
L’annotazione
della preghiera sul monte allude alla rivelazione che sta per compiersi. Di per
sé, però, la rivelazione non riguarda la visione della gloria, ma il senso
misterioso di quella gloria. In un attimo folgorante, i discepoli vedono, sì,
la gloria di Gesù, ma senza rendersi ben conto. La rivelazione della gloria ha
a che fare invece con il segreto di Dio per l’uomo, che costituisce il
colloquio tra Gesù e i due personaggi: “e
parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme”, ma che
Pietro e i suoi compagni non sanno ancora reggere. Pietro, che non aveva potuto
accettare una settimana prima l’umiliazione e la sofferenza del suo Maestro,
ora davanti al Signore trasfigurato, non sa quel che dice. Se l’evento della
Pasqua del Signore sta al centro del mondo, del senso del mondo, come possono i
discepoli comprendere che fin dalla creazione del mondo il colloquio tra il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo verte sull’immolazione dell’agnello, figura
dell’amore che Dio riversa sul mondo e di cui la gloria della trasfigurazione è
l’allusione misteriosa? Sanno solo che quel Figlio, l’Eletto, è degno di Dio,
custodisce il segreto di Dio per l’uomo e attendono di conoscerlo per davvero
imparando ad ascoltarlo, ad ascoltarlo per seguirlo e a seguirlo per ascoltarlo
finché si manifesti finalmente al cuore. Il senso della paura che prende i
discepoli è appunto il segno del desiderio e del rischio insieme che
caratterizza l’avventura dell’uomo toccato dalla presenza di Dio.
Eppure, nel
riconoscere Mosè ed Elia in colloquio con Gesù, intuiscono che tutte le
Scritture, di cui Mosè ed Elia costituiscono l’espressione riconosciuta,
tendono a quella rivelazione, che tutte le Scritture si compiranno in
quell’evento. Non solo, ma presentare il colloquio che avviene nella gloria significa collocare
quell’evento nella dimensione divina, nella quale si radica la storia degli
uomini.
L’esperienza
misteriosa dei discepoli è la stessa che vive Abramo, con una fede così
radicale nella promessa di Dio che si compie, nonostante l’evidenza umana
contraria, da permettere anche a noi di fidarci dell’alleanza di Dio che in
Gesù si rivela in tutta la sua profondità ed estensione. Così, se domandiamo,
come nella colletta, di vedere la sua gloria, in realtà non facciamo che
domandare a Dio di credere alla sua promessa, di fare esperienza del suo amore
a tal punto da esserne tutti riverberati perché la gloria di Dio è l’amore che
risplende dal trono della croce e la gloria dell’uomo è vivere di quello
splendore.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Gn
15,5-12.17-18
Dal libro del Gènesi
In quei
giorni, Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le
stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli
credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse:
«Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in
possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il
possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre
anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a
prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte
all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei
cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il
sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande
oscurità lo assalirono.
Quando,
tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una
fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il
Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua
discendenza
io do questa
terra,
dal fiume
d’Egitto
al grande
fiume, il fiume Eufrate».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 26
Il Signore è mia luce e mia
salvezza.
Il Signore è
mia luce e mia salvezza:
di chi avrò
timore?
Il Signore è
difesa della mia vita:
di chi avrò
paura?
Ascolta,
Signore, la mia voce.
Io grido:
abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore
ripete il tuo invito:
«Cercate il
mio volto!».
Il tuo
volto, Signore, io cerco.
Non
nascondermi il tuo volto,
non
respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il
mio aiuto, non lasciarmi,
non
abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
Sono certo
di contemplare la bontà del Signore
nella terra
dei viventi.
Spera nel
Signore, sii forte,
si rinsaldi
il tuo cuore e spera nel Signore.
Seconda Lettura
Fil 3,17-4,1
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Filippesi
Fratelli,
fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo
l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora,
con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce
di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si
vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della
terra.
La nostra
cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore
Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al
suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte
le cose.
Perciò,
fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in
questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Vangelo Lc
9,28b-36
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.
Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e
sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa,
apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a
Gerusalemme.
Pietro e i
suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la
sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre
questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi
essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa».
Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre
parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella
nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio
mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la
voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a
nessuno ciò che avevano visto.