Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
di Pasqua
V Domenica
(28 aprile
2013)
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At
14, 21-27; Sal
144; Ap 21,
1-5; Gv 13,
31-33. 34-35
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Tutta la liturgia
di oggi ruota attorno all’aggettivo nuovo.
L’ingresso segnala il canto nuovo, la
colletta il fatto che Dio, nel suo Figlio, rinnova
gli uomini e le cose, l’Apocalisse rivela: “Ecco,
io faccio nuove tutte le cose”, il canto al vangelo e il vangelo: “Vi do un comandamento nuovo”, l’antifona
dopo la comunione parla di vita nuova.
Ora, più si
coglie la novità che Gesù vive nella sua umanità nel rapporto con il Padre e
con noi, più noi potremo vivere di quella novità nella nostra umanità. Gesù
abbina il comandamento dell’amore alla menzione della sua gloria. Perché? Il
capitolo 13 di Giovanni è il capitolo della lavanda dei piedi nell’ultima cena.
Gesù ha lavato i piedi anche a Giuda e tutti hanno sentito la spiegazione di
Gesù: “Vi ho dato infatti l’esempio,
perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv
13,15). Gesù ha chiara la percezione dell’imminente tradimento e sa quel che
fa, a differenza dei discepoli che non comprendono, ma che comprenderanno in
seguito. Solo quando Giuda se ne è andato e Gesù vede tutto quello che gli
accadrà può aggiungere: “Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così
amatevi anche voi gli uni gli altri”. Come a dire: l’amore di cui vi faccio
comando comprende la disponibilità a lavarvi i piedi gli uni gli altri, senza
distinzioni di sorta tra buoni o cattivi. In gioco è la rivelazione del segreto
di Dio che mi è stato affidato e di cui vi rendo partecipi: la gloria del Suo amore deve risplendere in
tutta la sua bellezza.
La novità
del comandamento dell’amore è posta tra la gloria
che rifulge in Gesù nel suo farsi dono agli uomini da parte di Dio e il segno che rivela al mondo
l’appartenenza dei discepoli al loro Signore. Se si contempla il crocifisso
come il re della gloria non si può
non cogliere quella gloria come lo splendore dell’amore che si è riversato
sugli uomini e che farà dire agli apostoli: “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”.
Sono le tribolazioni come fatica di fedeltà all’amore, come pazienza dell’amore
che non viene meno nelle avversità e nelle afflizioni, come vestito di umiltà
che segnala la forza dell’intimità con quel Signore che si è conosciuto e che
ci ha conquistati. Di fronte al mondo, invece, quella gloria diventa segno di
appartenenza, segno rivelatore e segno attirante: rivelazione di un’esperienza
forte di fede nel Cristo, capace di farci vivere e di far desiderare ad altri
di vivere secondo quella novità di amore che rinnova alle radici la nostra
umanità. Accogliere Gesù significa anche accogliere che in noi si esprima la
dinamica di rivelazione che lo caratterizza: mostrare quanto è grande l’amore
del Padre per i suoi figli e riunire i figli di Dio dispersi.
È singolare
che Gesù non faccia mai comando ai discepoli di amare lui, mentre il comando di
amare Dio e amare il prossimo è diretto. Quando allude all’amore per lui, lo
suggerisce attraverso le espressioni: ‘se mi amate, osserverete i miei
comandamenti’; ‘rimanete nel mio amore’. Verso di lui invece il comando diretto
è: ‘credete in me’. Perché? Qui si può comprendere il nocciolo dell’amore di
cui Gesù ci fa comando. L’amore vicendevole non rivela la generosità dei cuori,
ma l’esperienza dell’incontro con Gesù; l’amore vicendevole parla di Dio che ha
toccato il cuore dell’uomo e non dell’uomo che è diventato buono e perciò è in
rapporto diretto all’esperienza della fede, quella fede di cui Gesù ci fa
comando nei suoi confronti.
Così, se
potessi illustrare con mie parole la novità del comandamento dell’amore
annunciata da Gesù, direi che la si può cogliere in rapporto a tre cose.
Anzitutto, accogliere il comandamento in rapporto alla radice che lo origina. L’amore di Gesù deriva dalla intimità della
vita, del volere e dei sentimenti con il Padre. Quell’amore di cui ci fa
comando deriva dalla partecipazione a quella stessa intimità. Il suo sigillo
sta nel fatto di lavare i piedi ai discepoli per renderli partecipi del suo
segreto con il Padre, segreto che a nessuno è dato di cogliere se non a coloro
che credono nel Figlio. Circondarsi la vita con l’asciugatoio è l’immagine
dell’umiltà come vestito della divinità, mistero di quell’accondiscendenza di
Dio che raggiunge l’uomo nel suo cuore più segreto, là dove l’uomo può imparare
la lingua stessa di Dio. In secondo luogo è in rapporto alla potenza che lo sottende, la potenza
cioè dello Spirito Santo che da Gesù ci verrà effuso sulla croce. Quell’amore
non è che l’accoglimento dell’azione dello Spirito Santo nei nostri cuori,
esito di tutto l’impegno ad agire bene che ad altro non conduce se non a poter
essere degni dei misteri di Dio. Perché l’opera specifica dello Spirito Santo è
la costruzione della fraternità, come stupendamente dice la terza preghiera del
canone eucaristico: “e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio,
dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo
e un solo spirito”. Ed infine è in rapporto alla dinamica che lo anima e che lo muove verso un unico punto di
convergenza, contemporaneamente termine e scopo della storia stessa: che il
regno di Dio si sveli in tutta la sua bellezza e in tutto il suo splendore, per
tutti i cuori, per tutto il mondo, per tutti i tempi, regno che altro non è se
non la condivisione dell’amore di Dio, in Cristo, fino a che sia partecipato a
tutti.
Il
proclamare da parte di Dio: “Ecco, io
faccio nuove tutte le cose”, allude al suo amore per noi che si è
manifestato nella debolezza e che ora rifulge in tutto il suo splendore
potente, tanto da far dire a Isacco Siro: “L’amore di Dio non è qualcosa che si
diffonde senza che se ne abbia coscienza o senza che ce se ne renda conto,
perché non può sgorgare a partire dalla sola conoscenza delle Scritture, come
nessuno può amare Dio facendo sforzi per farlo… E non
è nemmeno possibile amare Dio a partire dalla Legge o dai comandamenti, che pur
tuttavia lui stesso ha dato e non senza rapporto con l’amore, poiché la Legge
produce il timore e non l’amore… E fin tanto che uno
non abbia conosciuto la grandezza di Dio in un’esperienza personale, non potrà
avvicinarsi a quel glorioso sapore dell’amore. Chi non ha bevuto il vino, non
diventa ubriaco a forza di parlare sul vino e chi non è stato giudicato degno
di ricevere in sé la conoscenza della grandezza di Dio, non può diventare ebbro
del suo amore”.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura At
14, 21b-27
Dagli Atti degli Apostoli
In quei
giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare
saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio
attraverso molte tribolazioni».
Designarono
quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e
digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata
poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia
e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero
ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio
per l’opera che avevano compiuto.
Appena
arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per
mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 144
Benedirò il tuo nome per sempre,
Signore.
Misericordioso
e pietoso è il Signore,
lento
all’ira e grande nell’amore.
Buono è il
Signore verso tutti,
la sua
tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino,
Signore, tutte le tue opere
e ti
benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la
gloria del tuo regno
e parlino
della tua potenza.
Per far
conoscere agli uomini le tue imprese
e la
splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno
è un regno eterno,
il tuo
dominio si estende per tutte le generazioni.
Seconda Lettura
Ap 21, 1-5
Dal libro dell'Apocalisse di san
Giovanni apostolo
Io,
Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima
infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche
la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come
una sposa adorna per il suo sposo.
Udii allora
una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la
tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà
con loro
ed essi
saranno suoi popoli
ed egli sarà
il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà
ogni lacrima dai loro occhi
e non vi
sarà più la morte
né lutto né
lamento né affanno,
perché le
cose di prima sono passate».
E Colui che
sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
Vangelo Gv 13, 31-33a. 34-35
Dal vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda
fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato
glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in
lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli,
ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli
uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo
tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».