Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
di Pasqua
IV Domenica
(21 aprile
2013)
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At 13, 14.
43-52; Sal 99; Ap 7, 9. 14-17; Gv 10, 27-30
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Le ultime
domeniche del tempo pasquale sono tutte incentrate sulla comunità dei discepoli
unita attorno al suo Signore, testimone del suo amore, pervasa dalla gioia
dello Spirito Santo, in missione apostolica nel mondo fino alla fine dei tempi.
La liturgia di oggi ruota attorno all’immagine del gregge e del suo pastore,
tema del cap. 10 di Giovanni, insistendo sul fatto che la comunità è unita
saldamente al suo pastore, che non può essere dispersa, che possiede ormai la
vita dal suo Signore, per cui vive.
Gli ascoltatori
sono divisi nei riguardi di Gesù: è vero, le sue parole suonano piuttosto
strane, ma sono proferite da uno che ha guarito un cieco dalla nascita (cap. 9)
e che è capace di ridare la vita a un morto (cap. 11, a Lazzaro). Cosa pensare
di lui? Quale mistero divino sta svelando?
Gli uomini
sono sempre in ricerca e si accorgono della stranezza
di Gesù. Non potrebbe parlare più chiaramente?, pensa il gruppo dei Giudei che
lo attornia. Ma appena Gesù risponde, l’incertezza si trasforma in avversione e
rifiuto. È vicino il dramma finale. Il punto centrale può essere espresso in
questi termini: voi non mi potete capire perché non volete essere dalla mia
parte; voi vi appellate a Dio per respingermi, ma è proprio lui che mi ha
inviato a voi e se non accogliete me non potete nemmeno capire quanto è grande
il suo amore per voi. Invece, chi mi ascolta, è perché mi appartiene, conosce
in verità la grandezza dell’amore di Dio e nessuno potrà privarlo di questa
certezza, nessuno potrà dividerlo da me. Come nessuno ha potuto rapire Gesù
dalle mani del Padre, nonostante tutto congiurasse contro questa fedeltà del
Figlio al Padre suo, soprattutto nel dramma della passione e della morte in
croce, così nessuno potrà rapire i discepoli di Gesù dalle sue mani, per quanto
si scateni la violenza degli avversari. Non si fa parte del gregge per pregi o
meriti, ma per accoglienza. Tanto che Gesù non dice: “Le mie pecore ascoltano
la mia parola”, ma “Le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Si ascolta la
voce, prima ancora di quello che questa voce proferisce, quando si è accolta
l’intimità amichevole di una persona e il cuore, a partire dal dono di
quell’intimità, si dispone ad accogliere anche quello che la voce dice (=mi seguono).
In effetti,
l’unico impedimento risulta essere quello di giudicarsi non degni della vita
eterna, come dicono Paolo e Barnaba ai convenuti in
sinagoga ad Antiochia: “… poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna ...”
(At 13), come se la vita eterna scaturisse da qualche nostro merito o pregio.
Il dramma dell’uomo consiste proprio in un giudizio cattivo su di sé, che
nasconde un cattivo giudizio su Dio: non ci si ritiene degni dei misteri di
Dio! Quando l’uomo non accoglie umilmente questa dignità si fa violenza e la eserciterà su tutti: sarà preda del
tormento della morte. E il mondo è prostrato dagli effetti di questo tormento.
I discepoli invece sono “pieni di gioia e
di Spirito Santo” perché partecipano all’opera dello Spirito Santo che è
l’edificazione di un’umanità con un cuor
solo e un’anima sola. La partecipazione al mistero stesso della vita di Dio
e in Dio non dipende minimamente da quello che fa il mondo o da quello che ci
fa il mondo.
Quando
cantiamo con il salmo responsoriale: “noi
siamo suo popolo, gregge che egli guida”, non vogliamo dire che siamo
semplicemente quelli che lui guida individualmente, ma che siamo coloro che
hanno in lui una stessa vita e fanno risplendere la fraternità nel mondo come
espressione della rivelazione del Padre ai loro cuori. Riconoscere, con il
salmo: “egli ci ha fatti” significa
proclamare tutta la dignità dell’uomo di cui il gregge del Signore, che noi
siamo, ha la responsabilità, in questo mondo, di far risplendere nella sua
bellezza. Dignità, che è riservata a tutti e che tutti condivideranno nel regno
dei cieli, ma che qui, nel mondo, i discepoli del Signore custodiscono per sé e
difendono in tutti. La dignità dell’uomo non è basata sull’uomo, ma chi ne ha
conosciuto per esperienza di fede il segreto, in Gesù, è chiamato a custodirla
per tutti finché a tutti venga svelata.
In questa
luce le parole di Gesù risuonano in tutta la loro densità. Gesù è amato dal
Padre perché dà la sua vita per le
pecore (Gv 10,17) e questo comporta il suo dare la vita eterna (10,28), vale a dire
la vita come espressione di un amore che non cede davanti a nulla e che diventa
la radice di vita di coloro che da lui l’accolgono. Se aggiunge che nessuno
strapperà le pecore a lui affidate vuol dire che per quanto si scateni il male
contro di loro, all’interno e all’esterno, non verrà meno la percezione di
quello che Gesù dirà nell’ultima cena: “Se
uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui
e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Anche per noi, uniti a Gesù, varrà quello che lui dice di sé a conferma delle
sue parole: “Io e il Padre siamo una cosa
sola”, perché: “le mie pecore
ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Da intendere
secondo questi tre passaggi:
1) ‘le mie
pecore ascoltano la mia voce’: non semplicemente ascoltano quello che dice, ma
riconoscono che quello che dice viene da Dio. Sentono che la sua parola e la
sua vita confermano tutte le parole della Scrittura e ne svelano il mistero;
2) ‘io le
conosco’: vedendo l’intimità tra lui e il Padre, le pecore si sentono conosciute, cioè amate e cercate da lui.
Il movimento di amore di Dio per l’uomo riguarda tutti e perciò dire ‘io le
conosco’ comporta la sfumatura di senso: io conosco tutti, ma di quella
conoscenza che fa godere l’intimità con lui sono capaci solo le pecore che si
lasciano raggiungere, portare in spalla, come la parabola della pecorella
perduta dirà. Ne consegue che chi non accetta questo, si trova come escluso
dalla sua conoscenza e proprio perché escluso non può sentirsi amato;
3) ‘esse mi
seguono’: solo lui può mostrare il segreto di Dio in tutta la sua estensione e
bellezza. In gioco è sempre la disponibilità alla fede e la fede si gioca
nell’accogliere il mistero di accondiscendenza di Dio, per l’uomo, in Gesù,
rivelatore del Volto del Padre.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 13,
14. 43-52
Dagli Atti degli Apostoli
In quei
giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in
Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di
sabato, sedettero.
Molti Giudei
e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba
ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella
grazia di Dio.
Il sabato
seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore.
Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con
parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che
fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete
e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani.
Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle
genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire
ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti
quelli che erano destinati alla vita eterna credettero.
La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei
sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono
una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li
cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere
dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni
di gioia e di Spirito Santo.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 99
Noi siamo suo popolo, gregge che
egli guida.
Acclamate il
Signore, voi tutti della terra,
servite il
Signore nella gioia,
presentatevi
a lui con esultanza.
Riconoscete
che solo il Signore è Dio:
egli ci ha
fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e
gregge del suo pascolo.
Perché buono
è il Signore,
il suo amore
è per sempre,
la sua
fedeltà di generazione in generazione.
Seconda Lettura
Ap 7, 9. 14-17
Dal libro dell'Apocalisse di san
Giovanni apostolo
Io, Giovanni,
vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e
davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle
loro mani.
E uno degli
anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno
lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo
stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo
tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno
più fame né avranno più sete,
non li
colpirà il sole né arsura alcuna,
perché
l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro
pastore
e li guiderà
alle fonti delle acque della vita.
E Dio
asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
Vangelo Gv 10,27-30
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse
mi seguono.
Io do loro
la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla
mia mano.
Il Padre mio,
che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano
del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».