Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
di Pasqua
II Domenica
(7 aprile
2013)
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At 5, 12-16;
Sal 117; Ap 1,
9-11.12-13.17.19; Gv
20, 19-31
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Se entriamo
nella liturgia di oggi con l’attestazione dell’identità del Risorto secondo le
parole di Giovanni nell’Apocalisse, tutto si carica di risonanze straordinarie.
Il Figlio d’uomo che compare in visione a Giovanni si presenta con queste
parole: “Non temere! Io sono il Primo e
l’Ultimo e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della
morte e degli inferi”. Parole che la colletta riprende: “O Padre, che nel giorno
del Signore raduni il tuo popolo per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo,
il Vivente che ha sconfitto la morte, donaci la forza del tuo Spirito, perché,
spezzati i vincoli del male, ti rendiamo il libero servizio della nostra
obbedienza e del nostro amore, per regnare con Cristo nella gloria”.
Quelle
parole non attestano semplicemente la verità personale del Risorto, ma la
dinamica di rivelazione dell’amore di Dio ai suoi figli che Gesù ha mostrato in
tutto il suo splendore. Se quelle parole le mettiamo in bocca a Gesù che
vediamo parlare e agire nei racconti evangelici, allora la sfumatura di
significato risulta: io, che sono il Primo, mi sono fatto ultimo, servo di
tutti e perciò sono pieno della vita di Dio, che è amore per voi. Così voi, se
vi fate servi di tutti, sarete innestati in colui che è Primo e godrete della
vita che a lui appartiene. Chiedere la forza del suo Spirito è chiedere di
essere innestati nella potenza di questa rivelazione. Quando il Risorto afferma
che lui ha le chiavi della morte significa che con lui la morte non agisce più,
morte intesa nel senso di mortificazione dell’amore che è vita di Dio per noi.
Qui si ricollegano le parole evangeliche della vite e dei tralci, del rimanere
in lui, dell’osservare la sua parola per essere custoditi nell’amore, ecc. E
qui ricollego anche l’attestazione del profeta Isaia a proposito di Dio: “Io, il Signore, sono il primo e io stesso
sono con gli ultimi” (Is 41,4).
Se la
liturgia pasquale proclama insistentemente: “eterna è la sua misericordia”, ciò
significa non soltanto che Dio sarà eternamente fedele alla sua misericordia,
che la sua misericordia durerà per sempre, ma soprattutto che, essendo la sua
misericordia dall’eternità, si trova alle origini del nostro mondo, ne
racchiude il senso e il mistero fino alla fine, finché il mondo sussisterà.
Quella verità ha a che vedere con l’attestazione che lui è il Primo e si è
fatto ultimo per dare la vita. E’ il servizio di Dio all’umanità, che Gesù
mostra nel suo splendore e che noi uomini stentiamo così tanto a riconoscere. E
quando Gesù si presenta a Tommaso con l’indicare le sue cicatrici vuole
mostrargli quella verità e Tommaso, al di là della sua ostentata incredulità,
si situa in quella verità con la sua sussurrata e potentissima confessione di
fede: mio Signore e mio Dio! E’ l’unica volta nei vangeli che Gesù è chiamato
direttamente Dio.
Il racconto
dell’apparizione a Tommaso fa accedere alla nostra condizione di non vedenti
chiamati a credere per vedere. Tommaso non è un pavido, un insicuro. Le altre
due volte che il vangelo di Giovanni parla di Tommaso ce lo presenta come un
uomo generoso, pronto ad andare a morire con Gesù. Il suo dubbio procede da un
cuore che ha preso molto sul serio la vicenda di Gesù. Quando Gesù,
ricomparendo, gli dice di mettere la mano nel costato e nelle cicatrici, non ha
bisogno di ricredersi o di scusarsi: è tutto teso a quel Signore che ha sempre
voluto seguire e che ora riconosce per davvero "mio Signore e mio
Dio", la più solenne professione di fede del vangelo di Giovanni e, nello
stesso tempo, la più intima delle professioni. In quel mio, c'è tutto l'anelito
del suo cuore, la sua appassionata esperienza di lui; in quel Signore e Dio,
c'è tutta la rivelazione di Gesù al suo cuore, l’intelligenza di tutte le Scritture.
La sua
esclamazione ricalca quella di Maria Maddalena: “Hanno portato via il mio Signore” (Gv
20,13) e quella di Gesù: “Salgo al Padre
mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro” (20,17). Non solo, ma in essa
si avverte la risposta alla domanda che nell’ultima cena l’apostolo Giuda aveva
rivolto a Gesù: “Signore, come è accaduto
che devi manifestarti a noi, e non al mondo?” (Gv
14,22). Gesù si rende presente a coloro che lo amano, non si manifesta al
mondo: questo è il mistero da accogliere. In effetti, Tommaso riceve la
rivelazione del Signore risorto dentro
la comunità degli apostoli, divenuta il luogo della sua manifestazione nel
mondo a partire dall’amore che gli apostoli esprimono al loro Signore e tra di
loro, come segno della vita nuova ricevuta con il dono dello Spirito. È caratteristico
che la conoscenza del Signore, ormai, non si riferisca più alla modalità con
cui i discepoli hanno conosciuto Gesù nella sua storia terrena, ma si riferisca
all’esperienza della sua presenza tra loro come Messia crocifisso (con le
cicatrici sul corpo), nella pace che rassicura e accompagna nelle difficoltà
dell’impegno nel mondo. La sua presenza è esperita a partire dalla comunità dei
credenti, che diventano testimoni e nello stesso tempo donatori al mondo della possibilità della visione del Signore.
Gesù aveva
promesso nell’ultima cena: “Ancora un
poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi
vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io
in voi” (Gv 14,19-20). E quando rimprovera
Tommaso gli dice: “Perché mi hai veduto,
tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. Eppure,
tutti i credenti sono chiamati a vedere il loro Signore. La visione, però,
deriva ormai dallo sperimentare la vita che egli comunica, vita che diventa
nostra praticando il suo comandamento e accogliendo il suo amore. Qui si
innesta la missione di cui ci fa portatori il Signore: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. La
pace che dà il Signore è quella per la quale gli apostoli sono inviati nel
mondo, per la quale viene loro dato lo Spirito Santo in modo che l’innocenza
ottenuta da Dio e con Dio confermi la fraternità degli uomini, segno dello
splendore della presenza di Dio ormai riconosciuto.
Una domanda
risuona insistente nella liturgia bizantina di oggi a proposito dell'audacia di
Tommaso: come poté toccare e non restare bruciato? “O straordinario prodigio!
Il fieno ha toccato il fuoco ed è rimasto indenne. Tommaso ha infatti messo la
mano nel costato igneo di Gesù Cristo Dio e non è stato bruciato da questo contatto…”; “Chi impedì che la mano del discepolo si
fondesse quando l’accostò al fianco infuocato del Signore? Chi le diede
l’ardire e la forza di tastare ossa fiammeggianti? Fu il costato stesso che
egli toccò. Se quel costato non avesse trasmesso il potere a una destra di
fango, come avrebbe potuto toccare il segno dei patimenti che avevano scosso le
regioni superiori e inferiori?”. La liturgia drammatizza un evento per mostrarcene
il mistero. Da parte di Tommaso non si tratta di un semplice ‘riconoscimento’,
come da parte nostra non si tratta di un semplice riconoscere vera la
risurrezione di Gesù. Siamo coinvolti in modo molto più profondo e misterioso.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura At
5, 12-16
Dagli Atti degli Apostoli
Molti segni
e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti
stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a
loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più,
però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di
donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su
lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse
qualcuno di loro.
Anche la
folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone
tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 117
Rendete grazie al Signore perché è
buono: il suo amore è per sempre.
Dica
Israele:
«Il suo
amore è per sempre».
Dica la casa
di Aronne:
«Il suo
amore è per sempre».
Dicano
quelli che temono il Signore:
«Il suo
amore è per sempre».
La pietra
scartata dai costruttori
è divenuta
la pietra d’angolo.
Questo è
stato fatto dal Signore:
una
meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il
giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci
in esso ed esultiamo!
Ti
preghiamo, Signore: Dona la salvezza!
Ti
preghiamo, Signore: Dona la vittoria!
Benedetto
colui che viene nel nome del Signore.
Vi
benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è
Dio, egli ci illumina.
Seconda Lettura
Ap 1, 9-11.12-13.17.19
Dal libro dell'Apocalisse di san
Giovanni apostolo
Io,
Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella
perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos
a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.
Fui preso
dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come
di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle
sette Chiese».
Mi voltai
per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri
d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito
lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
Appena lo
vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra,
disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma
ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le
cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
SEQUENZA
Alla vittima
pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode.
L'agnello ha
redento il suo gregge,
l'Innocente
ha riconciliato noi peccatori col Padre.
Morte e Vita
si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore
della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa.
«Raccontaci,
Maria: che hai visto sulla via?».
«La tomba
del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli
suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia
speranza, è risorto; e vi precede in Galilea».
Sì, ne siamo
certi: Cristo è davvero risorto.
Tu, Re
vittorioso, portaci la tua salvezza.
Víctmæ pascháli láudes: ímmolent
Christiáni.
Agnus redémit oves: Christus
ínnocens Patri reconciliávit
peccatóres.
Mors et vita
duéllo conflixére miràndo:
dux vitæ mórtuus, regnat vívus.
Dic nobis, María, quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis: et glóriam
vidi resurgéntis.
Angélicos testes, sudárium, et vestes.
Surréxit Christus spes mea: præcédit
vos in Galilǽam.
Scímus Christum surrexísse a mórtuis
vere: tu nobis, victor Rex, miserére.
Vangelo Gv 20,19-31
Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di
quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo
dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in
mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il
fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse
loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui
perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non
saranno perdonati».
Tommaso, uno
dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando
venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma
egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il
mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non
credo».
Otto giorni
dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne
Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a
Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e
mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose
Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu
hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in
presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti
in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il
Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.