Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
5a Domenica
(10 febbraio
2013)
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Is
6,1-2,3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
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La pesca
miracolosa è funzionale al racconto della vocazione dei discepoli. Solo Luca, a
differenza di Marco e Matteo, riferisce della pesca miracolosa. Ritroviamo quel
racconto anche nel vangelo di Giovanni, al cap. 21, quando Gesù, risorto, si
manifesta agli apostoli. Si tratta di due episodi diversi o della diversa
interpretazione di uno stesso episodio? Nella prospettiva degli evangelisti la
domanda è del tutto secondaria. La domanda principale è la seguente: cosa ha
comportato per i discepoli la manifestazione di Gesù? O, ancora più
precisamente: cosa ha comportato per i discepoli la decisione di Gesù di
manifestarsi a loro? Perché di questo essenzialmente si tratta: Gesù si
manifesta e succede qualcosa. Sia
agli inizi della vita pubblica di Gesù sia dopo la risurrezione l’evento è
della stessa natura.
Un’esperienza
comune collega le tre letture odierne, l’esperienza della propria indegnità
davanti a Dio e contemporaneamente l’esperienza della gratuità dell’incontro
con Lui. Il profeta Isaia vede il
Signore e trema. Come a dire: non è possibile continuare a vivere la vita di
prima, rimanere nell’ingiustizia, mantenere un cuore impuro e menzognero,
quando ti appare il Signore della gloria e risplende davanti a te la sua
santità. Il Signore non convive con la nostra iniquità ma cerca i nostri cuori, cerca di mostrarsi
ai nostri cuori. Vedere Lui comporta così vedere la nostra iniquità nell’attimo
stesso che viene bruciata dal suo amore. E se davanti a Lui vale l’esperienza
della gratuità del suo amore, davanti al prossimo vale la memoria della nostra
iniquità per non rinnegare di nuovo la potenza della sua misericordia che vale
per me come per tutti.
È la stessa
esperienza dell’apostolo Paolo, che si sente l’infimo degli apostoli, anzi,
neppur degno di essere chiamato apostolo, perché non può dimenticare che ha
perseguitato la chiesa di Dio, ma proprio in questa memoria risalta la gratuità
e la potenza della grazia che l’ha raggiunto e di cui non ha motivo alcuno per
esaltarsi.
Vale la
stessa cosa anche per Pietro che davanti al miracolo della pesca miracolosa non
può che esclamare: “Signore, allontànati da me perché sono un peccatore”. E fino
alla fine, come risalta dal racconto dei vangeli che non tacciono mai le sue
manchevolezze, Pietro non teme di far memoria dei suoi peccati e delle sue
debolezze e di presentarsi a tutti nella luce di questa memoria perché risalti
la gratuità del dono di Dio. Il contenuto di quel sono peccatore, nel cuore di Pietro, si cristallizzerà attorno al
suo rinnegamento, che Gesù, dopo la sua risurrezione, evoca dolcemente al suo
apostolo quando gli chiede per la terza volta se lo ama. Al gesto di gettarsi
alle ginocchia di Gesù e di stringerle, mentre dice di non essere degno di
stare alla sua presenza, corrisponde il sussurro di Pietro, addolorato: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti
voglio bene” (Gv 21,17).
Dalla
gratuità del dono di Dio, che costituisce il luogo della nuova coscienza di sé,
scaturisce l’urgenza della missione,
l’impegno cioè della testimonianza in nome di Dio in mezzo ai propri fratelli.
Il profeta Isaia, dopo essere stato purificato dal carbone ardente, intuisce il
desiderio di Dio, lo scopo stesso di quella purificazione ottenuta e risponde
pronto: “Eccomi, manda me!”. La
missione del profeta non si presenta esaltante davanti al popolo perché il
popolo non vorrà prestare fede alla parola del profeta, ma risulterà esaltante
agli occhi di Dio per l’obbedienza e l’intimità che il profeta vive, cosa che
alla fine convincerà anche il popolo a dare obbedienza a Dio. Lo stesso vale
per Paolo: annunciare il vangelo non è un diritto, ma un dovere per Paolo,
costi quel che costi e la forza per portare tutta quella fatica gli deriva
dalla gratuità dell’amore di Dio di cui condivide la dinamica con tutto il suo
essere. Così per Pietro: proprio mentre riconosce la sua indegnità è chiamato
ad essere pescatore di uomini. Gli ci vorranno anni di sequela, di debolezze e
di generosità, di simbiosi con la vita con Gesù, di conoscenza del suo mistero,
per accogliere tutte le conseguenze di quella chiamata, per sapere fino a quale
punto la sua vita sarebbe stata totalmente stravolta.
La tensione
interiore della missione, allora, è direttamente proporzionale all’intensità
della visione di Dio, che comporta la
confessione del proprio peccato. Questo, perché l’azione dell’uomo risulti
pulita e non si appropri la gloria di Dio. È per questo che il segnale della
fedeltà all’opera di Dio, tra gli uomini, non sarà costituito dal fatto che i
cuori si convertono, ma dal fatto che un uomo non si allontana dalla carità
anche quando viene oltraggiato e messo a morte. La missione comporta la
condivisione di un compito di
intimità col proprio Signore finché la sua gloria risplenda e si manifesti.
La
tradizione ha applicato al mistero dell’eucarestia l’esperienza del carbone
ardente poggiato sulle labbra del profeta. Perché, ricevendo il corpo del
Signore, non ne veniamo bruciati? Non è forse la stessa immagine che vale per
l’amore? L’amore brucia; brucia tutto ciò che lo ostacola, tutto ciò che lo
impedisce, tutto ciò che non lo indebolisce. Se non brucia, è perché si tratta
di un amore pallido, più sognato che vissuto, più immaginato che reale. Se
l’eucaristia non brucia è perché non abbiamo incontrato nessuno, non abbiamo
sentito, non abbiamo corrisposto all’amore di nessuno. Ma se è così, quale
potenza ravvisare nella nostra missione, nella nostra testimonianza in mezzo ai
nostri fratelli che di quell’amore solo è l’espressione?
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Is 6,1-2.3-8
Dal libro del profeta Isaia
Nell’anno in
cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un
trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui
stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro,
dicendo:
«Santo,
santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la
terra è piena della sua gloria».
Vibravano
gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si
riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io
sono perduto,
perché un
uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a
un popolo
dalle labbra
impure io abito;
eppure i
miei occhi hanno visto
il re, il
Signore degli eserciti».
Allora uno
dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva
preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco,
questo ha toccato le tue labbra,
perciò è
scomparsa la tua colpa
e il tuo
peccato è espiato».
Poi io udii
la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io
risposi: «Eccomi, manda me!».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 137
Cantiamo al Signore, grande è la sua
gloria.
Ti rendo
grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai
ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli
dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro
verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie
al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la
tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno
in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai
accresciuto in me la forza.
Ti
renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando
ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno
le vie del Signore:
grande è la
gloria del Signore!
La tua
destra mi salva.
Il Signore
farà tutto per me.
Signore, il
tuo amore è per sempre:
non
abbandonare l’opera delle tue mani.
Seconda Lettura
1 Cor 15,1-11
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corìnzi
Vi proclamo,
fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale
restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho
annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
[ A voi
infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo
morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto
il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa
e quindi ai Dodici.
In seguito
apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di
essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi
a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. ]
Io infatti
sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato
apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono
quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più
di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.
[ Dunque,
sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. ]
Vangelo Lc 5,1-11
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio,
Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due
barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì
in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra.
Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe
finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti
per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non
abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e
presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora
fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi
vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere
questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore
infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che
avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo,
che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai
pescatore di uomini».
E, tirate le
barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.