Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
XXXII Domenica
(10 novembre
2013)
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2 Mac 7,
1-2. 9-14; Sal 16; 2 Ts 2,16-3,5; Lc 20, 27-38
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Gesù è
entrato trionfalmente in Gerusalemme, ha mostrato tutta la sua autorità
messianica nello scacciare i venditori dal tempio, si è inimicato la leadership
religiosa e politica del tempo con la parabola dei vignaioli omicidi. Con la
decisione di mettergli le mani addosso, senza però ancora riuscirci, si cercano
pretesti e si tendono trappole al Maestro per coglierlo in fallo. Con la
discussione sulla risurrezione futura, che i sadducei, a differenza dei
farisei, non ammettevano, si chiude il confronto dei capi con Gesù. Non si
faranno più domande al Maestro; l’incomprensione è totale e ci sarà posto solo
per la cattura ormai prossima. Con la differenza che, mentre i capi si chiudono
nell’accusa, la gente resta stupita dalla forza dell’insegnamento di Gesù.
Nella
risposta ai Sadducei, nei passi paralleli di Matteo e Marco, Gesù li apostrofa
come coloro che non conoscono le Scritture né conoscono la potenza di Dio. Cita
l’evento del roveto ardente, narrato in Esodo 3, dove Dio rivela il suo nome,
nome che rimanda alla ‘compassione’ per il suo popolo di cui conosce le
sofferenze e che vuole scendere a liberare. Il nome di Dio non rinvia mai
semplicemente all’essere di Dio, ma al suo ‘essere per noi’. Tanto che Dio è
sempre ‘Dio di’: Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe.
La
tradizione ebraica ha commentato in mille modi la singolarità di questa
rivelazione. Dicendo che Dio è Dio di Abramo non si vuole sottolineare che è il
Dio che Abramo ha adorato e servito, ma il Dio che ha chiamato, custodito e
salvato Abramo. L’alleanza con i Patriarchi non sarà mai dimenticata e quando
in ogni generazione i figli di Israele ricordano e gridano a Dio come al Dio di
Abramo, Isacco e Giacobbe, Dio risponderà loro. Dio si definisce come Colui la
cui esistenza è al loro servizio tutte le volte che lo cercano. Esperienza così
fondante per il cuore dell’uomo che Origene così
illustra nel suo commento a Giosuè: “Magari
venisse concessa anche a me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse
mio il mio Dio allo stesso modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco,
Dio di Giacobbe, in Cristo Gesù, Signore nostro” (Omelia XVIII,3). In quel
‘mio’ possiamo ravvisare tutto il coinvolgimento emotivo della professione di
fede di Tommaso davanti al Signore Gesù Risorto. Possiamo ravvisare tutta
l’intimità di Gesù con il Padre di cui svela l’immenso amore per noi. In
effetti, con la venuta di Gesù e con l’imminente mistero della sua morte e
risurrezione, Dio oramai sarà il ‘Dio di Gesù’, il Dio che in Gesù ha sigillato
il suo amore per noi nel modo più radicale e definitivo. Non solo ha fatto
risorgere Gesù, diventato nella confessione di fede il Vivente, ma ha reso accessibile, in Gesù, il dono della sua vita
eterna, quella vita sulla quale la morte non ha potere alcuno di mortificazione.
Il canto al
vangelo lo sottolinea molto bene: “Gesù Cristo è il primogenito dei morti: a
lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli” ripreso da Ap 1,5.6: “…Gesù Cristo, il
testimone fedele, il primogenito dei morti…”. Dio è Dio dei vivi e Gesù, il
Vivente, ne dà la certificazione più assoluta. Chiamare Gesù testimone
significa alludere al fatto che lui conosce e svela il disegno di Dio nella sua
grandezza di amore per l’uomo e chiamarlo fedele significa fondare l’esistenza
su quell’amore/compassione che ha presieduto alla creazione, che regge il mondo
e accompagna la storia perché tenda alla partecipazione della sua gloria, che è
splendore di amore per noi, tutte verità che in Gesù si fanno toccabili e
vivibili per il nostro cuore. In questo senso è potente la dichiarazione di
Paolo ai Tessalonicesi: “Ma il Signore è
fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno” (2Ts 3,3). Ci
mantiene nella fiducia dell’amore del Padre che ci ha fatto conoscere nel suo
amore per noi facendoci vivere, uniti a lui, nella vita che scaturisce da
quell’amore. Essere custoditi dal Maligno significa non essere sottratti alla
fiducia in e di quell’amore.
La risposta
di Gesù ai Sadducei non riguarda semplicemente una verità degli ultimi tempi: i
morti risorgeranno. Riguarda la potenza del dono di Dio che rende gli uomini
che lo accolgono figli della risurrezione. D’altra parte, chi non accetterà il
patire del Figlio dell’uomo, nemmeno accetterà la realtà della risurrezione. In
gioco è la potenza della fede che non tollera la prospettiva mondana nel
mistero di Dio. Il caso prospettato dai sadducei dei vari mariti e dell’unica
moglie nel regno di Dio nasconde l’incapacità di comprensione del dono di Dio.
Ogni proiezione mondana impedisce l’accoglienza del dono di Dio. Vale per la
risurrezione come per ogni altra verità del mistero di Dio che in Gesù si
rivela.
Per
declinare in modo a noi accessibile la realtà della definizione di Gesù dei
beati come figli della risurrezione, potremmo collegarla alla beatitudine: “beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Gesù dice che i figli della risurrezione
sono i figli di Dio. Allora i figli della risurrezione sono gli operatori di pace: chi vive nella pace e
nella concordia, quella che Gesù ci ha ottenuto con il dono del suo Spirito e
che Paolo illustra in Ef 4,32 dicendo: ‘Dio ha
perdonato a voi in Cristo’, espressione che secondo il verbo greco dovrebbe
essere resa con ‘Dio ha fatto grazia di sé a voi in Cristo’. Un’esperienza
profonda del suo perdono, di questo suo far grazia di sé a me, che rende capace
me, a mia volta, di fare grazia di me a tutti nel suo amore, in fraternità.
Questa è proprio l'opera del suo Spirito, quello che sulla croce Gesù ha reso
al Padre perché venisse effuso su di noi. Lo stesso Spirito che invochiamo
nella preghiera eucaristica perché ci renda un unico corpo e uno spirito solo,
finché alla fine Dio sia tutto in tutti. Figli di Dio sono allora coloro che lo
Spirito governa, coloro che si muovono sotto l'azione dello Spirito e l'unica
perfezione desiderabile per l'uomo è appunto quella di lasciarsi penetrare fin
nelle midolla da questo far grazia di sé da parte di Dio agli uomini, in
Cristo, per la potenza del suo Spirito. Come dice stupendamente s. Francesco, sintesi
dell’intera Tradizione: “ciò che devono
desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa
operazione”.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 2
Mac 7, 1-2. 9-14
Dal secondo libro dei Maccabèi
In quei
giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre,
furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni
suine proibite.
Uno di loro,
facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi?
Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il
secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla
vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi,
ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui
fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua
e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste
membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di
nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di
questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire
anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto
in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per
te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 16
Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Ascolta,
Signore, la mia giusta causa,
sii attento
al mio grido.
Porgi
l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie
labbra non c’è inganno.
Tieni saldi
i miei passi sulle tue vie
e i miei
piedi non vacilleranno.
Io t’invoco
poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me
l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi
come pupilla degli occhi,
all’ombra
delle tue ali nascondimi,
io nella
giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio
mi sazierò della tua immagine.
Seconda Lettura
2 Ts 2, 16 - 3, 5
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, lo
stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha
dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i
vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il
resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia
glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti
e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi
confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a
voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo
facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di
Dio e alla pazienza di Cristo.
Vangelo Lc 20, 27-38
Dal vangelo secondo Luca
[ In quel
tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è
risurrezione ] – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto:
“Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello
prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque
sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la
prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare
figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di
chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose
loro: [ «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli
che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non
prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono
uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto,
quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”.
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». ]