Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
XXVIII Domenica
(13 ottobre
2013)
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2 Re 5,
14-17; Sal 97; 2 Tm 2, 8-13; Lc 17, 11-19
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Non è la
prima volta che Luca narra della guarigione di lebbrosi (cfr Lc 5,12-14). In questa narrazione però il testo sembra come
sorvolare sull’evento del miracolo di guarigione per insistere su altro. Lo
rivela il colloquio di Gesù con il samaritano guarito, che è tornato a
ringraziarlo e il contesto in cui il brano è collocato. Gesù è in viaggio verso
Gerusalemme e l’annotazione di Luca mette in risalto il fatto che ciò che
avviene deve essere compreso nell’ottica di quel viaggio, per lo scopo segreto
di rivelazione del mistero di Dio che si compirà. Non solo, ma subito dopo il
racconto dei dieci lebbrosi segue la domanda dei farisei sul regno di Dio:
“Quando verrà il regno di Dio?”. Ciò che è in gioco nel brano dei dieci
lebbrosi è appunto la questione del Regno di Dio che viene. Come non vederlo?
Eppure, non sembra così facile vederlo.
In
ottemperanza alla legge di Lev 13,46, i dieci
lebbrosi si fermano a distanza e gridano al Signore il loro tormento, chiedendo
di essere guariti. Il loro dramma non deriva solo dalla malattia che lacera le
loro carni, ma anche dal fatto che venivano esclusi dalla comunità, non
potevano accedere al tempio per il culto. La lebbra evoca direttamente il
destino orribile del peccato che insidia la fraternità, irrigidisce i rapporti,
contamina a tal punto il cuore da renderlo inaccessibile al cuore degli altri,
separa e opprime, impedisce al volto di Dio di risplendere. La guarigione di un
lebbroso da parte di Gesù allude sempre alla purificazione del cuore che torna
così a far risplendere i rapporti di comunione e ridà accesso al mistero di
Dio.
In dieci
chiedono di essere guariti. Tutti sono sinceri e tutti e hanno fiducia in Gesù
perché credono alla sua parola e si muovono per andare a presentarsi ai
sacerdoti. Lungo il cammino si ritrovano guariti. La loro fiducia è stata
premiata. Nove proseguono, uno solo torna indietro per ringraziare Gesù. È qui
che il racconto rivela la sua vera portata. I nove che proseguono non si
accorgono di quel che è avvenuto in verità. Non hanno sentito in loro la parola
del profeta: “Ecco, io faccio una cosa
nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is
43,19) o, per dirla con il v. 2 del salmo 97, non hanno compreso che “Il Signore ha fatto conoscere la sua
salvezza”.
Dio non
lesina i suoi doni, anche se gli uomini spesso interpretano questi doni come
atti dovuti. Se Dio è Dio, perché non mi può dare questo o quest'altro? Quante
accuse a Dio di fronte agli eventi della nostra vita! Ma simile atteggiamento
si perde nel nulla, non produce nulla degno di menzione, non viene lodato da
Dio. Perché? Perché tutto ciò che riceviamo e abbiamo, tutti i doni di Dio
comportano un'intenzione segreta, un appello al nostro cuore da parte di Dio.
Il rimprovero che Gesù fa ai nove lebbrosi rivela la sordità di fronte a questo
appello, la cecità di fronte a questa intenzione segreta di Dio. L'uomo si
confonde con il dono che ottiene e si richiude su di sé. È rimasto sordo, non
ha visto di cosa si trattava realmente.
Quando
invece prorompe la gratitudine, il cuore ha percepito l'appello, ha sentito
l'intenzione segreta di Dio. E la lode si risolve in un nuovo livello di fede,
che si concretizza in un nuovo incontro, incontro che non interesserà più
soltanto un bisogno, ma tutto il proprio cuore; non più soltanto una cosa, ma
tutta la propria vita. Difatti l'incontro fa accedere ad una nuova visione (Alzati: ha scoperto che Colui che l'ha
guarito nel corpo, l'ha toccato nel cuore e lo rende capace di sentire le cose
in modo diverso) e ad una nuova condotta (e
va’: l'uomo diventa discepolo, tanto che la fede nel Salvatore gli sarà
ormai cammino sicuro di umanità, di un'umanità aperta, solidale, trasfigurata).
Gesù,
accogliendo il samaritano che torna a ringraziarlo, dice: “Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio,
all’infuori di questo straniero?”. ‘Rendere gloria’ è un’espressione semita
per ‘dire la verità’. Spesso l’uomo dice cose vere, ma senza dire la verità.
Oppure, in altri termini, diciamo di essere sinceri, ma spesso non siamo veri.
Il fatto è che la sincerità ha a che fare con il dire quello che sentiamo,
mentre la verità ha a che fare con quello che siamo. Ringraziare di un dono
ricevuto non significa solo esprimere la propria riconoscenza ma prendere atto
della benevolenza dell’altro che ci fa sussistere. Dire la verità implica
sempre la responsabilità del nostro essere di fronte a Qualcuno. Questo è
mancato ai nove che si sono dileguati, mentre è risultato così determinante per
la conversione del samaritano.
“La tua fede ti ha salvato” : è il tutto
della vita vissuto a partire da un punto, il punto di quell'incontro con il
Salvatore che irradierà tutta la vita perché sono state toccate le radici del
cuore.
Potremmo
alla fine domandarci: qual è dunque il criterio della vera devozione gradita a
Dio? Il versetto di 1 Ts 5,18 del canto all'alleluia
lo dice molto bene: “In ogni cosa rendete
grazie: questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”. Vale a dire:
se rendete grazie in ogni cosa, allora siete attenti all'appello di Dio,
all'invito del suo cuore, che è quello di farci fare esperienza della sua
volontà di benevolenza nei nostri riguardi attraverso gli eventi della nostra
vita, che così diventa storia sacra, storia dell'incontro dei nostri affetti,
di noi e di Dio; benevolenza, che si è manifestata in Gesù, di cui siamo
chiamati a vedere il Volto e nella cui compagnia siamo invitati a camminare. A
dire il vero, al rendere grazie Paolo unisce l’essere sempre lieti e il pregare
ininterrottamente. Le tre cose insieme segnalano che il cuore ha presagito la
presenza del suo Salvatore, che l’ha riconosciuto e al quale volgerà tutto il
suo desiderio. A sottolineare la fecondità dell’atteggiamento del saper rendere
grazie, i padri del deserto ripetevano che il rendere grazie in tutto solleva
da ogni altro obbligo. Potessimo rimanere sempre in quell’atteggiamento,
eviteremmo ogni intrusione del male nel nostro cuore.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 2
Re 5, 14-17
Dal secondo libro dei Re
In quei
giorni, Naamàn [, il comandante dell’esercito del re
di Aram,] scese e si immerse nel Giordano sette
volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il
suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua
lebbra].
Tornò con
tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e
stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra
se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». Quello disse: «Per la
vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva
perché accettasse, ma egli rifiutò.
Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di
caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo
servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma
solo al Signore».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 97
Il Signore ha rivelato ai popoli la
sua giustizia.
Cantate al
Signore un canto nuovo,
perché ha
compiuto meraviglie.
Gli ha dato
vittoria la sua destra
e il suo
braccio santo.
Il Signore
ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi
delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è
ricordato del suo amore,
della sua
fedeltà alla casa d’Israele.
Tutti i
confini della terra hanno veduto
la vittoria
del nostro Dio.
Acclami il
Signore tutta la terra,
gridate,
esultate, cantate inni!
Seconda Lettura
2 Tm 2, 8-13
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo a Timoteo.
Figlio mio,
ricòrdati di Gesù Cristo,
risorto dai
morti,
discendente
di Davide,
come io
annuncio nel mio vangelo,
per il quale
soffro
fino a
portare le catene come un malfattore.
Ma la parola
di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha
scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme
alla gloria eterna.
Questa
parola è degna di fede:
Se moriamo
con lui, con lui anche vivremo;
se
perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo
rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo
infedeli, lui rimane fedele,
perché non
può rinnegare se stesso.
Vangelo Lc 17, 11-19
Dal vangelo secondo Luca
Lungo il
cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa
e la Galilea.
Entrando in
un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza
e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide,
Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano,
furono purificati.
Uno di loro,
vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti
a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù
osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non
si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori
di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la
tua fede ti ha salvato!».