Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
XXVII Domenica
(6 ottobre
2013)
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Ab 1,2-3; 2, 2-4; Sal 94; 2 Tm 1,6-8.13-14; Lc 17, 5-10
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Riportando
la preghiera angosciosa della regina Ester prima di giocarsi la vita per
salvare il suo popolo l’antifona di ingresso canta: “Tutte le cose sono in tuo
potere, Signore, e nessuno può resistere al tuo volere”. Da intendere: Dio ha
promesso di salvare, nessuno glielo impedirà, nessuno impedirà la fedeltà di
Dio a se stesso e nessuno impedirà al cuore ‘fedele’ di ottenere quella
salvezza.
Tutta la
liturgia di oggi mira a svelare la struttura del cuore dell’uomo che si gioca
nella fede. Come dice il profeta Abacuc: “Soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede”. La situazione del popolo di
Israele, sotto la pressione dell’impero caldeo che, distrutta la potenza
assira, si abbatte sul Medio Oriente, si era fatta drammatica. L’azione di Dio
nella storia diventa incomprensibile tanto era messa alla prova la fede nella
sua capacità di salvezza. Ma proprio allora le illusioni umane vengono meno e
la fede in lui diventa più radicale e potente. L’espressione del profeta è ripresa
più volte da s. Paolo nelle sue lettere (Rm 1,17; Gal
3,11; Eb 10,38) e risuona nelle parole degli apostoli
che chiedono a Gesù: “Accresci in noi la
fede!”.
La domanda
degli apostoli però procede da un contesto preciso che i versetti precedenti
illustrano bene: “Se il tuo fratello
commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se
commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà
a te dicendo: ‘Sono pentito’, tu gli perdonerai”. La fede è domandata per vivere
il compito divino del perdono, che è il modo umano di vivere l’amore,
assecondando quel mistero di riconciliazione in atto nella storia secondo
l’espressione della lettera agli Efesini: “perdonandovi
a vicenda come Dio ha perdonato [= ha fatto grazia di sé] a voi in Cristo”.
Se poi ci riferiamo al passo corrispondente di Matteo il compito ci appare
ancora più immenso perché nemmeno si accenna al fatto che il fratello ci chieda
scusa: “Se il mio fratello commette colpe
contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?” E Gesù
di risposta: “Non ti dico fino a sette
volte, ma fino a settanta volte sette” (cfr. Mt 18).
Così tanto,
in modo così nuovo Gesù aveva insistito nella sua predicazione su questo
comando divino: “tu gli perdonerai”!
Il cuore dell'uomo sa e sente che non può riacquistare l'innocenza perduta se
non nel perdono ricevuto e offerto, costantemente. Qui si radica l'esperienza
di Dio: ognuno sente che non riuscirà credibile nell'offerta del suo amore se
l'Amore del Signore non l’avrà raggiunto, se il Signore non gli riverserà in
grembo quella tenerezza che non guarda a meriti o a diritti. Nel perdonare si
gioca la sincerità dell'aver incontrato Dio e dell'esserci percepiti solidali
con i nostri fratelli. La difficoltà risiede proprio nel fatto che non è così
semplice ritenerci peccatori, assillati come siamo dalla paura di venire
respinti e che non è così facile non aver più paura di Dio.
La risposta
di Gesù non riguarda la quantità della fede, come se importasse poterne avere poca
o tanta. Si basa sulla sua natura, sul fatto di averla vitale, viva, proprio
come un seme che nasconde l'energia di trasformazione per arrivare ad essere
albero. “Se aveste fede quanto un
granello di senape” non vuol dire: 'basta che ne abbiate un pochino, grande
come un granello di senape', ma piuttosto: 'basta che sia viva come un seme,
che pur piccolissimo, poi diventa una grande pianta'. Come sottolinea il salmo
responsoriale, il salmo 94, il primo dei salmi che nella tradizione ebraica si
canta al ricevimento del sabato, al versetto 7: “Se ascoltaste oggi la sua voce!”. Allora potremmo godere del vero
riposo del sabato e vivere la nostra storia, la nostra storia tormentata, nella
confidenza della compagnia del nostro Dio. Ciò che ci è richiesto, non è il
poco o il tanto, ma la schiettezza, la verità del cuore nella confidenza col
suo Dio.
A tale
schiettezza si attiene il servo. Quanto è facile cadere nella rivendicazione
dei nostri diritti, di quel che è giusto, di quel che ci viene! La vita non si
allea con chi avanza titoli di pretesa. Il Signore nemmeno, per quanto aspetti
alle porte del nostro cuore in attesa che impariamo semplicemente a chiedere e
non a esigere, semplicemente a dare e non a pretendere, semplicemente a fare e
non ad aspettarci che ci venga fatto. E questo sarà possibile quando ci
accorgeremo che Qualcuno ci ha trovati, è venuto a servirci; che non avremo mai
titoli a sufficienza per farci ammirare, ma ci ritroveremo belli solo nella
grazia di Chi ci ama; che essere servi, nell'esperienza evangelica, significa
non aver più bisogno di dimostrare nulla, di esibire nulla, di imporci in
nulla. Il vero servo è proprio Gesù, che nella confidenza più totale con il
Padre, serve tutti per conquistare tutti a quella stessa confidenza.
Essere servi
inutili significa essere semplicemente servi e nulla di più. Ma
il nostro titolo di gloria e di onore sta proprio qui: non voler essere e avere
altro che quello che l'amore del Signore ha voluto per noi. La rettitudine del
servizio sta esattamente in questo accogliersi nei confronti del Padrone senza
perdersi nei confronti con gli altri servi. È l’altra faccia dell’espressione:
“il giusto vivrà per la sua fede” e
vuol dire: chi non avanza pretese, confida davvero in Dio e non inciamperà
nella vita perché non sarà in contesa con gli uomini. Quello che non deriva
dalla confidenza in Dio viene dalla paura e se viene dalla paura è la
rivendicazione che avanza, rivendicazione che stoppa il cammino della comunione
con se stessi, con gli altri, con Dio, con le cose.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Ab 1,2-3; 2, 2-4
Dal libro del profeta Abacuc
Fino a
quando, Signore, implorerò aiuto
e non
ascolti,
a te alzerò
il grido: «Violenza!»
e non salvi?
Perché mi
fai vedere l’iniquità
e resti
spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a
me rapina e violenza
e ci sono
liti e si muovono contese.
Il Signore
rispose e mi disse:
«Scrivi la
visione
e incidila
bene sulle tavolette,
perché la si
legga speditamente.
È una
visione che attesta un termine,
parla di una
scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo
verrà e non tarderà.
Ecco,
soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il
giusto vivrà per la sua fede».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 94
Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite,
cantiamo al Signore,
acclamiamo
la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci
a lui per rendergli grazie,
a lui
acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio
davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il
nostro Dio
e noi il
popolo del suo pascolo,
il gregge
che egli conduce.
Se
ascoltaste oggi la sua voce!
«Non
indurite il cuore come a Merìba,
come nel
giorno di Massa nel deserto,
dove mi
tentarono i vostri padri:
mi misero
alla prova
pur avendo
visto le mie opere».
Seconda Lettura
2 Tm 1,6-8.13-14
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo a Timoteo.
Figlio mio,
ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione
delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di
forza, di carità e di prudenza.
Non
vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono
in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo.
Prendi come
modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono
in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene
prezioso che ti è stato affidato.
Vangelo Lc 17, 5-10
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore
rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo
gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed
esso vi obbedirebbe.
Chi di voi,
se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal
campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da
mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi,
finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse
gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche
voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo
servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».