Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
XXV Domenica
(22 settembre
2013)
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Am 8, 4-7; Sal 112; 1 Tm 2, 1-8; Lc 16, 1-13
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Il brano di
vangelo odierno, quello dell'amministratore disonesto, lodato dal padrone,
sembra a prima vista comportare un messaggio ambiguo. Gesù inviterebbe alla
disonestà? Evidentemente, la parabola, raccontata ai discepoli, più volte
paragonati nel vangelo ad amministratori, punta ad altro. Ma a che cosa?
Fermiamoci sulla lode del padrone: “Il padrone lodò quell'amministratore
disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”. La lode verte sul fatto che è
stato scaltro, accorto. Sicuramente non si trattava di un amministratore
imbecille, se era stato capace di quel comportamento; piuttosto, era stato
avido e l’avidità gli aveva fatto perdere il posto. Se paragoniamo questa
parabola a quella del possidente straricco (Lc
12,16-21) ci accorgiamo subito della differenza tra i due: il primo è accorto,
il secondo stolto. Per ambedue la domanda decisiva è la medesima: cosa fare?
La parola di
Gesù illustra proprio quel ‘saper cosa fare’ in rapporto alla propria vita. In
gioco è l’uso dei beni di questo mondo per ottenere vita piena. Il padrone
della parabola è Dio che affida i suoi beni a noi come amministratori, ai quali
a suo tempo chiederà conto. Se nessuno di noi è proprietario a titolo assoluto
dei beni che usa temporaneamente, la prima conseguenza sarà quella di
possederli senza che essi possiedano noi. L’avido, che consacra la sua vita ai
beni, scava un fossato incolmabile tra lui e la felicità. Volendo però la
felicità, l’accortezza consisterà allora nell’invertire la dinamica perversa
che si era instaurata: invece di consacrare la vita ai beni, consacrerà i beni
alla vita e ciò avverrà nella condivisione con tutti. In particolare, la
scaltrezza si giocherà sul fatto che, non potendo rabbonire direttamente il
padrone perché l'ammanco sarà risultato insolubile, si cercherà di carpire la
sua lode con il condonare i debiti ai compagni. La parabola può essere letta
come un’illustrazione della richiesta del Padre Nostro: ‘rimetti a noi i nostri
debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. La scaltrezza della santità
sta non nel fatto di rispondere davanti alle proprie mancanze con il tentativo,
impossibile data l'ampiezza dell'ammanco, di saldare i propri debiti, bensì nel
fatto di condonare i debiti altrui per trovare ancora il favore del padrone.
In
particolare, l'apostolo è colui che froda il padrone nel suo diritto di
giustizia invitando tutti ad entrare nel Regno. L'abilità dell'amministrare sta
proprio nel favorire in ogni modo l'entrata nel Regno da parte del maggior
numero. La misericordia è il calcolo più intelligente che possiamo fare per noi
e per gli altri. Se tu servirai il tuo Signore onorando il tuo fratello,
qualora tu dovessi mancare in qualcosa rispetto al tuo Signore, l'onore dato al
tuo fratello richiamerà il favore del tuo Signore. Non solo, ma se il tuo fratello
mancherà in qualcosa rispetto al suo Signore, l'onore che tu gli avrai portato
funzionerà da intercessore per lui perché quell'onore è computato a merito. I
meriti davanti a Dio sono energie di intercessione, pungoli all'amore di Dio a
riversarsi su di noi.
A questo
punto si aprono nuovi livelli di comprensione della parabola, ulteriormente
spiegata dalle parole di Gesù sulla distinzione tra ‘vostra’ e ‘altrui’, tra
‘cose importanti’ e ‘cose di poco conto’. Si tratta
di ottenere ciò che è nostro con ciò che non è nostro; di ottenere le cose
importanti con le cose di poco conto. Tutto ciò che usiamo in questo mondo non
è nostro, non ci appartiene; non solo, ma non ha nemmeno importanza seria
rispetto a quello che davvero cerchiamo e dunque è calcolato come cosa di poco
conto. Eppure, non abbiamo altra possibilità di arrivare a ciò che è nostro se
non attraverso le cose non nostre, a patto che le usiamo senza esserne usati,
che le condividiamo con tutti e che le godiamo insieme. E che cosa è nostro? Cirillo
di Alessandria definisce nostro ‘la santa e mirabile bellezza che Dio forma
nelle anime delle persone, rendendole simili a se stesso, in accordo con ciò
che eravamo in origine’. Questa è la cosa importante, quella che ci definisce,
quella che ci struttura. È nostro l’essere figli dell’Altissimo, è nostra
quella somiglianza con il Signore Gesù, che lui è venuto a ristabilire.
I beni
propri, grandi, veri, sono quelli che corrispondono ai desideri più profondi
del cuore, sono quelli che riguardano l'essere, la pienezza di quella vita che
ardentemente cerchiamo e che vediamo costantemente sfuggirci perché non ci
fidiamo della promessa di Dio; i beni altrui, piccoli, iniqui, sono le cose
materiali di cui abbiamo bisogno per vivere ma senza che costituiscano lo scopo
stesso del vivere; sono quelli che riguardano i desideri nell'immediato che
spesso sono così in contrasto con quelli profondi del cuore e che, se hanno il
sopravvento, sono intaccati dall'ingiustizia; sono quelli che preferiamo contro
le promesse di Dio.
Non per
nulla il canto al vangelo introduce questa parabola con la citazione di 2Cor
8,9: “Gesù Cristo: da ricco che era, si è
fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”,
da raccordare all’altro passo di Fil 2,5-8: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo
nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò
se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e a una morte di croce”. Condividere i beni con i poveri, stare
solidali con l’umanità di tutti significa portare a compimento quella vocazione
all’umanità che ci appartiene in proprio come figli dell’Altissimo, resi tali
da quel Signore Gesù che ha scelto di stare solidale con gli uomini perché gli
uomini potessero tornare a godere della comunione con Dio, il loro vero Bene.
Ed è caratteristico che l’espressione di Paolo, riportata dal canto al vangelo,
segua l’invito dell’apostolo ai Corinzi a partecipare alla colletta organizzata
per la Chiesa di Gerusalemme, non solo perché si stabilisca una certa
uguaglianza tra ricchi e poveri, ma soprattutto perché si renda visibile nei
frutti della carità la riconciliazione, operata dal Signore Gesù, dell’umanità
con Dio, simboleggiata dall’unità nell’unica famiglia di Dio di ebrei e pagani.
Un’ultima
osservazione sull’espressione dell’amministratore disonesto lodato. Il suo
dire: ‘so che cosa fare’ equivale all’affermazione di Giovanni: “E noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore
che Dio ha in noi. Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio
rimane in lui” (1Gv 4,16). E si contrappone all’espressione che Gesù
indirizza al Padre sulla croce a proposito dei suoi crocifissori: ‘non sanno
quello che fanno’ (Lc 23,34).
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Am
8, 4-7
Dal libro del profeta Amos.
Il Signore
mi disse:
«Ascoltate
questo,
voi che
calpestate il povero
e sterminate
gli umili del paese,
voi che
dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà
vendere il grano?
E il sabato,
perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo
l’efa e aumentando il siclo
e usando
bilance false,
per comprare
con denaro gli indigenti
e il povero
per un paio di sandali?
Venderemo
anche lo scarto del grano”».
Il Signore
lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non
dimenticherò mai tutte le loro opere».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 112
Benedetto il Signore che rialza il
povero.
Lodate,
servi del Signore,
lodate il
nome del Signore.
Sia
benedetto il nome del Signore,
da ora e per
sempre.
Su tutte le
genti eccelso è il Signore,
più alta dei
cieli è la sua gloria.
Chi è come
il Signore, nostro Dio,
che siede
nell’alto
e si china a
guardare
sui cieli e
sulla terra?
Solleva
dalla polvere il debole,
dall’immondizia
rialza il povero,
per farlo
sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.
Seconda Lettura
1 Tm 2, 1-8
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo a Timoteo
Figlio mio,
raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e
ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al
potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e
dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro
salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla
conoscenza della verità.
Uno solo,
infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo
Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza
egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e
apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e
nella verità.
Voglio
dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza
collera e senza contese.
Vangelo Lc 16, 1-13
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo
ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare
i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto
della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore
disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie
l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io
che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci
sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno
per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”.
Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta,
siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”.
Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi
ottanta”.
Il padrone
lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli
di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della
luce.
Ebbene, io
vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa
verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
[ Chi è
fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è
disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se
dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella
vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la
vostra?
Nessun
servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro,
oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e
la ricchezza». ]