Quarto ciclo

Anno liturgico C (2012-2013)

Tempo Ordinario

 

XXIV  Domenica

(15 settembre 2013)

 

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Es 32, 7-11. 13-14;  Sal 50;  1 Tm 1, 12-17;  Lc 15, 1-32

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È vero, come dirà Gesù, che Dio può far nascere figli perfino dalle pietre (cfr. Lc 3,8). Ma è ancora più vero che, per quanto indegni e ribelli, i figli che Dio preferisce sono quelli in carne ed ossa, quelli che siamo, che rimprovera ma di cui continua ad avere premura. La prima lettura ce lo dice a chiare lettere: Mosè intercede e Dio si lascia commuovere. Sembra paradossale che sia Mosè a ricordare a Dio i segreti del Suo cuore! Ebbene, Gesù, morto e risorto per noi, realizzando pienamente quella intercessione per noi, è il sigillo ultimativo di quella Volontà di bene di Dio.

Le tre parabole, come la lettura dell’Esodo e il salmo 50, non si colgono nella loro portata di rivelazione senza percepirne la densità drammatica. Mosè intercede dopo il peccato del vitello d’oro, al colmo dell’angoscia e consapevole delle conseguenze della stoltezza del popolo che ha rotto l’alleanza col suo Dio. Il nome nuovo di Dio che sentirà proclamare nella visione sul Sinai sarà: ‘Dio misericordioso e pietoso (Es 34,6; Sal 86,15). Dio è Misericordia senza limiti perché fedele al suo amore. Il peccato non resta impunito, ma sarà lui stesso che se ne assumerà il peso nelle sue conseguenze inchiodandolo alla croce e sacrificando se stesso. Il pastore che va in cerca della pecora perduta e se la mette sulle spalle tornando a casa allude al dramma della passione di quel Figlio dell’uomo che è angosciato finché il fuoco che è venuto a portare non si accenda e possa essere noto a tutti il segreto dell’amore di Dio per i suoi figli. Il salmo 50  collega la supplica del perdono (‘cancella il mio peccato’) proprio con la capacità di Dio di rinnovare (‘crea in me un cuore puro’) con la conseguenza che la misericordia di Dio verso di noi è una misericordia ‘giustificante’: non semplicemente ci viene perdonato il peccato, ma ci è attivata una nuova modalità di accesso alla vita, come partecipazione ai sentimenti di Dio per i suoi figli (‘siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso’, Lc 6,36). Sarà ormai la misericordia la rivelazione dell’umanità restituita al suo splendore.

Ciò che le parabole sottolineano, ragione convincente per il nostro cuore della fiducia che merita l’amore di Dio, è una cosa sola: la gioia di Dio nel suo essere misericordioso. Gesù non si cura degli angeli (le 99 pecore al sicuro, secondo l’interpretazione dei Padri) ma va in cerca dell’uomo peccatore e la sua gioia sta proprio nella compagnia dell’uomo che ha ritrovato tanto da condividerla con gli angeli. Il padre della parabola esprime la sua gioia nel veder il figlio prodigo ritornare al quale fa festa, nel desiderio di condividerla con il figlio maggiore. Il mistero a cui alludono queste parabole è l’eterno, solidale, amore di Dio per l’uomo, amore che non può non essere amore di misericordia perché l’uomo si è perso. Ricordo per inciso che la parabola della pecora perduta e ritrovata è l’annuncio evangelico della festa del SS. Cuore di Gesù.

Ne scaturisce una conseguenza ‘terribile’ per la nostra coscienza. Qual è la giustizia gradita davanti a Dio? Qual è il criterio della rettitudine? Il principio di rettitudine è la condivisione dei sentimenti di Dio, è la condivisione della sua letizia nell’amore agli uomini. Lo esprime anche la preghiera sulle offerte: “… ciò che ognuno offre in tuo onore giovi alla salvezza di tutti”, vale a dire: quello che di noi offriamo al Signore, se non si risolve nella manifestazione della misericordia di Dio che raggiunge il cuore dei nostri fratelli, non riuscirà gradito. ll nostro cuore, invece, irretito nelle illusioni del peccato, è più aspro di quello di Dio; crede di salvare una specie di nobiltà teorica condannandosi, rinchiudendosi in una condanna sfiduciata. Allora è il momento di ricordargli che Dio è più grande e se il cuore lo riconosce esce dalla sua solitudine, si umilia e ritrova speranza, perché può consegnarsi fiducioso a quell'amore di misericordia di cui le tre parabole di oggi illustrano il mistero.

È evidente che Gesù, con queste parabole, vuole rispondere alle critiche dei farisei sulla sua condotta perché accoglie pubblicani e peccatori. Vuole come rispondere alle mormorazioni del cuore dell'uomo che non è più capace di onorare i suoi fratelli perché non sa più riconoscere il mistero di Dio nel suo amore ai suoi figli. In effetti, con il racconto delle tre parabole, Gesù non cerca semplicemente di giustificare la condotta di Dio verso gli uomini, ma svela il mistero della sua Persona, lui che si definisce ‘mite e umile di cuore’ (Mt 11,29), via-verità-vita che mostra il Padre nella grandezza del suo amore per i suoi figli.

Sullo sfondo di questo mistero, quando il nostro cuore cede alle condanne e ai disprezzi, di sé e del prossimo, vale la supplica della preghiera dopo la comunione della messa di oggi: “La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo santo Spirito”, allusione diretta al mistero dell’amore di Dio che ingloba il nostro cuore, alla fede nel suo amore che non si tiene lontano da noi peccatori, ma ci viene a cercare con immensa tenerezza fino a conquistarci. Per quanto il nostro cuore si ritrovi come schiacciato dai peccati e fatichi a ritrovare la sua dignità, l’amore di Dio, in Gesù, lo sopravanza, lo sovrasta e lo ingloba.

Ne conseguono alcune costatazioni. La prima. Dio preferisce la sua gioia alla sua giustizia.  Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Ora, tutti i nostri pensieri di autocondanna, di paura, di disprezzo di noi e degli altri, feriscono l'amore di Dio perché gli rendono impossibile la gioia. Ogni autocondanna è una incomprensione di Dio. Ogni condanna, di sé e degli altri, è un'incomprensione profonda del cuore di Dio: come non sapere quello che procura gioia a lui e al nostro cuore?

Seconda costatazione. Chi sono i giusti? Nell'interpretazione spirituale dei Padri i novantanove giusti lasciati sui monti sono gli angeli. Ma sono anche coloro che, come gli angeli, adorano e lodano e gioiscono con Dio. Sono cioè coloro che gioiscono con Dio quando un peccatore ritorna, quando un uomo si pente. Di qui il criterio di discernimento della bontà, che ci rende 'sim-patici' di Dio, vale a dire degli stessi sentimenti di Dio: un cuore è buono quando gioisce del bene del fratello. Gioire della virtù di un fratello più che per la propria è segno di un cuore puro, ormai conquistato dalla bontà di Dio. Gioire per un altro rende intimi di Dio.

Terza costatazione. Se l'uomo è invitato a riconoscere come agisce Dio, come 'sente' Dio, è perché è chiamato ad imitarlo dato che il suo cuore è strutturato sulla misura divina. E l'imitazione consiste nell'impegnare la propria carità fino alla gioia senza volere nulla per sé, senza voler distinguersi da nessuno in alcun modo, soprattutto nel pretendere la gioia per sé. Ora, che Dio si rallegri più per una vera conversione che per la sufficienza di tanti che pensano di non aver bisogno di conversione è ovvio. La cosa meravigliosa è che rinnova la sua gioia per un peccatore che si pente più che per i veri giusti ed i giusti si riconoscono tali perché fanno altrettanto.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Es 32, 7-11. 13-14

Dal libro dell'Esodo

 

In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”».

Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervìce. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».

Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo, e tutta questa terra, di cui ho parlato, la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”».

Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo.

 

Salmo Responsoriale  dal Salmo 50

Ricordati di me, Signore, nel tuo amore.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro.

 

Crea in me, o Dio, un cuore puro,

rinnova in me uno spirito saldo.

Non scacciarmi dalla tua presenza

e non privarmi del tuo santo spirito.

 

Signore, apri le mie labbra

e la mia bocca proclami la tua lode.

Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;

un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

 

Seconda Lettura  1 Tm 1, 12-17

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo

Figlio mio, rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.

Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

 

Vangelo  Lc 15, 1-32

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».

Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».