Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
XXII Domenica
(1 settembre
2013)
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Sir
3,17-20.28-29; Sal
67; Eb 12,
18-19.22-24; Lc
14, 1. 7-14
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Un invito a
pranzo permette a Gesù di aprire orizzonti insospettati per i suoi ospiti.
L’uditorio è particolare: sono tutte persone ragguardevoli, persone che -
annota l’evangelista – lo stavano ad osservare. E a giudicare dall’intervento
di uno di loro, lo stavano ad osservare a cuore aperto. Ciò che Gesù diceva ai
suoi ospiti aveva indotto un commensale a sognare il banchetto messianico: “Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!”,
provocando la parabola del banchetto disertato dagli invitati e offerto ai
poveri, con la quale Gesù svela il mistero dell’agire di Dio. Purtroppo nella
liturgia di oggi manca questo ultimo riferimento, che resta però essenziale per
comprendere le parole dette prima: “Quando
sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto ... Quando offri
un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici ...” sulla base del
principio: “chiunque si esalta sarà
umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.
La questione
potrebbe essere così posta: perché l’umiltà ottiene quello che la grandezza
sogna? Rispetto all’agire dell’uomo, potremmo domandarci: chi cerca i primi
posti, lo fa riguardo all’ospite che l’ha invitato o riguardo agli altri
commensali? Evidentemente riguardo ai commensali. Ma così facendo non cerca più
l’intimità col padrone di casa che l’ha invitato, motivo vero dell’onore di
fronte ai commensali. Così, chi dà un pranzo ai suoi amici, ai suoi pari, non
va oltre l’interesse di ricevere altrettanto e sempre nell’ordine di un riconoscimento,
esibito e ricercato, di una qualche grandezza condivisa.
Agendo in
tal modo non si coglie la posta in gioco della vita. L’umiltà non consiste nel
farsi piccolo per essere riconosciuto poi (sarebbe una furbizia raffinata!), ma
piuttosto nel vedere così grande l’invito alla vita da non sentirsene nemmeno
degni. Non mi faccio piccolo ora per essere esaltato dopo, ma sono piccolo
perché troppo grande è il dono ricevuto. Più mi sento piccolo, più vuol dire
che colgo la grandezza di colui che mi invita. Quando la vita non è più giocata
nel confronto, di nessun tipo, con gli altri o sugli altri, vuol dire che il
cuore sta saldo nell’intimità con Colui che gliel’ha data, ne percepisce il
mistero e si sente piccolo. A questa piccolezza
è aperto il Regno. Di quella piccolezza sono beati coloro che siedono alla
mensa di Dio.
La cosa è
vera perché corrisponde all’agire di Dio. Dio è tanto grande (nella sua
misericordia) che non ha bisogno di elevarsi al di sopra di nessuno, ma la sua
grandezza si gioca nell’accondiscendenza verso tutti, nell’offrire a tutti la
sua mensa senza che alcuno abbia titolo a qualcosa. Se Gesù esorta il suo
ospite a invitare poveri, zoppi, storpi e ciechi è perché Dio fa lo stesso.
‘Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro’… La ragione risiede nella
coscienza che davanti a Dio nessuno gode di qualche titolo particolare di
rivendicazione, ma tutto dipende dal dono supremo suo, offerto a tutti. La
beatitudine deriva proprio dal fatto di godere della sua offerta senza averne
titolo e dal fatto di solidarizzare con tutti perché tutti raggiunti dalla
stessa offerta.
Anche il
brano del Siracide va letto nello stesso senso: “Quanto più sei grande, tanto più fatti
umile, e troverai grazia davanti al Signore. Molti sono gli uomini orgogliosi e
superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti”. È il segreto di quella
compiacenza di Dio per i poveri ed i peccatori che siamo, svelata da Gesù e
presagita da quel commensale, perché davanti a Lui non vale distinzione di
persona: vale solo il suo amore per noi, la sua misericordia. Se l’uomo si
attarda ancora a considerare la distinzione delle persone, rivendicando per sé
o esibendo davanti agli altri titoli particolari di dignità, non ha ancora
conosciuto l’intimità dell’amore di Dio e può perfino rifiutare l’offerta di
Dio. Chi non conosce l’intimità dell’amore di Dio non può ancora dirsi umile.
Lo stesso
invito del Siracide: “Figlio, compi le tue opere con
mitezza” va letto nello stesso senso. Agire con mitezza significa agire senza
interessi o bisogni di confronti, senza esibire o dimostrare nulla, senza
prevalere su nessuno, solidali e rispettosi. Ma ciò suppone un’intimità
abitata, una piccolezza acquietata e dolce sul modello di Gesù proclamato dal
canto al vangelo: “Prendete il mio giogo sopra di voi, dice il Signore, e
imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Si allude ad una
umanità toccata dalla grazia, accesa nelle sue prerogative di fondo
dall’esperienza della grandezza dell’invito, che Dio in Gesù ci fa, di stare
alla mensa del suo amore senza averne alcun titolo.
Così la
preghiera pressante che scaturisce dalla liturgia di oggi non è quella di
apprendere la virtù dell’umiltà, ma di imparare a percepire così intensamente
la grandezza del mistero di Dio, che in Gesù si accompagna a noi, da
disprezzare ogni altra nostra grandezza. La conseguenza strana, ma salutarmente
evangelica, di tale atteggiamento è che meno ci si preoccupa della propria
grandezza, più ci sta a cuore la grandezza di tutti. Perché questi è il giusto:
colui che sta contento dei doni di Dio a tutti, colui che si rallegra della
gioia di Dio per i poveri e i peccatori, ai quali appunto è stato inviato il
Salvatore.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Sir
3,17-20.28-29
Dal libro del Siràcide
Figlio,
compi le tue opere con mitezza,
e sarai
amato più di un uomo generoso.
Quanto più
sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai
grazia davanti al Signore.
Molti sono
gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti
Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande
è la potenza del Signore,
e dagli
umili egli è glorificato.
Per la
misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in
lui è radicata la pianta del male.
Il cuore
sapiente medita le parabole,
un orecchio
attento è quanto desidera il saggio.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 67
Hai preparato, o Dio, una casa per
il povero.
I giusti si
rallegrano,
esultano
davanti a Dio
e cantano di
gioia.
Cantate a
Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il
suo nome.
Padre degli
orfani e difensore delle vedove
è Dio nella
sua santa dimora.
A chi è
solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire
con gioia i prigionieri.
Pioggia
abbondante hai riversato, o Dio,
la tua
esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha
abitato il tuo popolo,
in quella
che, nella tua bontà,
hai reso
sicura per il povero, o Dio.
Seconda Lettura
Eb 12, 18-19.22-24
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli,
non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a
oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole,
mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la
parola.
Voi invece
vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme
celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei
primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli
spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.
Vangelo Lc 14, 1. 7-14
Dal vangelo secondo Luca
Avvenne che
un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi
stavano a osservarlo.
Diceva agli
invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei
invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un
altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti:
“Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece,
quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui
che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore
davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si
umilia sarà esaltato».
Disse poi a
colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i
tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a
loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario,
quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato
perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla
risurrezione dei giusti».