Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
Ordinario
XIX Domenica
(11 agosto
2013)
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Sap
18,3.6-9; Sal
32; Eb
11,1-2.8-19; Lc
12,32-48
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Il brano
evangelico di oggi illustra il mistero della grandezza divina del servizio,
rivelazione tipicamente evangelica: “Beati
quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi
dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a
servirli”. Ecco l’immagine di fondo che l’uomo non avrebbe potuto
inventarsi e che riassume invece il senso della persona e dell’agire di Gesù:
Dio si mette a servizio e in servizio degli uomini!
L’esortazione
alla vigilanza, con le parabole che la illustrano, dice assai più di quello che
saremmo portati a credere. I beni sono precari, e anche la vita è precaria.
Stare vigili significa allora non
perdere la coscienza di quella precarietà? Oppure, ancora, significa aspettare
con timore l’arrivo del padrone, che comunque verrà e che dovrà ricompensare o
castigare i suoi servi a seconda di come si sono comportati? Non c’è nulla di
evangelico in questo tipo di vigilanza.
La vigilanza
evangelica è in rapporto ad altro. Se al Padre è piaciuto darci il suo regno
nel Figlio che lo rivela, allora tutto va giudicato in funzione di quella
verità. E tanto più quella verità parla al cuore, tanto più il cuore vivrà di
quella verità. Come a dire: tanto più il cuore vedrà la bellezza del Figlio di
Dio, tanto più la vedrà nei figli degli uomini per cui si metterà a servirli.
Le parabole alludono più direttamente al mistero della rivelazione del Figlio
di Dio che si compie nella storia, alludono al Signore che viene a preparare
tavola ai suoi, a condividere i suoi segreti quanto all’amore di Dio per
l’uomo, motivo di beatitudine per il cuore dell’uomo. Si tratta di
un’esperienza di fede che equivale a un vivere nell’orizzonte di una promessa
che ha toccato il cuore. In primo luogo non sta la fatica del vegliare, ma la
percezione della fedeltà di Dio alla sua alleanza. Non per nulla la liturgia
comincia con l’antifona: “Sii fedele,
Signore alla tua alleanza, non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri. Sorgi,
Signore, difendi la tua causa, non dimenticare le suppliche di coloro che
t’invocano”. Si tratta di un vegliare in funzione della percezione del
regno di Dio arrivato a noi, in funzione della sua promessa di prossimità
all’uomo che si è compiuta e che continuamente si va compiendo. La forza
dell’esortazione del vegliare sta tutta nel riportare il cuore a sentire
l’alleanza di Dio, a vederla realizzata nel Signore Gesù che diventa il tesoro
del cuore perché in lui si concentrano le promesse di Dio e i nostri aneliti. E
prima ancora che tradursi in fatica di veglia perché il nostro cuore non si
allontani dalla verità percepita, diventa ardore di veglia perché il Signore
non dimentichi, perché non abbia timore delle nostre miserie, perché non ci abbandoni,
perché si costringa alla fedeltà a quell’amore che ha così fortemente voluto
per noi.
Il senso
della parabola dell’attesa del padrone quando torna dalle nozze va cercato in
quel tipo di vigilanza evangelica. L’immagine non ha nulla di usuale perché non
esiste sulla terra padrone che si metta a servire coloro che sono al suo
servizio. Non è possibile non pensare al gesto di Gesù di lavare i piedi ai
discepoli nell’ultima cena, come non è possibile non riferirsi al versetto di
Giovanni “Se uno mi ama, osserverà la mia
parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso
di lui” (Gv 14,23). Quel gesto, quella volontà
del Signore nei nostri confronti, è ben sottolineata dal versetto iniziale del
brano di oggi: “Non temere, piccolo gregge,
perché al Padre vostro è piaciuto di dare a voi il Regno”. E corrisponde,
nella ricostruzione della vicenda del popolo di Israele che esce dall’Egitto,
secondo il libro della Sapienza, all’annotazione: “Quella notte fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero
coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà”.
La fede, che
diventa ‘una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto’, nel
viaggio cioè della nostra vita, sta tutta nella percezione di quel “al Padre vostro è piaciuto”. In quella
volontà assoluta di benevolenza per l’uomo, volontà manifestata in Gesù, sta il
segreto della vigilanza evangelica, come anche della fatica apostolica. Come
potremo liberarci dagli affanni e dalle preoccupazioni per i beni di cui
abbiamo bisogno per vivere, come potremo vivere in sicurezza una vita
assolutamente precaria, come non doverci servire dei fratelli per colmare il
vuoto della precarietà che ci attanaglia, se non abbiamo mai percepito quella
volontà di benevolenza nei nostri confronti? L’insistenza delle Scritture e
della Tradizione quanto al non dimenticate,
state attenti, vegliate, trova qui la sua ragion d’essere.
In questa
ottica anche un altro particolare del brano evangelico di oggi assume tutta la
sua rilevanza. Sembra che le parabole sulla vigilanza si riferiscano a un tempo
finale, allorquando il padrone arriverà e non ci saranno più scuse che tengano.
In realtà non si tratta di un tempo (il tempo eterno dopo il tempo storico) ma
di una dimensione (il tempo eterno che attraversa il tempo storico). Come a
dire: il padrone che arriva è l’immagine della rivelazione che si compie quando
la vita quotidiana si apre al mistero del regno dei cieli. Non si tratta di un
vivere oggi in un certo modo quaggiù per meritarsi di andare domani lassù. Si
tratta piuttosto di un’imminenza del Regno che si può rivelare in ogni punto
della nostra vita. A questo tende il servizio
del padrone riguardo ai suoi servi: lui si rivela al cuore nella sua volontà
assoluta di benevolenza per noi, visione che cambia radicalmente l’orizzonte
della nostra vita.
A ricordarci
che non si tratta, però, di una beatitudine beata,
ma angosciosa, lavorata, paziente, sta
l’esempio di Abramo riportato nella seconda lettura. È vero che, se Abramo ha
potuto vedere solo di lontano i beni promessi, noi possiamo dire di averli
conseguiti, avendoli visti realizzati in Gesù. Ma per noi, come per lui, se la
promessa è certa, l’attuazione è precaria. Professare che in Gesù le promesse
si compiono non significa ancora che si compiono in verità in noi. Non per
nulla le parabole sulla vigilanza parlano della responsabilità dell’agire dei
discepoli, con l’insidia dell’illusione sempre alle porte, con l’insidia della
durezza di cuore rispetto all’attesa del padrone e al trattamento dei fratelli.
L’accento però, nell’esperienza evangelica, non è più posto sulla funzionalità
dell’agire (faccio bene per avere una ricompensa) ma sulla qualità della
vigilanza (sono così desideroso del mio padrone che mi preoccupo di tutti i
suoi servi). È l’attesa di Qualcuno, di Qualcuno che si sveli al mio cuore che
informa ormai la qualità dell’agire.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Sap 18, 6-9
Dal libro della Sapienza
La notte
[della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri,
perché
avessero coraggio,
sapendo bene
a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo
popolo infatti era in attesa
della
salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come
punisti gli avversari,
così
glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli
santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si
imposero, concordi, questa legge divina:
di
condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando
subito le sacre lodi dei padri.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 32
Beato il popolo scelto dal Signore.
Esultate, o
giusti, nel Signore;
per gli
uomini retti è bella la lode.
Beata la
nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo
che egli ha scelto come sua eredità.
Ecco,
l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera
nel suo amore,
per
liberarlo dalla morte
e nutrirlo
in tempo di fame.
L’anima
nostra attende il Signore:
egli è
nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi
sia il tuo amore, Signore,
come da te
noi speriamo.
Seconda Lettura
Eb 11, 1-2.8-19
Dalla lettera agli Ebrei
[ Fratelli,
la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per
questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede,
Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in
eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede,
egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando
sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa.
Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e
costruttore è Dio stesso.
Per fede,
anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare
madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo
da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza
numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la
spiaggia del mare e non si può contare. ]
Nella fede
morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li
salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla
terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero
pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di
ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella
celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha
preparato infatti per loro una città.
Per fede,
Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le
promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante
Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far
risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Vangelo Lc 12, 32-48
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere,
piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò
che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un
tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché,
dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
[ Siate
pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a
quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che,
quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei
servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi
dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a
servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà
così, beati loro!
Cercate di
capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si
lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che
non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». ]
Allora
Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore
rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone
metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito?
Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io
vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel
servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a
percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di
quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo
punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo
che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la
sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà
fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque
fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto
molto di più».