Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Tempo
di Natale
Santa Famiglia
(30
dicembre 2012)
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1Sam
1,20-22.24-28; Sal
83; 1Gv 3,1-2.21-24; Lc 2,41-52
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Celebrare la
festa della santa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, è un altro modo di
sottolineare la verità e la veridicità dell’incarnazione del Figlio di Dio. Per
porre la sua tenda tra di noi, Dio ha assunto la storia di una determinata
genealogia (Gesù è ascritto alla discendenza davidica),
carica delle promesse divine ma intessuta anche di peccato e di miserie umane e
ha assunto pure la struttura che ha consentito a quella storia di svolgersi,
cioè la famiglia. L’uomo che viene al mondo senza ritrovarsi in una famiglia
che l’accoglie porta i segni dello strappo subito perché non garantito nel suo
diritto a vivere e a crescere. Anche per Gesù, che è nato da una Vergine, è
stato essenziale il contesto famigliare per crescere e scoprire il senso della
sua vita. E tutto questo ha attinenza non solo con il bisogno dell’uomo, ma con
il mistero di Dio. Voglio dire che il fatto che Gesù abbia avuto una famiglia
non significa solo che Dio abbia voluto assumere la realtà umana della
famiglia, ma ancor più che la famiglia nella sua realtà umana parla di Dio. Con
tutti i misteri che comporta.
Nel racconto
del ritrovamento al tempio di Gesù da parte dei suoi genitori ne abbiamo un
indizio rivelatore. Al padre e alla madre che lo cercavano angosciati Gesù non
teme di rispondere: “Perché mi cercavate?
Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Altre volte
nel vangelo Gesù risponderà con questo tono a sua madre. Quando gli dicono che
lo cercano sua madre e i suoi fratelli, egli dichiara: “Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola
di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21).
Oppure, a Cana, durante il banchetto di nozze, a sua
madre che lo sollecitava ad intervenire risponde: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). Gesù rimanda continuamente, da dentro gli affetti
familiari, ad una dimensione ancor più profonda che costituisce la radice
stessa di quegli affetti e la garanzia più sicura. Rimanda cioè a quel ‘Padre’,
di cui ogni affetto parla, al quale ogni affetto rimanda e nel quale ogni
affetto trova la sua radice più appropriata ed il termine verso il quale ogni
affetto anela.
Gli
orizzonti sono mantenuti larghi, è un continuo andare oltre la cronaca e la
materialità degli eventi, dentro la necessità e la difficoltà di un superamento
continuo di quello che si pensava ovvio. Tutti i genitori conoscono questa
ambivalenza nella crescita dei figli: fanno tutto per i figli e la loro gioia
sta in questo, ma sanno che i figli sono chiamati a realizzare un loro progetto,
spesso senza poterlo condividere, almeno all’inizio. Ma corrisponde al progetto
di Dio sia la premura dei genitori che la libertà dei figli e se entrambi,
genitori e figli, sono consapevoli di questa unità di progetto in Dio, tutti e
due trovano la loro gioia, misteriosamente. Diventa così essenziale, per i
genitori e per i figli, la consapevolezza della verità di questo rimando. La
comprensione non è immediata, ma è assicurata. Della Vergine si annota nei
vangeli: “Maria, da parte sua, custodiva tutte
queste cose, meditandole nel suo cuore”. Non comprendere subito il piano di
Dio non significa non accoglierlo. Trattenere perciò eventi e parole,
misteriose, che vengono da Dio, significa accogliere in cuore il suo piano in
attesa di comprenderne il senso. E questo vale soprattutto negli affetti, negli
affetti familiari in particolare, quando la forza del legame farebbe valere il
legame tra madre e figlio, a volte in senso perfino ricattatorio e non invece con Colui che di quel legame è la
Sorgente ed il Criterio di verità. Se un legame non sta aperto ad un progetto
superiore rischia di soffocare.
Forse non è
inutile sottolineare che la prima e l’ultima parola di Gesù nel vangelo di Luca
è una evocazione del Padre. Nel tempio, quando è ritrovato dai suoi genitori: “Non sapevate che io devo occuparmi delle
cose del Padre mio?”; sulla croce, prima di morire: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc
23,46); oppure, prima dell’ascensione: “Ed
ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso” (Lc 24,49). Gesù fa vedere come in tutto ciò che vive, in
tutto ciò che possiamo vivere noi, quello che è essenziale è scoprire e far
valere la radice di vita, di senso, di sentimenti, che è il Padre dei cieli,
Colui dal quale ogni bene riceviamo e verso il quale porta ogni bene vissuto.
Senza questo ‘sconfinamento’, da dentro i legami degli affetti, l’uomo si
insacca su se stesso e non trova più slancio e passione per un progetto grande
di vita. In altre parole, non ritrova più lo Spirito donato da Gesù. Lo dice
assai bene la seconda lettura tratta dalla prima lettera di s. Giovanni: “Chi osserva i suoi comandamenti rimane in
Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito
che ci ha dato”. In altri termini, osservare i comandamenti risulta
possibile in forza dello Spirito che ci fa una cosa sola con Gesù, nel quale
abita la pienezza della divinità. E lo Spirito è Colui che continuamente tiene
aperti gli orizzonti verso il Padre, tanto in Gesù quanto in noi perché il desiderio
di comunione di Dio con gli uomini si compia finalmente. Così è stato per la
santa famiglia di Nazareth, così è stato per Gesù e così è per noi tutti. E
solo così gli uomini possono vivere i loro affetti senza sottrarre loro quel
vigore e quello slancio che li apre ad aneliti sempre più profondi e veritieri,
dentro un’umanità così larga di orizzonti da sentire tutti della stessa
famiglia.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 1
Sam 1,20-22.24-28
Dal primo libro di Samuele
Al finir
dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché -
diceva - al Signore l'ho richiesto». Quando poi Elkanà
andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a
soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò,
finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del
Signore; poi resterà là per sempre».
Dopo averlo
svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un'efa
di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era
ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita,
mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il
Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia
che gli ho richiesto. Anch'io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i
giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là
davanti al Signore.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 83
Beato chi abita nella tua casa,
Signore.
Quanto sono
amabili le tue dimore,
Signore
degli eserciti!
L'anima mia
anela
e desidera
gli atri del Signore.
Il mio cuore
e la mia carne
esultano nel
Dio vivente.
Beato chi abita
nella tua casa:
senza fine
canta le tue lodi.
Beato l'uomo
che trova in te il suo rifugio
e ha le tue
vie nel suo cuore.
Signore, Dio
degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi
l'orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o
Dio, colui che è il nostro scudo,
guarda il
volto del tuo consacrato.
Seconda Lettura
1 Gv 3,1-2.21-24
Dalla prima lettera di san Giovanni
apostolo
Carissimi,
vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di
Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha
conosciuto lui.
Carissimi,
noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora
rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili
a lui, perché lo vedremo così come egli è. Carissimi, se il nostro cuore non ci
rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la
riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che
gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio
suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha
dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo
conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Vangelo Lc 2,41-52
Dal vangelo secondo Luca
I genitori
di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli
ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma,
trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase
a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse
nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra
i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a
Gerusalemme.
Dopo tre
giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava
e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la
sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo
restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo?
Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché
mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma
essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque
con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso.
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in
sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.