Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Solennità
e feste
Tutti i Santi
(1 novembre
2013)
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Ap 7,2-4.9-14; Sal
23; 1 Gv
3,1-3; Mt 5,1-12a
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Le preghiere
e le letture di oggi mostrano in cosa consiste la gioia della santità: godere
dello splendore dell’amore di Dio per noi. E tutti gli sguardi si accentrano
sulla figura dell’Agnello glorioso e immolato ‘fin dalla fondazione del mondo’ (Ap 13,8). Il mondo è
uscito dall’amore di Dio, di esso è intessuto e percorso, di esso parla, ma
quanta tenebra ne impedisce la visione! Ebbene, oggi la chiesa mostra al mondo
la sua visione: è l’Agnello che attira gli sguardi e gli uomini si ritrovano
uniti nella stessa visione e possono risplendere della santità di Dio, che è
splendore di amore immolato.
Lo sguardo
della Chiesa non è però attirato come da un punto di fuga situato oltre la
storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una visione consolatoria.
La sua visione parla di un’esperienza quotidiana; parla di realtà ultima ma
vicina, più reale delle cose di tutti i giorni: un mondo che interpella e
invita con soave insistenza. Parla al cuore degli aneliti che lo assillano,
delle radici che lo costituiscono, delle tensioni che lo lavorano, dei desideri
che l’abitano.
Sempre mi
piace riandare all’esperienza esaltante degli abitanti di Siena nel 1311 quando
l’enorme pala (tre metri per cinque) della Maestà
di Duccio da Buoninsegna fu scortata in trionfo dalla
bottega dell’artista alla cattedrale, tra gli applausi della cittadinanza. La
visione di tutti quei santi schierati a destra e a sinistra del trono dove, in
Maria, la natura umana viene rivelata come degna dimora dello Spirito,
portatrice del Figlio dell’Altissimo, doveva suscitare l’impressione di
trovarsi già partecipi della loro compagnia e del loro tripudio. Oggi, forse,
non avvertiamo più l’attrazione del cielo allo stesso modo, ma la speranza, di
cui era portatrice quell’attrazione, è ancora necessaria per vivere e cogliere
il senso della nostra vita.
L’antifona
di ingresso e la preghiera dopo la comunione fanno come da cornice alla visione
aperta dalle letture della festa di oggi. “Rallegriamoci tutti nel Signore in
questa solennità di tutti i santi: con noi gioiscono gli angeli e lodano il
Figlio di Dio”. È motivo di gioia la santità perché non può esserci gioia se
non a partire da un amore accolto e condiviso. E la santità, come proclamano i
beati davanti al trono dell’Agnello, è questo amore accolto e condiviso. Perché
anche gli angeli sono implicati nella stessa gioia? E perché tutto si risolve
nella lode del Figlio di Dio? La gioia degli angeli esprime il mistero del loro
essere in adorazione: adorano un Dio che è pieno di amore per gli uomini, non
per loro. L’amore di Dio per gli uomini l’ha indotto a farsi uomo come loro, di
modo che l’uomo potesse, nella sua umanità, essere come il Figlio di Dio. Ne
scaturisce una conseguenza: se l’amore che gli uomini si portano non parla di
questo amore di Dio lodato dagli angeli, allora vuol dire che non si è più
capaci di adorazione, cioè della gioia di vedere splendere l’amore di Dio per
tutti gli uomini, non si è più figli di Dio. Un amore che non allude
all’adorazione di Dio diventa tiranno.
Nella
preghiera dopo la comunione diciamo: “... fa’ che raggiungiamo anche noi la
pienezza del tuo amore”. Non preghiamo semplicemente per arrivare anche noi in
paradiso, ma preghiamo perché quell’amore costituisca l’orizzonte della nostra
vita. La proclamazione dei santi, come viene descritta nella prima lettura, non
si riferisce ad un futuro dopo la storia, ma esprime la verità della nostra
storia, verità che non passerà e riempirà tutto del suo splendore. Ma quello
splendore costituisce già il senso della nostra storia, anche se spesso i
nostri occhi sono così velati da non accorgercene più. Sarebbe il senso della
preghiera: renderci accorti di quella verità.
È
caratteristico che l’antifona alla comunione, riprendendo la serie delle otto
beatitudini proclamate nel vangelo, le riduca a tre: puri di cuore, operatori
di pace, perseguitati a causa della giustizia. La purità di cuore capace di
vedere Dio è quella che scaturisce dall’esperienza della compassione, della
misericordia, così tipica della santità di un cuore che consola e conforta, che
accoglie in benevolenza e solidarietà, che rimanda a tutti quello che lui
stesso riceve, cioè il perdono rigenerante del suo Signore, che viene così
conosciuto come il Salvatore, come l’Amore che ti sottrae all’abisso. La purità
però, intrisa di gioia, è solo quella che si traduce in un agire che porta pace
a tutti, che rende capaci i cuori di pace, che si fa dono di pace, capace di
far grazia di sé come il Figlio di Dio che fa dono di sé perché l’amore di Dio
risplenda. E la pace donata è a prova di persecuzione, perché niente è più caro
al cuore di colui che gli ha restituito la dignità di uomo e di figlio di Dio.
L’amore a prova di persecuzione procede dal fatto di sentire la mia dignità
sullo stesso piano della dignità di tutti. Dire che di questi è il regno di Dio
significa proclamare che il cuore dell’uomo non può saziarsi che della verità
di quell’amore che giunge sanante e potente, sebbene ora si sia sempre
nell’occasione di perderlo di vista, di impedirci di goderlo, di impedire agli
altri di farne esperienza. Eppure, così proclama tutta la liturgia di oggi,
quella verità è la verità del mondo come dei cuori. È la verità di felicità per
il cuore dell’uomo, che intravede nelle beatitudini evangeliche le coordinate
precise per non fallirla.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Ap 7,2-4.9-14
Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io,
Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio
vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di
devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante,
finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il
numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila
segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste
cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e
davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle
loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio,
seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli
angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e
si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo:
«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al
nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli
anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco,
chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui:
«Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro
vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 23
Ecco la generazione che cerca il tuo
volto, Signore.
Del Signore
è la terra e quanto contiene:
il mondo,
con i suoi abitanti.
È lui che
l’ha fondato sui mari
e sui fiumi
l’ha stabilito.
Chi potrà
salire il monte del Signore?
Chi potrà
stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani
innocenti e cuore puro,
chi non si
rivolge agli idoli.
Egli otterrà
benedizione dal Signore,
giustizia da
Dio sua salvezza.
Ecco la
generazione che lo cerca,
che cerca il
tuo volto, Dio di Giacobbe.
Seconda Lettura
1 Gv 3,1-3
Dalla lettera prima lettera di san
Giovanni apostolo
Carissimi,
vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio,
e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha
conosciuto lui.
Carissimi,
noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora
rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili
a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha
questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
Vangelo Mt
5,1-12a
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si
avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro
dicendo:
«Beati i
poveri in spirito,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati quelli
che sono nel pianto,
perché
saranno consolati.
Beati i
miti,
perché
avranno in eredità la terra.
Beati quelli
che hanno fame e sete della giustizia,
perché
saranno saziati.
Beati i
misericordiosi,
perché
troveranno misericordia.
Beati i puri
di cuore,
perché
vedranno Dio.
Beati gli
operatori di pace,
perché
saranno chiamati figli di Dio.
Beati i
perseguitati per la giustizia,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli».