Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Solennità
e feste
N.S. Gesù Cristo Re
dell’universo
XXXIV
Domenica del Tempo Ordinario
(24 novembre
2013)
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2 Sam 5,
1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43
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A ben
guardare, molti particolari del racconto della crocifissione richiamano il
racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto all’inizio del suo ministero
messianico. Quella che allora veniva letta come tensione drammatica, qui
diventa concretezza drammatica. Se là emergeva la verità del cuore di Gesù
rispetto alle insinuazioni del diavolo, qui viene proclamata la verità della
sua vita rispetto all’amore del Padre e all’amore dei suoi figli. Le parole del
diavolo sono rivelate in tutta la loro portata nel momento cruciale della vita
di Gesù allorché, appeso in croce, si sente apostrofare: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda
ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se
gli vuol bene. Ha detto infatti: ‘Sono Figlio di Dio’!” (Mt 27, 42-43). Gli
uomini scherniscono, ma veramente Gesù non può salvare se stesso, non può
dimostrare nulla e non viene liberato dalla morte. Eppure, proprio quel non
salvare se stesso, non voler dimostrare nulla, non essere liberato dalla morte,
comporta la rivelazione del vero amore di Dio che riempie la sua vita e che
riverbererà sul cuore degli uomini che non vorranno più illudersi rispetto alle
insinuazioni del maligno.
Nel prefazio
di questa festa la Chiesa canta: “Egli, sacrificando se stesso immacolata
vittima di pace sull’altare della Croce, operò il mistero dell’umana
redenzione; assoggettate al suo potere tutte le creature, offrì alla tua maestà
infinita il regno eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di
santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”. La cosa singolare
è che l’assoggettamento di tutte le cose da parte di Gesù avviene proprio nel
suo stare sottomesso alla potenza del male senza venir meno alla confidenza nel
Padre e all’amore per i suoi figli, per i quali è stato inviato. Così la
scritta sulla croce “costui è il re dei
Giudei” è interpretata dalle generazioni cristiane: ‘Costui è il re della gloria’, la gloria dello splendore dell’amore
di Dio per l’uomo.
Nel brano di
oggi, al centro, ci sono i due malfattori, l’empio e il pio, che riassumono le
due possibili visioni: l’empio si accoda, per motivi suoi, alla visione di
scherno dei capi e dei soldati; il pio invece sa scorgere il mistero e si
abbandona fiducioso. Cosa ha visto quel malfattore pio, che l’iconografia
cristiana rappresenta come colui che in paradiso aspetta l’ingresso di tutti i
santi, da indurlo a pregare quel condannato: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”? Segnalo
intanto che questa è l’unica volta in tutto il Nuovo Testamento che uno si
rivolge a Gesù con il suo solo nome, a indicare la comunanza di destino e la
confidenza totale. Il fatto è che, di fronte a quell’uomo ingiustamente
condannato, eppur così mite, vede la propria storia rovinosa e senza perdersi
in rivendicazioni ormai inutili, crudeli perfino, accoglie in pace la sua sorte
perché può aprirla su qualcosa di più grande. Con la sua richiesta e la
risposta di Gesù veniamo a sapere che il regno di Dio è splendore di amore che
si riversa sull’uomo, che Dio non rinuncia al suo amore perché l’uomo è
cattivo, che Dio si manifesta con il volto mite dell’amore, proprio quando è
rifiutato e calpestato, in attesa che l’uomo lo riconosca e ne faccia la radice
della sua vita e del suo tormento.
L’immagine
del buon ladrone è una di quelle immagini che svelano il paradosso del mistero
di Dio aperto sull’uomo. Il giudizio della croce non parla dell’ingiustizia degli
uomini, ma della giustizia di Dio. E la giustizia di Dio è esattamente quella
che rende noi, indegni, degni dello splendore del suo amore a tal punto da
farci partecipi di quella dinamica di amore da riversarla con lui sul mondo.
Nel giudizio universale rappresentato da Giotto nella Cappella degli Scrovegni
a Padova, ai piedi della grande croce (e quasi a darle gambe perché muova
incontro all’uomo) sta una piccola figura umana. Partecipa all’esaltazione
della croce: due grandi angeli la reggono e lui – se ne vedono i piedi, uno
scorcio del capo e le braccia – si stringe al cuore il dulce lignum. Un piccolo fragile uomo (buon
ladrone, cireneo, ciascuno di noi) che si è imbattuto in quell’Uomo, l’ha
riconosciuto Dio, gli si è affezionato: porta quindi il ‘giogo soave, il carico
leggero’, nella prospettiva alta della felicità, la
cui caparra è, qui e ora, la letizia dell’amore.
Secondo le
letture della liturgia della festa odierna, il regno che il Signore ci acquista
e che costituisce la nostra eredità (si veda la parabola del giudizio finale di
Mt 25, dove il re proclamerà: “Venite,
benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin
dalla creazione del mondo...”) è presentato in tre immagini:
a) come
un’alleanza, che il popolo riconosce nella decisione di Dio di pascere il suo
popolo (2Sam 5,2) e che si realizzerà nella carità svelata dal Figlio morto e
risorto;
b) come
splendore di riconciliazione ( “È
piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di
lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose ...”, Col 1,19-20)
che Gesù ci ottiene sulla croce, quando ci mette nella condizione di
partecipare alla santità di Dio che è amore per gli uomini. È la carità di Dio,
per noi, che si traduce in riconciliazione vicendevole, a livello della storia
e che parla della pacificazione tra il cielo e la terra, del fatto cioè che la
terra del nostro cuore diventa cielo dove Dio è adorato, goduto, condiviso in
fraternità;
c) come
comunione con lui, oltre ogni rivendicazione, sopraffatti dalla sua
misericordia: “In verità ti dico: oggi
con me sarai nel paradiso”. Nella nostra umanità, tribolata e pacificata,
il Signore ci permette di godere della comunione con lui.
Ogni
proclamazione di regalità che non partisse dalla croce non potrebbe convincere
i cuori perché non renderebbe ragione dell’immensità dell’amore di Dio per
l’uomo. Non per nulla il tono con il quale i capi, i soldati e il malfattore
empio, si rivolgono a Gesù sa di scherno, è crudele: non possono concepire
altra regalità se non nel registro della potenza. Il tono invece del malfattore
pio è mite, esprime tenerezza e sa riconoscere il mistero di quella regalità
così mal compresa. Ma è appunto un re del genere che la Chiesa contempla, è un
re del genere che la chiesa annuncia e che serve.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 2
Sam 5, 1-3
Dal secondo libro di Samuele
In quei
giorni, vennero tutte le tribù d'Israele da Davide a Ebron,
e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava
Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto:
"Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d'Israele"».
Vennero
dunque tutti gli anziani d'Israele dal re a Ebron, il
re Davide concluse con loro un'alleanza a Ebron
davanti al Signore ed essi unsero Davide re d'Israele.
Salmo Responsoriale
dal Salmo 121
Andremo con gioia alla casa del
Signore.
Quale gioia,
quando mi dissero:
«Andremo
alla casa del Signore!».
Già sono
fermi i nostri piedi
alle tue
porte, Gerusalemme!
È là che
salgono le tribù,
le tribù del
Signore,
secondo la
legge d'Israele,
per lodare
il nome del Signore.
Là sono
posti i troni del giudizio,
i troni
della casa di Davide.
Seconda Lettura
Col 1, 12-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Colossési
Fratelli,
ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte
dei santi nella luce.
È lui che ci
ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio
del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei
peccati.
Egli è
immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui
furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle
invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state
create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e
tutte in lui sussistono.
Egli è anche
il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che
risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È
piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di
lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con
il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che
stanno nei cieli.
Vangelo Lc 23, 35-43
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi
invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il
Cristo di Dio, l'eletto».
Anche i
soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano:
«Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c'era anche una
scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei
malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te
stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore
di Dio. tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché
riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha
fatto nulla di male».
E disse:
«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità
io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».