Quarto
ciclo
Anno
liturgico C (2012-2013)
Solennità
e feste
Ss. Cuore di Gesù
(7 giugno
2013)
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Ez
34, 11-16; Sal
22; Rm 5,
5-11; Lc 15,
3-7
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I testi
della liturgia di oggi parlano della ‘immensa carità’ del Cuore di Gesù,
alludendo evidentemente al ‘cuore trafitto’ che il prefazio (‘dalla ferita del
fianco effuse sangue e acqua’) e l’antifona alla comunione (‘un soldato
trafisse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua’) esaltano. I
brani delle letture invece illustrano l’amore divino secondo l’immagine del
pastore, un pastore che raccoglie le sue pecore, che le conduce in ottime
pasture, che le fa riposare, che cura quella malata, che non trascura quella
forte, e soprattutto che riconduce in spalla la pecora smarrita. Un bellissimo
commento di s. Ambrogio spiega: “Rallegriamoci, dunque, perché quella pecora,
che in Adamo era andata perduta, in Cristo è sollevata in alto. Le spalle di
Cristo sono le braccia della Croce. Là ho deposto i miei peccati, sul capo di
quel nobile patibolo ho trovato riposo… Egli è dunque
un pastore ben provvisto, perché tutti noi siamo la centesima parte della sua
proprietà. Ma Egli possiede le greggi innumerevoli degli Angeli, possiede
quelle degli Arcangeli, delle Dominazioni, delle Potestà, dei Troni e di tutti
gli altri che ha lasciato al sicuro sui monti. E poiché sono creature
spirituali, non a torto gioiscono per la redenzione degli uomini”.
Il mistero
della parabola riguarda non semplicemente l'amore di Dio, ma l'esperienza che
fa il nostro cuore dell'amore di Dio. Con le sue parabole Gesù vuol rispondere
alle mormorazioni del cuore dell'uomo che non è più capace di onorare i suoi
fratelli perché non sa più riconoscere il mistero di Dio, non riesce più a
percepire il cuore di Dio. Per noi, in effetti, si tratta solo di 'riconoscere'
e 'credere' a questo amore di Dio che viene a cercarci, ad usarci premura, a
fare dono di Sé a noi, a perdonarci, noi, la sua gioia! Ma il nostro cuore,
irretito nelle illusioni del peccato, è più aspro di quello di Dio; crede di
salvare una specie di nobiltà teorica condannandosi, rinchiudendosi in una
condanna sfiduciata. Non è che manchino nella vita motivi di sfiducia, ma la
vita dell’uomo si gioca proprio nella fiducia a Qualcuno che è riconosciuto
come Colui che ‘si perde’ per noi e ci ridà dignità.
È vero che Dio può far nascere altri figli perfino dalle pietre, ma è ancora
più vero che, per quanto indegni e ribelli, i figli che Dio preferisce sono
quelli in carne ed ossa, quelli che siamo, che rimprovera ma di cui continua ad
avere premura. Gesù, morto e risorto per noi, è il sigillo ultimativo di quella
Volontà e il suo ‘Cuore trafitto’ è l’emblema più suggestivo di quella Volontà
di Bene per noi.
L’antifona
d’ingresso cantava: “Di generazione in generazione durano i pensieri del suo
Cuore, per salvare dalla morte i suoi figli e nutrirli in tempo di fame”, eco
del salmo 32 là dove proclama: “Il
Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma
il piano del Signore sussiste per sempre, i pensieri del suo cuore per tutte le
generazioni”. Il piano del Signore è la determinazione all’amore per l’uomo
senza lasciarsi vincere dalla sua diffidenza e dalla sua cattiveria. Il Cuore
di Gesù svela questo ‘piano’ e lo rende noto a tutti i cuori, perché è da
sempre, ancor prima della fondazione del mondo, anzi, motivo della stessa
fondazione del mondo, perché è perenne, definitivo, sempre nuovo, perché
risponde al desiderio e alla gioia di Dio e perché risponde al desiderio e al
riposo dell’uomo.
La cosa
straordinaria è che Dio fonda la sua giustizia nel condividere la sua gioia. “Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per
un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non
hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Ora,
tutti i nostri pensieri di autocondanna, di paura, di disprezzo di noi e degli
altri, feriscono l'amore di Dio perché gli rendono impossibile la gioia. Ogni
autocondanna è una incomprensione di Dio. Ogni condanna, di sé e degli altri, è
un'incomprensione profonda del cuore di Dio: come non sapere quello che gli
procura gioia? Il buon ladrone che non pretende la misericordia, ma riconosce
in pace la sua pena di fronte al Giusto crocifisso e chiede, per grazia, un
posto nel regno, è un esempio eloquente della misteriosa convergenza in Dio di
giustizia e di misericordia, gioia Sua e gioia della creatura.
Del resto,
chi sono i giusti? Nell'interpretazione spirituale dei Padri i novantanove
giusti lasciati sui monti sono gli angeli. Ma sono anche coloro che, come gli
angeli, adorano e lodano e gioiscono con Dio. Sono cioè coloro che gioiscono
con Dio quando un peccatore ritorna, quando un uomo si pente. Di qui il
criterio di discernimento della bontà, che ci rende 'sim-patici' di Dio, vale a
dire degli stessi sentimenti di Dio: un cuore è buono quando gioisce del bene
del fratello. Gioire della virtù di un fratello più che per la propria è segno
di un cuore puro, ormai conquistato dalla bontà di Dio. Gioire per un altro
rende intimi di Dio. E se l'uomo è invitato a riconoscere come agisce Dio, come
'sente' Dio, è perché è chiamato ad imitarlo. E l'imitazione consiste
nell'impegnare la propria carità fino alla gioia, senza pretenderla comunque
per sé. Non che la cosa risulti ovvia, ma se il nostro cuore si è sentito
trafitto guardando al Cuore trafitto dalla lancia del soldato, allora qualcosa
dei segreti di Dio si comunica a noi e proprio questo rende capaci di vivere
nello splendore di quella rivelazione.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Ez 34, 11-16
Dal libro del profeta Ezechièle
Così dice il
Signore Dio:
«Ecco, io
stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa
in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano
state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da
tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.
Le farò
uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro
terra e le farò pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi
abitati della regione.
Le condurrò in
ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si
adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele.
Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del
Signore Dio.
Andrò in cerca
della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella
ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò
con giustizia».
Salmo Responsoriale
dal Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non
manco di nulla.
Il Signore è
il mio pastore:
non manco di
nulla.
Su pascoli
erbosi mi fa riposare,
ad acque
tranquille mi conduce.
Rinfranca
l’anima mia.
Mi guida per
il giusto cammino
a motivo del
suo nome.
Anche se
vado per una valle oscura,
non temo
alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo
bastone e il tuo vincàstro
mi danno
sicurezza.
Davanti a me
tu prepari una mensa
sotto gli
occhi dei miei nemici.
Ungi di olio
il mio capo;
il mio
calice trabocca.
Sì, bontà e
fedeltà mi saranno compagne
tutti i
giorni della mia vita,
abiterò
ancora nella casa del Signore
per lunghi
giorni.
Seconda Lettura
Rm 5, 5-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Romani
Fratelli,
l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo
che ci è stato dato.
Infatti,
quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi.
Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno
oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di
noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior
ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di
lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per
mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo
salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo
del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la
riconciliazione.
Vangelo Lc 15, 3-7
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola:
«Chi di voi,
se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va
in cerca di quella perduta, finché non la trova?
Quando l’ha
trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici
e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora,
quella che si era perduta”.
Io vi dico:
così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per
novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».