Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
di Quaresima
3a Domenica
(11 marzo
2012)
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Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25
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“I miei occhi sono sempre rivolti al Signore…” canta
l’antifona di ingresso. È un invito a cogliere il senso della liturgia a
partire da quella prospettiva. I nostri occhi sono rivolti al Signore per
cercare in ogni evento la traccia del suo passaggio al fine di seguirlo e
poterlo conoscere; per cercare in ogni pensiero la scintilla divina che attiri
a lui e apra uno spazio di visione del suo volto. Il fatto che i nostri occhi
siano rivolti al Signore esprime la tensione del cuore che non si perde nelle
cose, ma delle cose cerca il senso; che non si confonde con i suoi pensieri, ma
li apre al sogno che racchiudono per compierli in verità.
Il canto al
vangelo “Dio ha tanto amato il mondo da
dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16) segnala
l’esperienza che siamo chiamati a fare. Se nelle parole o nei comandamenti che
Dio ci rivolge noi non riusciamo a percepire la sua tensione di amore nei
nostri confronti, non riusciamo a cogliere il Dono di Sé, quel ‘suo far grazia
di sé a noi’, come potremo osservarli con gioia? E se non percepiamo che tutte
le sue parole, tutti i suoi comandamenti, sono espressione di quel Dono di Sé
che nel Figlio Gesù il Padre ci fa, come potremo aprirci alla sua gioia? Come potremo
vivere la nostra umanità in modo che risplenda di quell’amore divino di cui
tutti i comandamenti parlano?
Nel brano
dell’Esodo, dove viene presentata la serie dei dieci comandamenti, delle dieci
parole, Dio inizia il suo discorso dicendo: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra
d’Egitto, dalla condizione servile”. Parla da dentro un legame già noto,
già riconosciuto, da dentro un’alleanza che ha già fatto conoscere al popolo
l’amore suo di benevolenza. Ed è da dentro quell’esperienza che le parole
risuonano e possono arrivare al cuore. Appena quell’esperienza si affievolisce,
le parole si stemperano e il cuore fatica a riconoscerle vere, presto le
abbandonerà. Ma se quell’esperienza si mantiene forte (e qui dovrebbe appuntarsi
tutto lo sforzo del coltivare il proprio cuore, come il cammino quaresimale
suggerisce), allora avverrà quello che celebra il salmo responsoriale: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca
l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice
…”. Da interpretare in senso intensivo e dinamico: Dio che è integro, rende
integri; Dio che è verità, rende veritieri; Dio che è rettitudine, rende retti.
Con la conseguenza di trovare forza perché integri, saggezza perché veritieri,
gioia perché retti e in ciò partecipare alla stessa vita di Dio.
A
quell’esperienza alludeva la costruzione del tempio. Là si andava per rinnovare
quell’esperienza. Ma Gesù, che di quell’esperienza rappresenta la testimonianza
più vivida, freme al vedere come ormai il tempio non risponda più allo scopo,
consapevole, da parte di Dio, che è venuto il tempo di indicare il nuovo tempio, quello definitivo, non
costruito dalle mani dell’uomo, dove la presenza di Dio in mezzo al suo popolo
potesse risplendere con un sigillo di radicalità e di definitività
non più passibile di cambiamenti. Gesù scaccia dal tempio venditori e
cambiavalute a sottolineare la rivelazione che di lì a poco porterà: il nuovo
tempio sarà il suo stesso corpo, dove non c’è mercato di sorta perché nulla è
richiesto all’uomo se non l’accoglienza dell’offerta del Suo amore, sigillato
dalla sua morte gloriosa, come
dichiarerà l’evangelista Giovanni. È caratteristico il fatto che l’espressione
di Gesù: “Distruggete questo tempio e in
tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19) sia
ripresa come accusa e scherno ai piedi della croce: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva
te stesso scendendo dalla croce!” (Mc 15,29). Sarà l’ultima richiesta di
segno: scendere dalla croce! Ogni richiesta di segno nell’ottica della potenza
rivela la cecità del cuore di fronte all’agire di Dio. Gesù non scenderà dalla
croce per convincere: se l’amore non convince, non c’è potenza che lo possa
ottenere. La conseguenza sarà che il luogo della presenza di Dio nel mondo
oramai è l’umanità: Dio risplende nell’umanità. E tutti i comandamenti sono in
funzione di far risplendere quella umanità. L’amore di Dio per l’uomo è così
radicale da far rivelare la Sua gloria solo a partire da e dentro l’umanità.
Qui è racchiuso tutto il mistero dell’amore di Dio e della salvezza dell’uomo.
In tal senso
si comprende allora come il cuore dell’uomo sia il luogo dell’adorazione del
Dio vero, perché da lì può risplendere l’umanità. Le azioni buone provengono
dallo splendore del cuore e lo splendore del cuore proviene dal riconoscimento
dell’amore di Dio per noi. Solo così il nostro cuore non è più luogo di
mercato, dove prevalgono interessi e contraffazioni. Non è cosa così agevole da
vivere, come suggerisce Paolo illustrando il dramma del Crocifisso per l’uomo
che patisce scandalo e stoltezza. Ma se l’uomo fa fede all’amore di Dio che in
Gesù splende nella sua umanità, vilipesa e gloriosa, allora riuscirà ad
abbandonare anche quella miriade di presunzioni e rivendicazioni che lo
tormentano nella vita e che rendono i rapporti così difficili, impedendo
all’umanità di risplendere. Per questo dico al mio cuore: “i miei occhi sono sempre rivolti al Signore…”.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Es 20, 1-17
Dal libro dell’Esodo
[ In quei
giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti
ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai
altri dèi di fronte a me. ]
Non ti farai
idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù
sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai
davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio
geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta
generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a
mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
[ Non
pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia
impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per
santificarlo. ] Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo
giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu
né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo
bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il
Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è
riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato
e lo ha consacrato.
[ Onora tuo
padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il
Signore, tuo Dio, ti dà.
Non
ucciderai.
Non
commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non
pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non
desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo
prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino,
né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». ]
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 18
Signore, tu hai parole di vita
eterna.
La legge del
Signore è perfetta,
rinfranca
l’anima;
la
testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio
il semplice.
I precetti
del Signore sono retti,
fanno gioire
il cuore;
il comando
del Signore è limpido,
illumina gli
occhi.
Il timore
del Signore è puro,
rimane per
sempre;
i giudizi
del Signore sono fedeli,
sono tutti
giusti.
Più preziosi
dell’oro,
di molto oro
fino,
più dolci
del miele
e di un favo
stillante.
Seconda Lettura
1Cor 1,22-25
Dalla prima lettera di Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece
annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani;
ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio
e sapienza di Dio.
Infatti ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di
Dio è più forte degli uomini.
Vangelo Gv 2,13-25
Dal vangelo secondo Giovanni
Si
avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio
gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora
fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e
i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai
venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della
casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta
scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i
Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste
cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in
quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del
tempio del suo corpo.
Quando poi
fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto
questo, e credettero alla Scrittura e alla parola
detta da Gesù.
Mentre era a
Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli
compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si
fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse
testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.