Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
di Quaresima
2a Domenica
(4 marzo
2012)
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Gn
22,1-2.9a.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10
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La colletta
del martedì della prima settimana di quaresima definiva bene il senso della
conversione: “Volgi il tuo sguardo, Padre misericordioso, a questa tua famiglia
e fa che superando ogni forma di egoismo risplenda ai tuoi occhi per il
desiderio di te”. Oggi, la liturgia, facendoci contemplare il volto di Gesù
risplendente di luce luminosissima, un volto bellissimo, rende ragione del desiderio che abita il nostro cuore e
canta con l’antifona di ingresso: “Di te
dice il mio cuore: ‘Cercate il suo volto’. Il tuo volto io cerco o Signore”.
A differenza
però di quello che ci attenderemmo, la liturgia non insiste sulla visione del
volto di Gesù trasfigurato, ma sulla tensione che quella rivelazione comporta.
La colletta sottolinea, ad esempio: “O Dio, Padre buono, che non hai
risparmiato il tuo Figlio unigenito, ma lo hai dato per noi peccatori …”. Nel
brano della Genesi, che riporta il dramma di Abramo per il sacrificio del
figlio Isacco, leggiamo: “Giuro per me
stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato
tuo figlio, il tuo unigenito …”. Stessa sottolineatura nel grido
dell’apostolo: “Se Dio è per noi, chi
sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha
consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?”.
Non solo, ma
la gloria che la liturgia declina non
si riferisce alla bellezza del volto di Gesù, ma all’amore del Padre che in lui
rifulge e dalla cui sorgente deriva tutto lo splendore che si manifesta nella
persona di Gesù. Da una parte, è come se gli occhi umani fossero resi capaci di
vedere l’oltre della figura di Gesù, quell’oltre che pesca nella
incommensurabile bellezza e profondità divina, a noi nascosta, ma per noi
vitale. Dall’altra, nulla si svolge secondo la nostra immaginazione. Se i
pittori di icone non si fossero sprofondati nella contemplazione del brano
evangelico, non avrebbero mai dipinto la scena con i discepoli atterrati, come
scaraventati a terra, spaventati, di fronte a un Gesù splendente di luce che
fuoriesce dalle profondità divine e che bagna con la sua luce tutto il mondo.
Pietro proclama che per lui era bello stare lì, ma il testo continua dicendo
che era come fuori di sé dallo spavento. Compaiono, accanto a Gesù, Elia e Mosè
in atto di conversare con lui, ma, come specifica l’evangelista Luca, il tema
della conversazione era la morte di Gesù. Perché questi accostamenti
drammatici?
Nel vangelo
di Marco il brano della trasfigurazione sul Tabor è posto al centro del suo
tessuto narrativo. Gesù era appena stato riconosciuto da Pietro come Figlio di
Dio, ma contemporaneamente aveva svelato il suo esito messianico, che cioè
avrebbe dovuto soffrire molto, essere ucciso e risuscitare. Non solo, ma aveva
ricordato ai discepoli che, se quella era la via del Maestro, non si
immaginassero di seguire un’altra via: “Se
qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce…”.
I discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sono gli stessi che vedranno di Gesù il
volto sanguinante, teso e stravolto dalla sofferenza, al Getsemani. I discepoli
hanno visto il volto trasfigurato di Gesù sul Tabor perché imparassero a
riconoscerlo nella sofferenza della passione, quando hanno dovuto rimirare non
l’oltre, ma come l’al di qua della figura, non il volto trasfigurato, ma il volto
sfigurato. I vangeli e la tradizione tengono collegate le due esperienze. Quale
il senso?
Lo illustra
assai bene Leone Magno nella sua omelia LI : “Una tale trasformazione tendeva
principalmente a rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce,
sicché l'umiliazione della passione, volontariamente accettata, non venisse a
turbare la fede di chi aveva contemplato l'eminente dignità, seppur nascosta,
del Cristo. Intanto, secondo un disegno altrettanto previdente, era dato
fondamento alla speranza della santa Chiesa, nel senso che tutto il corpo di
Cristo veniva a conoscere quale trasformazione avrebbe ricevuto in dono e le
singole membra potevano scambiarsi la promessa di compartecipazione all'onore
che risplendeva nel loro capo”.
Come Dio
promette ad Abramo, sarà il dono del Figlio da parte di Dio all'umanità che
costituirà la fonte di ogni benedizione, per tutti, per sempre. Non si pensi
però che il dono del Figlio all'umanità da parte del Padre sia in funzione
semplicemente di un riscatto, di un sacrificio espiatorio. Il valore del dono è
in funzione della grandezza dell'amore e se il Figlio testimonia questo amore
fino alla morte non è per essere vittima sacrificale, ma solo per la fedeltà
all'amore che non viene meno nemmeno davanti all'oltraggio e all'ingiustizia.
Ed è nella corrente di questo dono che i discepoli di Gesù sono chiamati a
lasciarsi trascinare, fruitori in ciò di quel “vedere il regno di Dio venire con potenza” (Mc 9,1), che introduce
proprio il racconto della trasfigurazione.
Qui si
comprende allora il cammino quaresimale, che è lotta perché sia superata ogni
forma di egoismo e il cuore viva del desiderio del Cristo. Egoismo è tutto ciò
che ci impedisce di essere toccati dall’amore di Dio, tutto ciò che si
sovrappone al desiderio del Cristo rinnegandolo e, di conseguenza, rinnegando
il nostro stesso cuore e dividendoci dai fratelli.
Con la
liturgia di oggi, nell’insieme delle sfumature con cui presenta il mistero
della trasfigurazione, incontriamo Dio come un amante così implicato nella vita
da non rifuggirla mai, da assicurarcela sempre, in totale abbondanza. Se su
Gesù risiede tutta la compiacenza del Padre, come dice la voce a sigillo della
visione sul Tabor, è perché lui farà vedere l’amore del Padre per gli uomini
con tale radicalità e assolutezza da implicare tutta la sua vita fino alla
morte, morte che segnerà proprio il trionfo dell’amore come sorgente di vita
per chiunque lo riconoscerà. Il dramma nostro invece è dato dal fatto che
neppure davanti a Lui ci lasciamo convincere che l’amore di Dio è per noi, che
l’amore suo è vita vera per noi, che l’amore diventi vita vissuta. Vorremmo che
Dio con il suo amore ci beatificasse senza dover spendere la vita in amore per
tutti perché il Suo amore risplenda. Quale stoltezza! Il cammino quaresimale,
con l’invito alla conversione, punta proprio a renderci permeabili dall’amore
di Dio in Gesù che si fa radice di vita, misura di vita.
Cercare di ascoltare Gesù, di seguirlo mettendo in
pratica le sue parole, è come entrare anche noi nella stessa compiacenza che
gode da parte del Padre, compiacenza che in altro non consiste se non nel
godimento di una vita che è diventata espressione di amore, tanto che non si
vuole altra vita se non quella che provenga e conduca ad un amore capace di far
risplendere il volto degli uomini. Ma se si vede risplendere quella luce,
allora Dio è con noi, il mondo può risplendere della sua presenza.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Gn
22,1-2.9a.10-13.15-18
Dal libro della Gènesi
In quei
giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!».
Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel
territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così
arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare,
collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo
figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo,
Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il
ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo
figlio, il tuo unigenito».
Allora
Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un
cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del
figlio.
L’angelo del
Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me
stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato
tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto
numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è
sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si
diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu
hai obbedito alla mia voce».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 115
Camminerò alla presenza del Signore
nella terra dei viventi.
Ho creduto
anche quando dicevo:
«Sono troppo
infelice».
Agli occhi
del Signore è preziosa
la morte dei
suoi fedeli.
Ti prego,
Signore, perché sono tuo servo;
io sono tuo
servo, figlio della tua schiava:
tu hai
spezzato le mie catene.
A te offrirò
un sacrificio di ringraziamento
e invocherò
il nome del Signore.
Adempirò i
miei voti al Signore
davanti a tutto
il suo popolo,
negli atri
della casa del Signore,
in mezzo a
te, Gerusalemme.
Seconda Lettura
Rm 8,31b-34
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Romani
Fratelli, se
Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio
Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa
insieme a lui?
Chi muoverà
accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi
condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e
intercede per noi!
Vangelo Mc 9,2-10
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto
monte, in disparte, loro soli.
Fu
trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime:
nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro
Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a
Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una
per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano
spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una
voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente,
guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre
scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano
visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi
tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai
morti.