Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
di Pasqua
5a Domenica
(6 maggio
2012)
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At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8
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La porta di
accesso più immediata per entrare nel mistero che Gesù vuole illustrare con
l’immagine della vite è data dal collegamento del canto al vangelo (“Rimanete in me e io in voi, dice il Signore;
chi rimane in me porta molto frutto”) con il passo di 1Gv 3,24: “Chi osserva i suoi comandamenti rimane in
Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito
che ci ha dato”. Il frutto di cui parla Gesù è collegato allo Spirito
Santo, di cui l’apostolo Paolo elenca le operazioni: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità,
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Essere in
Cristo significa avere lo stesso suo Spirito, agire secondo il suo Spirito.
Ritorniamo
all’immagine della vite che intesse tutto il cap. 15 del vangelo di Giovanni.
Gesù siede con gli apostoli per la sua ultima cena; ha appena lavato loro i
piedi, ha svelato l’imminente tradimento, ha conversato sulla rivelazione del
Padre e sull’invio dello Spirito Santo. Dicendosi vite vera mostra agli apostoli la profondità del legame che li
unisce e offre una chiave di lettura del mistero della vita sua e della sua
persona, indicando contemporaneamente a quale dignità di vita chiama i suoi
discepoli.
L’immagine
della vite ha risonanze profondissime nelle Scritture, soprattutto in rapporto
alle premure di Dio per il suo popolo. Si possono leggere i passi di Os 10,1, Is 5,1-7, Ger 2,21. In particolare, però, la vite ricorre nelle
parabole di Gesù: nella parabola degli operai inviati alla vigna (Mt 20,1-16),
nella parabola dei due figli invitati ad andare a lavorare nella vigna (Mt
21,28-30) e, con accenti assolutamente evocativi, nella parabola dei vignaioli
assassini (Mt 21,33-42) dove l’amore di Dio per il suo popolo appare proprio
folle.
La vite, per
il vino che se ne ricava pestando gli acini e facendo fermentare il mosto,
richiama il sacrificio pasquale di Gesù; il vino, frutto della vite, richiama
il sangue, il mistero eucaristico, lo Spirito Santo, il regno di Dio.
Gesù parla
anzitutto di potatura. In greco, potare, purificare, essere puro o mondo, sono
significati che si rapportano alla stessa radice. Gesù spiega: “Voi siete già puri, a causa della parola che
vi ho annunciato”. La parola di Gesù, quella che si è trasformata in vita
nostra, che ci ha comunicato il suo Spirito, ha il potere di rendere puri. Che
significa? Accogliere la parola di Gesù significa accogliere la rivelazione
della manifestazione dell’amore di Dio per l’uomo che lo vuole in comunione con
sé perché possa vivere in verità la sua vocazione all’umanità. Gli apostoli
incominciano a comprendere che in Gesù sta il segreto di Dio per l’uomo e,
nello stesso tempo, il segreto del loro cuore che anela a Dio. Il segreto di Dio
ha così sempre a che fare con la vocazione dell’uomo.
La potatura
mira a ottenere più frutto. Ma qual è il
frutto di cui si parla? Si vedrà meglio nel seguito del brano che verrà letto
domenica prossima, ma già si intravede da oggi. Il frutto è che il Padre sia
glorificato, cioè che l’amore tra gli uomini risplenda a tal punto da rivelarlo
Padre di tutti. Gesù è colui che rivela il mistero di Dio in tutta la sua
bellezza per l’amore agli uomini che lo divora, fedele in questo all’amore del
Padre fino alla fine: sia all’amore del Padre che in lui aveva posto tutto il
suo compiacimento sia all’amore per il Padre nella fedeltà alla sua volontà di
benevolenza per gli uomini. Partecipare a tutta la bellezza di quell’amore
significa dimorare in Gesù, come l’immagine
della vite sottolinea. E si dimora quando non si attingono altrove motivazioni
di vita e di azione, in nessuna circostanza, cioè quando lo Spirito del Signore
agisce e muove il nostro cuore in tutto ciò che sente e che fa, in tutta
intimità.
È interessante
costatare che Gesù porta il suo
frutto proprio quando è innalzato sulla croce: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Gesù, attirando tutti a Sé, realizza il
desiderio di comunione di Dio con gli uomini. Ma lo stesso frutto viene
moltiplicato nei discepoli perché porteranno frutto, mostrando il loro amore
vicendevole, proprio attirando a Cristo che di quell'amore è la causa. Così
l'amore al prossimo da parte dei discepoli di Cristo non rivela in primo luogo
la generosità degli uomini, ma la loro fede sincera, l'attaccamento al loro
Signore, la condivisione di un'intimità di vita e di affetti, nello Spirito,
capace di vivere un'umanità trasfigurata. Proprio come abbiamo chiesto nella
colletta: “ ...perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo
primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace”. La santità
si riferisce al fatto di “avere lo Spirito del Signore e la sua santa
operazione”, come dice s. Francesco d'Assisi e la pace riguarda la ritrovata
comunione con Dio, in Cristo, che si espande e dilaga su tutto, senza più
avanzare rivendicazioni di sorta che ne limiterebbero lo splendore e la
portata. Ma come poter sognare di vivere questa realtà se non rimanendo in
Cristo, sempre, comunque, a tutti i costi; se non operando perché le sue parole
rimangano in noi, sempre, comunque, a tutti i costi?
Aggiungo
ancora un aspetto rispetto al portar frutto che riguarda anche l’intelligenza
delle Scritture che vengono colte nella loro capacità di rivelare al nostro
cuore il mistero di Dio nella sua volontà di salvezza per l’uomo. Il segreto
delle Scritture è il segreto di Dio, che ha sempre a che fare con la vocazione
dell’uomo, come sopra dicevo. E il frutto per l’uomo sta proprio nel vivere
secondo quel segreto, nella potenza che quel segreto comunica. Non si tratta
tanto di venire a conoscenza di qualche dato di verità, ma di venir sopraffatti
dalla rivelazione di un segreto che ti abilita a un’esperienza, capace per sua
stessa natura, data la sua radice dall’alto, di indirizzarsi a tutti, di
condividerla a tutti.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura At
9, 26-31
Dagli Atti degli Apostoli
In quei
giorni, Saulo, venuto a Gerusalemme, cercava di
unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un
discepolo.
Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e
raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva
parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così
egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando
apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua
greca; ma questi tentavano di ucciderlo. Quando vennero a saperlo, i fratelli
lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.
La Chiesa
era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa:
si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello
Spirito Santo, cresceva di numero.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 21
A te la mia lode, Signore, nella
grande assemblea.
Scioglierò i
miei voti davanti ai suoi fedeli.
I poveri
mangeranno e saranno saziati,
loderanno il
Signore quanti lo cercano;
il vostro
cuore viva per sempre!
Ricorderanno
e torneranno al Signore
tutti i
confini della terra;
davanti a te
si prostreranno
tutte le
famiglie dei popoli.
A lui solo
si prostreranno
quanti
dormono sotto terra,
davanti a
lui si curveranno
quanti
discendono nella polvere.
Ma io vivrò
per lui,
lo servirà
la mia discendenza.
Si parlerà
del Signore alla generazione che viene;
annunceranno
la sua giustizia;
al popolo
che nascerà diranno:
«Ecco
l’opera del Signore!».
Seconda Lettura
1 Gv 3, 18-24
Dalla prima lettera di san Giovanni
apostolo
Figlioli,
non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità.
In questo
conosceremo che siamo dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro
cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e
conosce ogni cosa.
Carissimi,
se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque
cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e
facciamo quello che gli è gradito.
Questo è il
suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo
gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi
comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in
noi: dallo Spirito che ci ha dato.
Vangelo Gv 15, 1-8
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è
l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni
tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri,
a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in
me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non
rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi
i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me
non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e
secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete
in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà
fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e
diventiate miei discepoli».