Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
di Pasqua
3a Domenica
(22 aprile
2012)
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At
3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5a; Lc 24,35-48
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I racconti
della risurrezione non mirano soltanto a mostrare la verità della risurrezione
di Gesù, verità che non apparteneva all’orizzonte mentale dei discepoli, ma
anche ad aprire l’intelligenza delle Scritture, che con la risurrezione di Gesù
acquista tutt’altra densità e definitività.
Il canto al
vangelo di questa domenica esprime bene la condizione interiore che prelude al
riconoscimento del Risorto sia per gli apostoli che per noi: “Signore Gesù,
facci comprendere le Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli” (cf. Lc
24, 32). È la confessione dei due discepoli di Emmaus che, dopo aver
riconosciuto il Risorto nello spezzare il pane, si confidano i sentimenti
profondi del cuore. Quando, nella preghiera dopo la comunione, la chiesa fa
pregare: “Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo, che hai rinnovato con i
sacramenti pasquali, e guidalo alla gloria incorruttibile della risurrezione”,
non intende fare professione di fede nella risurrezione della carne, come la
proclamiamo nel Credo, ma più specificamente allude alla possibilità di vivere
in compagnia di Gesù Risorto (“Ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, Mt 28,20).
Luca
sottolinea la ‘corporeità’ del Cristo risorto ma subito dopo mostra come quella
stessa corporeità verrà sottratta allo sguardo dei discepoli con l’ascensione
al cielo. In effetti Gesù, per mostrare
la veridicità del suo corpo glorioso, mangia perfino una porzione di pesce
arrostito davanti ai discepoli esterrefatti. L’annotazione sembra avere una
valenza eucaristica. Il corpo glorioso ingloba nella sua dimensione ciò che di
per sé appartiene a un’altra. Pur fatte le debite distinzioni, è appunto il
mistero dell’eucaristia. Quando l’uomo mangia il pane eucaristico, non è lui a
inglobare il corpo di Cristo, ma è il Corpo di Cristo che assimila l’uomo che
lo mangia. È il Vivente che assume in lui noi vivi, ma ancora soggetti alla
corruzione, fino a portarci alla sua dimensione, fino a farci vivere dello
splendore dell’amore che viene da Dio.
È assolutamente
significativo che solo di Gesù Risorto si dica che “allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (Lc 24,45),
quando tutto ciò che lo riguardava fu portato a compimento. Gesù apre le
Scritture (corrisponde all’esperienza dei due discepoli di Emmaus che ascoltavano
il pellegrino spiegare le Scritture) e contemporaneamente apre la mente a
comprenderle. Il doppio movimento di apertura è ascritto al Risorto perché con
la risurrezione si compie il suo mistero, di cui tutte le Scritture parlano,
mistero che noi possiamo cogliere tramite lo Spirito suo che ci ha effuso e che
ci rende testimoni suoi. Tre sono gli aspetti che si concatenano nella
testimonianza dei discepoli:
1) anzitutto
il riferimento alle Scritture, senza le quali non è possibile riconoscere il
mistero della morte e risurrezione del Cristo, nel quale prende senso la stessa
creazione e trova il suo punto di incandescenza quel movimento di rivelazione
di Dio al suo popolo per la sua liberazione;
2) il Gesù
che ha patito è lo stesso che è risorto; le sue cicatrici non esprimono
semplicemente la cronaca della sua storia umana, ma rivelano tutto il mistero
dell’amore eterno di Dio per l’uomo, tanto che per noi, in fondo, si tratterà
di arrivare a cogliere come le sofferenze subite, le cicatrici nel corpo del
Cristo, non esprimono soltanto il prezzo, ma la gloria dell’amore. E come è
stato per il Signore Gesù, lo sarà anche per i suoi discepoli. Le sofferenze
subite, come le cicatrici nel corpo del Cristo, non esprimeranno più il prezzo
dell’amore, ma solo la gloria dell’amore. Ed è necessario che prezzo e gloria
si riferiscano allo stesso corpo, alla stessa persona, agli stessi eventi,
finalmente assolutamente aperti all’intelligenza dei cuori.
3)
l’annuncio della risurrezione è teso alla conversione e al perdono dei peccati.
E qui si
innesta la questione dell’intelligenza delle Scritture. Ce lo richiama
l’apostolo Pietro nel suo discorso alla folla dopo la guarigione miracolosa del
paralitico alla porta Bella del tempio, come riportato nella prima lettura. Il
punto essenziale del suo discorso non è costituito dal fatto di ricordare che
il miracolo è avvenuto nel nome di Gesù risorto, di cui lui e gli altri
apostoli sono testimoni, ma nel fatto di legare il pentimento e la conversione
al riconoscimento dell’agire di Dio in quell’Uomo che è stato rinnegato,
condannato, messo a morte e ora glorificato. Nel riconoscere che Gesù è stato
condannato e messo a morte c’è tutta l’ammissione di colpevolezza nei confronti
di Dio di cui si è disprezzato l’amore e perciò il cuore si addolora
profondamente (risuona allora con tutt’altro significato il versetto: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno
trafitto”, Gv 19,37), ma per aprirsi al riconoscimento che l’amore di Dio è
davvero grande e poter dire, davanti al ‘crocifisso’: questi è davvero il re
della gloria, il testimone dello splendore dell’amore di Dio che salva e nella
cui energia anche noi possiamo ora vivere. Guardando con dolore e tenerezza a
Colui che è stato trafitto possiamo specchiarci e ritrovare la nostra verità:
di uomini peccatori, che non hanno voluto tener in conto l’alleanza di Dio, che
hanno disprezzato il suo amore e contemporaneamente di uomini redenti, che
finalmente vedono l’amore di Dio riversarsi su di loro e fornire loro nuove
coordinate di esistenza. In
funzione di tale intima percezione, per provocarla e per convalidarla, la
chiesa legge le Scritture, le proclama in tutte le sue liturgie, le vive come
guida alla partecipazione della potenza della risurrezione.
Le preghiere
della liturgia di oggi (colletta, offerte, dopo comunione) sottolineano la
tensione all’eternità, tipica della risurrezione. È l’eterno che aspira il
temporale, è l’apertura all’eterno che lascia intravedere il senso della nostra
storia, letta nell’ottica della rivelazione delle Scritture, con lo sguardo
fisso al Cristo, nell’annuncio per il mondo che in lui la pace è ormai
godibile.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura At
3, 13-15. 17-19
Dagli Atti degli Apostoli
In quei
giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi
avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di
liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che
vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha
risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.
Ora,
fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma
Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti,
che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita,
perché siano cancellati i vostri peccati».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 4
Risplenda su di noi, Signore, la
luce del tuo volto.
Quando
t’invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia!
Nell’angoscia
mi hai dato sollievo;
pietà di me,
ascolta la mia preghiera.
Sappiatelo:
il Signore fa prodigi per il suo fedele;
il Signore
mi ascolta quando lo invoco.
Molti
dicono: «Chi ci farà vedere il bene,
se da noi,
Signore, è fuggita la luce del tuo volto?».
In pace mi
corico e subito mi addormento,
perché tu
solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.
Seconda Lettura
1 Gv 2, 1-5
Dalla prima lettera di san Giovanni
apostolo
Figlioli
miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato,
abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima
di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per
quelli di tutto il mondo.
Da questo
sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo
conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la
verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente
perfetto.
Vangelo Lc 24,
35-48
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e
a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano
riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi
parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace
a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli
disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate
le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma
non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le
mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di
stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una
porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse:
«Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che
si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e
nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse
loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo
giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il
perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete
testimoni».