Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
Ordinario
30a Domenica
(28 ottobre
2012)
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Ger 31,7-9; Sal 125; Eb 5,1-6; Mc 10,46-52
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La liturgia
di oggi comporta accenti assolutamente speciali se si ascoltano i brani con
l’emozione di chi viene messo a parte di un segreto a lungo custodito. Possiamo
introdurci con il canto al vangelo che riassume l’esperienza dell’apostolo
Paolo giunto alla fine della sua vita: “Il
Salvatore nostro Gesù Cristo ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita
per mezzo del vangelo” (2Tm 1,10). La vita che ha fatto risplendere è
quella che pesca nell’amore di Dio per noi tanto profondamente da non subire
più alcuna mortificazione della sua energia. Le ragioni di quell’amore pescano
così profondamente che nessun’altra ragione ha accesso al cuore.
Ad
illustrare quella esperienza, dono del Signore Gesù, mirano le letture di oggi.
La prima è tratta dal cap. 31 di Geremia, il capitolo che descrive il compiersi
della promessa di Dio per gli esuli a Babilonia, l’arrivo a Sion del Signore
con il suo popolo, realizzazione che allude a un’altra promessa, quella di una
nuova alleanza, scritta sui cuori, quando Israele corrisponderà con la stessa
dedizione all’attaccamento del Signore al suo popolo e tutto sarà riedificato
nuovamente. Straordinaria è la descrizione dei sentimenti di Dio: “Ti ho amato di amore eterno … il mio cuore
si commuove e sento per lui profonda tenerezza … tutti mi conosceranno … poiché
io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato”. Il
salmo responsoriale celebra l’esperienza del ritorno dall’esilio e la
riconsegna del popolo al suo destino di bene e di felicità, come il Signore
aveva promesso. Il racconto evangelico mostra invece di che cosa era foriera la
profezia di Geremia, anzitutto dalla parte di Dio e poi dalla parte dell’uomo.
Gesù e Bartimeo sono i personaggi chiave che svelano la natura del
segreto di Dio per l’uomo, noto a Gesù, ma avvertito potentemente anche da Bartimeo, sebbene confusamente. Troppo a lungo Bartimeo ha dovuto aspettare, troppo a lungo aveva sperato
per indugiare ancora: tutto scoppia, prorompe, perdendo ogni ritegno. E Gesù,
che anche lui vive con impazienza ormai la dinamica di rivelazione dell’amore
di Dio per gli uomini da non vedere l’ora di arrivare a Gerusalemme, riconosce
il suo desiderio, lo risana e lo rende suo compagno di viaggio, partecipe vedente del suo segreto da parte di Dio.
La tensione
interiore di Bartimeo si rivela nei due appellativi
con cui si rivolge a Gesù: l’uno, ‘Figlio di Davide’, gridato, l’altro, ‘Rabbunì’, sussurrato. Nei vangeli sinottici, soltanto due
persone si rivolgono a Gesù con il titolo di ‘Figlio di Davide’: la donna
cananea e il cieco di Gerico. Ritroviamo poi subito dopo questo appellativo nel
grido festante della folla che accompagna Gesù in Gerusalemme. L’appellativo
allude al mistero della persona di Gesù che si sta svelando e che nessuno però
coglie. Bartimeo sembra presagirlo. Lo conferma il
titolo con il quale si rivolge a Gesù quando gli arriva davanti: “Rabbunì”, evidentemente pronunciato con un tono accorato, a
differenza delle grida che gli avevano ottenuto l’attenzione dello stesso Gesù.
Questa espressione nasconde un mondo. Solo in un altro passo evangelico risuona
quel titolo, sulla bocca di Maria Maddalena quando, nel giardino, si sente
chiamare per nome da Gesù subito dopo la sua resurrezione (cfr. Gv 20,16). Immaginiamo il trasporto, l’emozione con cui
viene pronunciato! Rivela la natura di un rapporto personale, intimo, con Gesù,
di cui ormai ha condiviso vita e sentimenti, verso cui tende con tutta la sua
anima. Anche per Bartimeo quell’appellativo nasconde
una tensione fortissima dell’anima. E non solo in funzione della guarigione che
invoca, ma in funzione dell’orientamento di tutta la sua vita. Tutti i verbi
del brano sono intensivi: grida, non semplicemente chiama; ripetutamente grida
(tra l’altro, il grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della
preghiera di Gesù, della preghiera del cuore); getta via il mantello, non
semplicemente se lo toglie; balza in piedi, non semplicemente si alza; si
rivolge a Gesù da dentro una conoscenza che aveva già lavorato il suo cuore,
sebbene non avesse ancora mai potuto vederlo in faccia e appena lo vede, si
mette a seguirlo. E dove Gesù lo porta?
A Gerusalemme, perché subito dopo il miracolo, il testo del vangelo prosegue
descrivendo l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, dove si compie la sua
ora. La vista che gli ha ridato, nella visione della fede che ormai abita il
cuore, lo porta a vedere in Lui il Regno che si compie, il Paradiso nel quale tutti i discepoli di Cristo sono chiamati ad
entrare. E così la figura di questo cieco diventa l’immagine-simbolo della
tensione dell’anima e della scoperta di Colui che ormai ha rapito i nostri
cuori.
Ma questo è
l’esito della nostra preghiera: tornare ad avere il cuore che vede compiersi,
svelarsi nella nostra vita il segreto di Dio. In questa prospettiva va letta
l’esultanza del credente come ripete l’antifona d’ingresso di oggi, ripresa dal
salmo 105: “Gioisca il cuore di chi cerca
il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto”,
perché vi renda complici del suo segreto per l’uomo. Come la versione greca e
latina rendono: ‘cercate il Signore e siate fortificati’. Fortificati dalla
comunanza di vita con colui che dell’amore per noi ha fatto la ragione della
sua umanità. La preghiera è allora la condivisione della fretta che muove Gesù di veder compiersi il segreto di Dio in
favore degli uomini, fretta che trascina i discepoli e muove il mondo. Soltanto
l’invocazione gridata con tutto il cuore, senza alcun ritegno, come è avvenuto
per la donna Cananea (Mc 7, 26) e Bartimeo: “Figlio di Davide, abbi pietà di me” farà
vedere la fretta che muove il Signore nel suo appressarsi all’uomo aprendoci il
suo segreto e sanando così il nostro cuore, tanto da trascinarci nella sua
stessa dinamica perché tutti ne siano lambiti e il mondo risplenda della Sua
presenza.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Ger 31, 7-9
Dal libro del profeta Geremia
Così dice il
Signore:
«Innalzate
canti di gioia per Giacobbe,
esultate per
la prima delle nazioni,
fate udire
la vostra lode e dite:
"Il
Signore ha salvato il suo popolo, il resto d'Israele".
Ecco, li
riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno
dalle estremità della terra;
fra loro
sono il cieco e lo zoppo,
la donna
incinta e la partoriente:
ritorneranno
qui in gran folla.
Erano
partiti nel pianto,
io li
riporterò tra le consolazioni;
li
ricondurrò a fiumi ricchi d'acqua
per una
strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io
sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 125
Grandi cose ha fatto il Signore per
noi.
Quando il
Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava
di sognare.
Allora la
nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra
lingua di gioia.
Allora si
diceva tra le genti:
«Il Signore
ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose
ha fatto il Signore per noi:
eravamo
pieni di gioia.
Ristabilisci,
Signore, la nostra sorte,
come i
torrenti del Negheb.
Chi semina
nelle lacrime
mieterà
nella gioia.
Nell'andare,
se ne va piangendo,
portando la
semente da gettare,
ma nel tornare,
viene con gioia,
portando i
suoi covoni.
Seconda Lettura
Eb 5, 1-6
Dalla lettera agli Ebrei
Ogni sommo
sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle
cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in
grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e
nell'errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli
deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il
popolo.
Nessuno
attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come
Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo
sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»,
gliela conferì come è detto in un altro passo: «Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l'ordine di Melchìsedek».
Vangelo Mc 10, 46-52
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi
discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a
mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio
di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ».
Molti lo
rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di
Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il
cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».
Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù
gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va', la
tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.