Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
Ordinario
22a Domenica
(2 settembre
2012)
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Dt 4,1-2.6-8; Sal
14; Gc
1,17-18.21b-22.27; Mc 7,1-8.14-15.21-23
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Si riprende
la narrazione del vangelo di Marco là dove era stata interrotta per far posto
al lungo cap. 6 di Giovanni delle domeniche precedenti. Torna in scena il
gruppo dei farisei. L’oggetto del contendere riguarda la tradizione degli antichi, cioè quel complesso di norme che
garantivano la ‘santità’ della vita che ad ogni pio ebreo stava a cuore. Se
confrontiamo il passo di Marco con il corrispondente passo di Matteo 15,1-20,
notiamo che la risposta di Gesù non riguarda né l’approvazione o meno di quelle
norme né la loro abolizione, ma la radice di senso che comportano e che spesso
gli uomini stravolgono.
Possiamo
entrare nel movimento di rivelazione che il brano comporta con l’invito della
lettera di Giacomo: “Accogliete con
docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza”
(Gc 1,21). Giacomo sta ragionando sul fatto che l’ira
dell’uomo non compie la giustizia di Dio e perciò invita ad accogliere in
mitezza la Parola che ha il potere di salvarci lasciando da parte ogni impurità
e malizia. La contrapposizione si gioca tra l’ira e la mitezza, tra la ricerca
di potere sull’uomo da parte dell’uomo e la beatitudine evangelica dei miti che
erediteranno la terra. I Padri hanno sempre interpretato la terra come la terra
del cuore, secondo l’annotazione di Gn 2,15: “Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di
Eden, perché lo coltivasse [=ne coltivasse il suolo]
e lo custodisse”, assunta come immagine del cuore.
Quando,
nella prima lettura, si parla della legge di Dio in termini di
saggezza/intelligenza per chi l’accoglie, si allude proprio alla possibilità
per il cuore di godere del possesso della sua terra, si allude al coltivare e
al custodire in santità la terra del cuore perché se ne compiano gli aneliti
profondi, santità che equivale a preferire la compagnia di Dio e la sua
giustizia. Lo ripeterà san Paolo indicando nel Cristo crocifisso la potenza e
la sapienza di Dio perché “ciò che è
stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più
forte degli uomini” (1Cor 1,25). E lo ripete il salmo 14 che traccia la
vivibilità dei comandi del Signore che permettono il possesso e il godimento
del cuore. In effetti, il salmo 14
riassume la sincerità del cuore davanti a Dio nell’agire con giustizia e nel
parlare lealmente, cioè nel non danneggiare il prossimo, noi stessi compresi,
né coi fatti né con la lingua (quello che i nostri Padri chiamavano: non ferire
mai la coscienza del prossimo, né coi fatti né con le parole né con i pensieri
né con i sentimenti). Questo vale assai di più di qualsiasi pratica umana, pur
grandiosa, perché in questo risplende la vicinanza di Dio.
Per questo,
nel libro del Deuteronomio Mosè avverte: “Ora,
Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in
pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio
dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando
e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio,
che io vi prescrivo”. Come Gesù fa ben risaltare nel brano evangelico di
oggi, il guaio proviene dal fatto che la nostra pratica proviene spesso, non
dal comandamento di Dio, ma da tradizioni, atteggiamenti, pensieri,
imposizioni, obblighi, impegni, esclusivamente ‘umani’, che comunque non hanno
a che vedere con il vero e proprio comandamento di Dio. Così, la promessa di
trovare la vita ed entrare in possesso della terra del cuore, cioè gustare il
mistero del regno dei cieli svelato dal Signore Gesù Cristo, non si compie mai.
Quella promessa è abbinata solo alla pratica del comandamento di Dio, non ad
altro. Ora, il comandamento di Dio tocca
sempre il cuore, mentre la tradizione umana, spesso, non ha nulla a che vedere
con il cuore. Tutto il discorso di Gesù verte appunto sulla contrapposizione:
comandamento di Dio/tradizione umana (“Trascurando
il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”) e, di
conseguenza, sulla purità o meno del cuore.
Ben a
proposito, rispetto al comandamento di Dio, la Scrittura dice: non aggiungere,
né togliere. Siamo accusati di non mettere in pratica il comandamento non solo
quando ci rifiutiamo di eseguirlo, ma anche quando preferiamo un nostro
‘comandamento’ a quello di Dio. Se è abbastanza facile capire quando ci
rifiutiamo di compiere un comandamento, non lo è quando in qualche modo ci
imponiamo un ‘comandamento’, quando cioè crediamo di fare qualcosa di bene, ma
non secondo Dio. La tradizione midrashica ebraica
incastona in questo contesto l’occasione del peccato di Adamo ed Eva. Se si
leggono attentamente i primi capitoli della Genesi si noterà l’aggiunta di Eva
al comandamento di Dio. Dio dice: “…dell’albero della
conoscenza del bene e del male non devi
mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai
morire”. Ma Eva al serpente risponde: “…del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non
dovete mangiarne e non lo dovete toccare,
altrimenti morirete”. Eva aveva provato a toccare il frutto proibito, ma
non era successo niente. Quindi conclude: allora Dio non ha detto il vero, ha
ragione il serpente. Allora posso mangiare per avere la conoscenza…!
Ed incontra la morte. Basta pensare alla trama dei ricatti affettivi che
facciamo valere vicendevolmente per capire quanto sia pernicioso aggiungere al
comandamento di Dio!
L’atteggiamento,
davanti al comandamento, è quello invocato nella colletta: “O Dio, nostro
Padre, ... suscita in noi l’amore per te e ravviva la nostra fede”, per cui,
davanti alla parola di Dio, siamo invitati subito a metterla in pratica al fine
di cogliere la rivelazione di Dio che si svela al nostro cuore. Il primo moto è
affettivo, non intellettivo, nel senso che prima devo poter cogliere
l’intenzione segreta di Dio che a me si rivolge fidandomi del suo amore. È per
questo che, continuando la lettura del brano del Deuteronomio, al v. 9, si
proclama: “Ma bada a te e guardati bene
dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal
cuore, per tutto il tempo della tua vita”. L’accento è così posto sul fatto
di ‘far memoria delle parole che si sono viste’ (il testo dovrebbe essere
tradotto infatti più letteralmente: ‘guardati bene dal dimenticare le parole
che i tuoi occhi hanno visto’). L’accento cade sulla
sincerità del cuore che si trova dentro una storia d’amore che lo precede e
l’accompagna e a cui risponde e non sulla sua generosità. Cosa significa
‘vedere’ le parole? Significa aver accolto la parola ed essere avanzati in
quella realizzazione di umanità che fa risplendere la prossimità di Dio,
preferire cioè la compagnia di Dio e la sua giustizia.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Dt 4, 1-2. 6-8
Dal libro del Deuteronòmio
Mose parlò
al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi
insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in
possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non
aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma
osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le
osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra
saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo
parlare di tutte queste leggi, diranno: "Questa grande nazione è il solo
popolo saggio e intelligente". Infatti quale grande nazione ha gli dèi
così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo
invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa
legislazione che io oggi vi do?».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 14
Chi teme il Signore abiterà nella
sua tenda.
Colui che
cammina senza colpa,
pratica la
giustizia
e dice la
verità che ha nel cuore,
non sparge
calunnie con la sua lingua.
Non fa danno
al suo prossimo
e non lancia
insulti al suo vicino.
Ai suoi
occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi
teme il Signore.
Non presta
il suo denaro a usura
e non
accetta doni contro l'innocente.
Colui che
agisce in questo modo
resterà
saldo per sempre.
Seconda Lettura
Gc 1, 17-18. 21b-22.27
Dalla lettera di san Giacomo
apostolo
Fratelli
miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e
discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c'è variazione né
ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della
parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Accogliete
con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla
salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori
soltanto, illudendo voi stessi.
Religione
pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le
vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
Vangelo Mc
7,1-8.14-15.21-23
Dal vangelo secondo Marco
In quel
tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da
Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con
mani impure, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano
se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli
antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e
osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di
stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo
interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione
degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene
ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi
onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il
comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di
nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è
nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le
cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]:
«Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di
male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno,
dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive
vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».