Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
Ordinario
20a Domenica
(19 agosto
2012)
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Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
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Continua la
proclamazione del cap. 6 di Giovanni. Ma oggi la liturgia ci addita una
particolare finestra di luce per cogliere il senso del discorso-rivelazione di
Gesù. ‘Non siate scemi’, ci ripetono la prima e la seconda lettura: “abbandonate l’inesperienza” (Pro 9,6); “non siate sconsiderati” (Ef 5,17). L’intelligenza della vita! Appare desiderabile,
chi non la vuole? Non è segreta, non è inaccessibile, non è complicata, non
richiede studi particolari. Eppure, non è proprio a portata di mano. E
nonostante tutto, il cuore la gradirebbe sempre.
In
particolare, la lettera agli Efesini sottolinea il punto esatto dove cercarla.
Si tratta di essere ‘intelligenti di Dio’; si tratta di essere ‘intelligenti
della volontà di Dio’. Non pensiamo però che si tratti prima di tutto di
scoprire cosa Dio vuole da noi; piuttosto, di scoprire quanto bene Dio ci
vuole, tutto il Bene che sta nascosto nelle sue parole, nelle sue iniziative,
nel suo Figlio che per noi si fa cibo e bevanda di vita. Per questo Paolo parla
di imparare a essere ‘pieni di Spirito Santo’ e indica tre vie: la preghiera,
il rendimento di grazie, lo stare sottomessi gli uni agli altri. “…siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra
voi con salmi, inni, canti spirituali, cantando e inneggiando al Signore con il
vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome
del Signore nostro Gesù Cristo. Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni
agli altri” (Ef 5,18-21). Purtroppo le edizioni
moderne della Bibbia suddividono la frase, che in greco è unica e suona così:
"...rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del
Signore nostro Gesù Cristo, sottomettendosi
gli uni agli altri nel timore di Cristo". Il dono dello Spirito è
il contenuto della preghiera nel senso di imparare a percepire la volontà di
Bene di Dio per noi; il rendere grazie esprime l’esperienza della percezione di
quel Bene per noi e lo stare sottomessi indica il radicamento di quel Bene nel
cuore da risultare il tesoro più prezioso. Ma tra il rendere grazie e lo stare
sottomessi c'è tutto il tragitto del cammino da fare. Se si rende grazie senza
stare sottomessi si è boriosi; se si è sottomessi senza rendere grazie si è
servili. Invece, il segno che un cuore adora sinceramente il suo Dio è proprio
il fatto di rendere continuamente (= sempre, in ogni circostanza, comunque)
grazie e di stare sottomessi (ai propri fratelli, ma anche alla vita in
generale) portando pazienza con il tempo, le cose, le circostanze, il nostro
cuore e i nostri difetti.
Dalla
prospettiva di questa ‘intelligenza di Dio’, le parole di Gesù suonano con
tutt’altro accento. A conclusione del suo discorso, Gesù riassume in tre
passaggi la rivelazione della volontà di Bene di Dio per l’uomo che in Lui si
compie: avere la vita, dimorare in lui, vivere per lui. Tutte realtà che
solamente coloro che accettano di mangiare la carne del Figlio dell’uomo
possono ereditare. Espressione più forte Gesù non poteva usare: ‘chi mangia la
mia carne…’. Tuttavia la rivelazione non è assurda.
Nel capitolo precedente, Gesù aveva discusso con i farisei a proposito delle
Scritture: “Voi scrutate le Scritture
pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno
testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita” (Gv 5,39-40). Si leggono le Scritture per avere la vita. Ma
le Scritture non parlano proprio di Gesù, del Figlio dell’uomo che sigilla
definitivamente la volontà di Bene di Dio per l’uomo? Leggere le Scritture è
come un mangiare, mangiare per avere la vita, per vivere in modo desiderabile e
bello. Ma se le Scritture parlano di Gesù, allora leggerle è come un mangiare
Gesù, per avere la vita, perché, dice ancora Giovanni: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui
che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3). Offrendo
come cibo il suo stesso Corpo, con l’eucaristia, Gesù non fa che radicalizzare
la rivelazione delle Scritture.
Come una
parola mangiata resta nel nostro cuore, così chi mangia il Corpo del Signore
dimora in Lui. Sarà la logica della similitudine della vite (cfr Gv 15): lui dimora in me e io in lui, fino a poter dire con
s. Paolo: “non vivo più io, ma Cristo
vive in me” (Gal 2,20). Quando mangiamo il pane eucaristico, in realtà non
siamo noi a mangiare il Corpo di Gesù, ma è Lui ad assimilarci al suo Corpo, ad
assumerci in Sé. Come fa dire a Gesù una bella preghiera di Lorenzo Scupoli (1530-1610): “Io voglio da te, che niente voglia,
niente intenda, niente veda fuori di me e della mia volontà, acciocché io in te
tutto voglia, pensi, intenda e veda in modo che il tuo niente assorto
nell’abisso della mia infinità, in quella si converta, così tu sarai in me
pienamente felice e beata, e io in te tutto contento”. E’ la consumazione di
quella ‘vita in Cristo’ in cui consiste lo scopo della comunione eucaristica e
a cui tende ogni sforzo ascetico e l’anelito di ogni preghiera.
Dimorare
allude alla dinamica di un amore che diventa radice di vita, che si fa vita di
amore partecipando alla stessa potenza di amore che qualifica la vita del
Figlio dell’uomo, splendore dell’amore di Dio. La preghiera dopo la comunione
della messa di oggi lo ricorda molto bene: “O Dio, che in questo sacramento ci
hai fatti partecipi della vita del Cristo, trasformaci a immagine del tuo
Figlio, perché diventiamo coeredi della sua gloria nel cielo”. Diventare
partecipi della vita del Cristo significa somigliargli, rivestirsi dei suoi
sentimenti, vivere della sua stessa umanità sulla quale risplende, imperitura,
la gloria dell’amore di Dio per gli uomini. Significa incarnare la Presenza di
Dio in mezzo al suo popolo. Perché, per la nostra stoltezza, non ritenerci
‘degni’ dell’offerta di Dio, del suo mistero? E così, se l’uomo vuole la vita e
dimora nella vita, non può non viverla che in forza e per estendere a tutti
quell’amore che gli si è rivelato in quel Gesù, che ha accolto nel suo cuore
come la parola definitiva di Dio per l’uomo, sigillo di Bene e di Verità,
principio di vita vera che riempie il suo desiderio.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Pr
9, 1-6
Dal libro dei Proverbi
La sapienza
si è costruita la sua casa,
ha
intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il
suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha
imbandito la sua tavola.
Ha mandato
le sue ancelle a proclamare
sui punti
più alti della città:
«Chi è
inesperto venga qui!».
A chi è
privo di senno ella dice:
«Venite,
mangiate il mio pane,
bevete il
vino che io ho preparato.
Abbandonate
l'inesperienza e vivrete,
andate
diritti per la via dell'intelligenza».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 33
Gustate e vedete com'è buono il
Signore.
Benedirò il
Signore in ogni tempo,
sulla mia
bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio
nel Signore:
i poveri
ascoltino e si rallegrino.
Temete il
Signore, suoi santi:
nulla manca
a coloro che lo temono.
I leoni sono
miseri e affamati,
ma a chi
cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite,
figli, ascoltatemi:
vi insegnerò
il timore del Signore.
Chi è l'uomo
che desidera la vita
e ama i
giorni in cui vedere il bene?
Custodisci
la lingua dal male,
le labbra da
parole di menzogna.
Sta' lontano
dal male e fa' il bene,
cerca e
persegui la pace.
Seconda Lettura
Ef 5, 15-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo
agli Efesìni
Fratelli,
fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma
da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate
perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non
ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi
dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati,
cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente
grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Vangelo Gv 6, 51-58
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno
mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per
la vita del mondo».
Allora i
Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua
carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non
mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in
voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e
io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio
sangue vera bevanda.
Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che
ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia
me vivrà per me.
Questo è il
pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono.
Chi mangia questo pane vivrà in eterno».