Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
Ordinario
18a Domenica
(5 agosto
2012)
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Es
16,2-4.12-15; Sal 77; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35
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Domenica
scorsa era stata letta la pericope del racconto del miracolo della
moltiplicazione dei pani, mentre oggi e nelle domeniche successive viene letto
il seguito del brano nel quale Gesù, a più riprese, in un colloquio serrato ed
esigente con la folla che aveva assistito al miracolo, tenta di dar conto del
mistero della sua persona. È tipico di Giovanni formulare la verità su Gesù
attraverso un dialogo che, mentre allude all’esperienza della storia
dell’alleanza di Israele con Dio, fa emergere gli aneliti e i sogni dei cuori.
Il colloquio al pozzo di Giacobbe con la donna samaritana ne è un esempio.
Al centro
della pericope di oggi sta una grande questione: come decifrare i segni di Dio.
Tutti avevano visto il miracolo, si erano entusiasmati di quel profeta
straordinario e taumaturgo, ma alla fine tutti l’abbandonano. Perché? Perché
non sono riusciti a vedere? Che cosa è mancato loro?
L’esperienza
del popolo di Israele è ben descritta dal salmo 77, vera griglia di lettura del
miracolo della manna nel deserto, là dove si proclama: “Ciò che abbiamo visto e conosciuto e i nostri padri ci hanno
raccontato, diremo alla generazione futura: le lodi del Signore, la sua potenza
e le meraviglie che egli ha compiuto”. Hanno visto certi eventi, certi
fatti straordinari, ma l’oggetto del loro racconto è altro: loro vogliono
raccontare le meraviglie del Signore. Dicono la storia, ma raccontano Dio. Non
si sono solo sfamati mangiando la manna, ne hanno colto il valore di segno: Dio
li guidava, adempiva le sue promesse, restava fedele al suo amore per loro. Dal
fatto si passa ad una storia, ad una relazione che mi ha costituito in essere e
dà senso alle mie fatiche e ai miei drammi, che fa la mia storia.
La folla che
aveva seguito Gesù vedendo il miracolo che aveva compiuto, non ha fatto questo
passaggio nei suoi confronti. Ha preferito, delusa, giudicare il futuro a
partire dal passato, l’inatteso a partire dall’atteso. Si è impedita di
accedere al futuro come tempo di Dio. Ha esigito di
portare Dio nella sua testa piuttosto che di aprire a Dio la propria testa. Ha
preferito avere qualcosa che Qualcuno. Ora, se la folla, nonostante il fascino
iniziale, non ha fatto quel passaggio, vuol dire che non è un passaggio
scontato. Quando Gesù, per avvalorare le sue parole, risponde alla folla che su
di lui il Padre ha posto il suo sigillo, dobbiamo rammentare le parole solenni,
decisive e assolute con cui Giovanni presenta la singolarità di Gesù rispetto
alle attese dei cuori: “Dio, nessuno lo
ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che
lo ha rivelato” (Gv 1,18).
A me pare
che due siano le domande di fondo della folla. Recependo il valore dell’invito
di Gesù, la folla anzitutto chiede: quali opere compiere? Ma Gesù fa notare: la
domanda vera non è quali opere, ma quale opera di Dio va compiuta. Come a
dire: le opere non coinvolgono la radice di senso, di intelligibilità della
vita. Il cuore non troverà il compimento dei suoi desideri nelle opere. La
gente capisce che Gesù si attribuisce un compito che viene da Dio e chiede di
venire istruita su ciò che è gradito a Dio. La particolarità della risposta di
Gesù, imprevedibile per l’immaginario interiore della folla, sta nel fatto che
Gesù non indica alcuna nuova legge o comandamento da attuare. Un’opera sola
ricerca Dio: credere in Colui che egli ha mandato, perché è Colui che dà la
vita al mondo. Credere a Dio significa accogliere il suo amore per l’uomo,
manifestato nel Figlio, al punto da non poter vivere che di quell’amore, che
dentro quell’amore, che dà senso a tutte le opere che posso intraprendere. Non
sono però le opere a precedere, ma l’amore di cui queste si nutrono. E senza
questa esperienza le opere non porteranno gioia e non si risolveranno in
conoscenza amorosa di Dio e in tenerezza per il prossimo. La domanda della
folla “che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” potrebbe essere
resa: “Come vivere in concreto il comando dell’amore?”, tenendo presente che
l’unica possibilità per l’uomo resta quella offerta da Gesù: l’unione con lui
comunica la vita di Dio, che è amore, al mondo.
La risposta
di Gesù sembra aver fatto breccia nella folla, ma la seconda domanda rivela di
nuovo la lontananza: quale segno tu compi perché ti possiamo credere? In realtà
la domanda vera sarebbe un’altra: chi
può essere segno? E come riconoscerlo? L’apertura al mistero di Dio comporta
sempre la disponibilità ad accogliere quello che da Dio proviene. Ora, il
Figlio dell’uomo è proprio colui che discende dal cielo (e l’unico segno
valevole sarà la passione-morte-risurrezione) e
perciò conosce i segreti di Dio. Accogliere il Figlio come Inviato significa
accogliere la storia dell’amore di Dio per l’uomo; significa radicare in
quell’amore l’intelligibilità della nostra vita e avere la vita, quella che
dura per la vita eterna, cioè quella che, custodita dalla potenza dell’amore di
Dio per noi, risulta insopprimibile e inattaccabile. A questo punto però il
pane non è più qualcosa, non si riferisce più a un prodigio: riguarda la sua
persona, riguarda il prodigio dell’amore di Dio che nel Figlio fa grazia di sé
agli uomini perché gli uomini possano, nel Figlio, fare grazia di loro a tutti
e così far splendere la signoria di Dio nel mondo, ormai trasfigurato nello
Spirito. Qui si intravede tutta la rischiosità e la radicalità del passaggio:
dare fiducia al Signore, all’amore del Signore, consegnandosi a quel Figlio che
promette libertà, verità e vita, al punto da vivere secondo quello che
l’antifona alla comunione rivela: “Ci hai mandato, Signore, un pane dal cielo,
un pane che porta in sé ogni dolcezza e soddisfa ogni desiderio”.
La folla
rivela molto bene i desideri che portiamo in cuore, senza però trovare
soddisfazione: l’urgenza etica per una qualità di vita accettabile, l’apertura
al mistero di Dio che si manifesta, la fame del pane della vita. Il seguito del
brano illustrerà sempre più precisamente il senso del mistero della persona di
Gesù come risposta a quei desideri.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Es 16,2-4.12-15
Dal libro dell'Esodo
In quei
giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mose e
contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore
nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne,
mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per
far morire di fame tutta questa moltitudine».
Allora il
Signore disse a Mose: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il
popolo uscirà à raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo
metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la
mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: "Al tramonto mangerete
carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore,
vostro Dio"».
La sera le
quaglie salirono e coprirono l'accampamento; al mattino c'era uno strato di
rugiada intorno all'accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco,
sulla superficie del deserto c'era una cosa fine e granulosa, minuta come è la
brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l'un l'altro: «Che
cos'è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mose disse loro: «E il pane che il
Signore vi ha dato in cibo».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 77
Donaci, Signore, il pane del cielo.
Ciò che
abbiamo udito e conosciuto
e i nostri
padri ci hanno raccontato
non lo
terremo nascosto ai nostri figli,
raccontando
alla generazione futura
le azioni
gloriose e potenti del Signore
e le
meraviglie che egli ha compiuto.
Diede ordine
alle nubi dall'alto
e aprì le
porte del cielo;
fece piovere
su di loro la manna per cibo
e diede loro
pane del cielo.
L'uomo
mangiò il pane dei forti;
diede loro
cibo in abbondanza.
Li fece
entrare nei confini del suo santuario,
questo monte
che la sua destra si è acquistato.
Seconda Lettura
Ef 4, 17. 20-24
Dalla lettera di san Paolo apostolo
agli Efesìni
Fratelli, vi
dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro
vani pensieri.
Voi non così
avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in
lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con
la sua condotta di prima, l'uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni
ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l'uomo
nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.
Vangelo Gv 6, 24-35
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli,
salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao
alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando
sei venuto qua?».
Gesù rispose
loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto
dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da
fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna
e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il
suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere
di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui
che egli ha mandato».
Allora gli
dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I
nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede
loro da mangiare un pane dal cielo"». Rispose loro Gesù: «In verità, in
verità io vi dico: non è Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre
mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui
che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli
dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il
pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete,
mai!».