Quarto
ciclo
Anno
liturgico B (2011-2012)
Tempo
di Natale
Epifania del
Signore
(6 gennaio
2012)
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Is 60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12
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Epifania vuol
dire manifestazione. La festa di oggi, secondo l’antica formulazione della
liturgia, ingloba tre momenti della manifestazione del Signore: la
manifestazione di Gesù alle genti con la venuta dei magi; la manifestazione del
Signore all’inizio della sua carriera messianica con il battesimo al fiume
Giordano; la manifestazione del Signore con il primo miracolo alle nozze di Cana.
L’antifona
di ingresso della messa si richiama al libro del profeta Malachia,
l’ultimo libro dell’Antico Testamento: “È
venuto il Signore nostro re: nelle sue mani è il regno, la potenza e la gloria”.
Quale visione singolare: un bambino è proclamato ‘sovrano, potente e glorioso’!
La proclamazione comporta qualcosa di radicalmente nuovo per gli occhi umani o,
se vogliamo, comporta la visione di una realtà con occhi radicalmente nuovi.
Stessa ‘novità’ che sta dietro la proclamazione di Gesù come re nei vangeli
(soltanto durante la sua passione Gesù accetta il titolo di re) e
particolarmente come re della gloria (titolo che fornisce, da una parte, la
ragione della condanna sul patibolo della croce e, dall’altra, per la visione
di fede dei credenti, la ragione dell’amore di Dio per l’uomo che proprio sulla
croce risplende). È in ragione di quella ‘novità’ che la manifestazione di Gesù
può conquistare le genti e può convincere Israele. Quando la colletta fa
pregare: “O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato
alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che ti abbiamo
conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza della tua gloria”, guida i
credenti alla percezione di quella ‘novità’ e li predispone a cogliere e a
vivere dello splendore di quell’amore, che costituisce ormai la ragione di
senso del vivere nella storia.
La visione
dei popoli che si ritrovano a Gerusalemme, ripresa anche dal salmo 71 e
celebrata dal salmo 87 (Il Signore
scriverà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: “Sono
in te tutte le mie sorgenti”), mostra come ormai non esiste più motivo di
distinzione tra gli uomini perché la loro dignità deriva da un’unica radice.
Paolo ricorda agli Efesini che il mistero ora rivelato concerne tutti gli
uomini, che sono chiamati a godere della stessa eredità, a formare un unico
corpo, a vivere della stessa promessa di vita. Davanti a Dio sussiste un’unica
famiglia umana, destinataria e portatrice allo stesso tempo del Suo amore. Se
il Signore, come dice il salmo 71, interviene a favore del povero e del debole,
categorie che attraversano la diversità dei popoli e si riferiscono all’umanità
di tutti, significa che chi calpesta il povero e il debole ferisce la propria
dignità umana e non rispetta l’immagine di quel Figlio che si è confuso con
l’umanità di tutti. Davanti a quel Figlio, Bambino, adorato dalle genti – dice
il salmo, eco del pensiero di Dio: chiunque tu sia, da qualunque paese
provenga, qualsiasi sia stata la tua storia, a qualsiasi cultura appartenga, da
qualsiasi parte proceda, sappi che qui sei nato, di qui trai vita e qui
conducono i tuoi desideri perché qui si compiono i miei progetti: nel mio
Figlio! Non è evidentemente una forma di imposizione spirituale all'umanità.
Non si tratta di contrapporre una visione ad altra visione, una fede ad altra
fede. Si tratta di imparare a stupirsi a tal punto dei pensieri di Dio per
l'umanità che la modalità stessa di vivere e testimoniare quella visione
diventa divina. Per questo l'amore è
l'ultima parola convincente, sebbene non sia la parola più potente. La
debolezza di Dio è più forte della forza degli uomini e la stoltezza di Dio è
più sapiente della sapienza degli uomini: per questo a tutti gli uomini, di
ieri, come di oggi e di domani, a tutti spetta questa eredità, che è il Figlio
di Dio fatto uomo.
I magi sono
la figura della manifestazione di Dio alle genti; portando i loro doni, si
aprono al mistero di Dio (con l’oro riconoscono la regalità misteriosa di quel
‘bambino nato per noi’, con l’incenso riconoscono la sua divinità, con la mirra
la sua umanità pronta a soffrire la passione per la nostra salvezza) e permettono
al loro cuore di vedere la gloria di Dio, tanto che fanno ritorno a casa per
altra strada. Come a dire: chi si apre all’adorazione di Dio riscopre la casa
propria in altro modo, con altro sguardo, sotto altri orizzonti.
Ciò induce a
due osservazioni: 1) se il Messia è promesso alle genti, di che cosa siamo noi
credenti debitori al mondo? Siamo debitori proprio della conoscenza del
Signore. E questo debito pende sulla nostra testa. Qui si ricollega la
responsabilità della testimonianza dei credenti di fronte al mondo; 2) se il
Messia è promesso alle genti, vuol dire che fin tanto che tutte le genti non
l’hanno conosciuto, la nostra stessa conoscenza del Messia è manchevole, resta
limitata. Come in un’amicizia: fin tanto che non ho trovato qualcuno che voglia
bene a me, io non potrò scoprire quello che sono in verità, quello che porto e
di cui sono capace. Così è con Dio. Fin tanto che tutti non l’hanno conosciuto,
Dio non ha ancora avuto modo di manifestarsi in tutta la sua ricchezza.
Attendere questa manifestazione, nel cuore di tutti, rende umili e adoranti e
risponde al comandamento dell’amore verso tutti, anche verso i nemici, finché
la gloria di Dio si manifesti compiutamente.
Quanto al
mistero della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-10), simbolo
delle nozze del Signore Gesù con l’umanità nostra, anche questo ha a che vedere
con la manifestazione della gloria di Dio nella nostra vita. Potremmo chiederci: quando siamo acqua e
quando siamo vino? Passare dall’essere acqua al diventare vino significa
passare dalla volontà di osservanza del comandamento al gusto del frutto che il
comandamento comporta. La promessa nascosta in ogni parola di Dio è questa: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il
Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Come a dire: ogni comandamento ha
un’ispirazione; senza cogliere tale ispirazione non potremo mai gustare la
promessa che è nascosta dentro ogni comandamento, la promessa della conoscenza cordiale del Signore, la promessa del
gusto della sua compagnia. Come in un rapporto d’amore. Non basta fare delle
cose, neanche farle per l’altro; se non si coglie l’ispirazione che muove il
cuore ad agire, se non si coglie l’effetto che il nostro agire ha sul cuore
dell’altro, se non ci viene rimandata la gioia dell’altro che coglie il
movimento del nostro cuore, si resta acqua. Il vino invece, dice la Scrittura,
rallegra il cuore dell’uomo. E nel gustare quel vino, il cuore si apre alla
conoscenza della gloria del Signore: proprio quello che i magi hanno
sperimentato, che gli apostoli hanno testimoniato, di cui i credenti in Cristo
sono debitori al mondo. Nel Cristo divinità e umanità sono inscindibilmente
unite, Dio finalmente risplende nell’uomo e l’uomo risplende del suo Dio. E se
tutto diventerà più svelato con la
morte e risurrezione di Gesù, già però se ne può intravedere il mistero fin
dalla sua nascita dalla Vergine Maria, almeno per coloro che gli si avvicinano
con stupore e sanno vedere nelle parole e negli eventi che lo riguardano gli
indizi della sua gloria.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Is 60,1-6
Dal libro del profeta Isaia
Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la
tua luce,
la gloria
del Signore brilla sopra di te.
Poiché,
ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta
avvolge i popoli;
ma su di te
risplende il Signore,
la sua
gloria appare su di te.
Cammineranno
le genti alla tua luce,
i re allo
splendore del tuo sorgere.
Alza gli
occhi intorno e guarda:
tutti costoro
si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli
vengono da lontano,
le tue
figlie sono portate in braccio.
Allora
guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e
si dilaterà il tuo cuore,
perché
l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te
la ricchezza delle genti.
Uno stuolo
di cammelli ti invaderà,
dromedari di
Màdian e di Efa,
tutti
verranno da Saba, portando oro e incenso
e
proclamando le glorie del Signore.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 71
Ti adoreranno, Signore, tutti i
popoli della terra.
O Dio,
affida al re il tuo diritto,
al figlio di
re la tua giustizia;
egli
giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi
poveri secondo il diritto.
Nei suoi
giorni fiorisca il giusto
e abbondi la
pace,
finché non
si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume
sino ai confini della terra.
I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba
e di Seba offrano doni.
Tutti i re
si prostrino a lui,
lo servano
tutte le genti.
Perché egli
libererà il misero che invoca
e il povero
che non trova aiuto.
Abbia pietà
del debole e del misero
e salvi la
vita dei miseri.
Seconda Lettura
Ef 3,2-3a.5-6
Dalla lettera di san Paolo apostolo
agli Efesini
Fratelli,
penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me
affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il
mistero.
Esso non è
stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato
rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti
sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo
stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Vangelo Mt 2, 1-12
Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a
Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente
a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo
visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il
re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei
sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva
nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto
per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero
l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà
il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora
Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il
tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e
informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo
sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re,
essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva,
finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere
la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il
bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro
scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non
tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Dopo la lettura del Vangelo, il diacono o il
sacerdote, o anche un cantore, può dare l'annunzio del giorno della Pasqua.
Fratelli
carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in
mezzo a noi fino al suo ritorno.
Nei ritmi e
nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di
tutto l'anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto,
che culminerà nella domenica di Pasqua l'8 aprile 2012.
In ogni
domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande
evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.
Dalla Pasqua
scaturiscono tutti i giorni santi:
Le Ceneri,
inizio della Quaresima, il 22 febbraio 2012.
L'Ascensione
del Signore, il 20 maggio 2012.
La
Pentecoste, il 27 maggio 2012.
La prima
domenica di Avvento, il 2 dicembre 2012.
Anche nelle
feste della santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei Santi e nella
commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la
Pasqua del suo Signore.
A Cristo che
era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei
secoli dei secoli. Amen.