Quarto ciclo
Anno liturgico A (2010-2011)
Tempo di Quaresima
2a Domenica
(20 marzo 2011)
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Gn 12,1-4a; Sal
32; 2Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9
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Il cammino quaresimale porta alla
Pasqua di risurrezione, ma la chiesa sa che prima dell'esultanza della
risurrezione viene il dramma della morte. Così, prima di ritrovarci immersi nel
dramma della passione e della morte, la liturgia ci consola con la visione della trasfigurazione, allo scopo di
predisporci a vedere nel volto che sarà martoriato e insanguinato il volto del
Signore della gloria.
L’evento è riportato dopo la
decisione di Gesù di salire a Gerusalemme e dopo aver rivelato la sua passione
ai discepoli, che l’avevano confessato come il Cristo, il Figlio del Dio
vivente. Il racconto è nella logica dell’avvertimento di Gesù a Pietro: “Va’ dietro a me” e ai discepoli: “Se qualcuno vuole venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. La cosa appare in
tutto il suo fascino e la sua drammaticità proprio nell’evento della
trasfigurazione.
In gioco sono gli occhi e gli
orecchi. Per gli occhi si tratta di un godimento, per gli orecchi di un’angoscia.
Matteo è l’unico a sottolineare che la paura assale gli apostoli quando
ascoltano la voce entrando nella nube. Così, il punto di convergenza
dell’evento non riguarda il vedere, ma l’ascoltare. Il racconto si conclude
infatti con la proclamazione della voce: “Questi
è il Figlio mio, l’amato... Ascoltatelo”. Come a sottolineare che, se il
racconto è per gli occhi, lo scopo che ne costituisce la ragione è per gli
orecchi, con l’evidente conseguenza che soltanto ascoltando si potrà vedere. La
supplica della colletta della messa è in funzione dell’ascoltare; sarà l’ascoltare che purificherà gli occhi del cuore
perché possano vedere.
Ma perché l’ascoltare genera paura?
Possiamo forse sfiorare la
misteriosità di questo evento partendo dalle parole di Pietro: “Signore, è bello per noi essere qui!”,
che gli altri evangelisti spiegano dicendo che Pietro parlava senza sapere cosa
dicesse. Poco prima della passione di Gesù, Pietro gli dichiara che non
l’avrebbe mai rinnegato, che non si sarebbe scandalizzato, che avrebbe dato la
vita per lui. Anche allora non sapeva quello che diceva. Lo sapeva però Gesù
sia nel senso di predirgli la caduta imminente sia nel senso di conoscere il
suo cuore che lo amava per davvero. Pietro equivoca sul ‘bello’ della scena
perché la vorrebbe prolungare e Luca annota che Pietro esce con
quell’esclamazione estasiata proprio nel momento che Mosè ed Elia prendono
congedo da Gesù. Avevano parlato del suo esodo da questo mondo e ne avevano
confermato la gloria (del mistero d’amore della sua morte e risurrezione tutte
le Scritture parlano!), ma Pietro tarda a comprendere e viene richiamato al
mistero della gloria di Gesù con la ‘paura’ che vive quando entra nella nube e
sente le parole del Padre: “Questi è il
Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”.
I discepoli sono costretti a
coniugare il ‘bello’ con la ‘paura’ e la via suggerita è l’ascolto. Non si
tratta di ascoltare parole, ma di seguire Gesù dovunque vada e dovunque chiami,
traducendo la potenza della parola in un muoversi andando dietro a Gesù
comunque, fino a che lo splendore del suo amore si riveli al cuore manifestando
tutta la bellezza del suo volto di Figlio, inviato a mostrare quanto è grande
l’amore del Padre per i suoi figli. La dinamica dell’ascoltare va nella
direzione di sentire su di sé quello sguardo di ‘compiacimento’ che riposa
totale e definitivo sul Figlio, di cui condividiamo l’intimità con il Padre.
Tutte le parole alludono all’amore e l’agire all’Amato di cui si condivide il
destino nel dono di sé perché tutti abbiano la vita.
L’esempio di Abramo è eloquente.
Sente la voce di Dio: “Vattene dal tuo
paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre”. Non conosce nulla del
nuovo paese: sa solo che Dio gliene
fa promessa. Sarà il suo ascoltare che gli consentirà di vedere la benedizione
realizzarsi. Proprio perché accetta la relazione con Colui che lo coinvolgeva
nella sua storia sacra fino a diventare il suo
Dio, lascia la sua casa (se scegli il Padre celeste, devi lasciare quello
terreno; se scegli il regno di Dio, devi lasciare ogni altro regno; se ti
accetti da Dio, di Dio e secondo Dio devi vivere, come dirà Cipriano nel suo
commento al Padre nostro) e per questo, oltre a godere della benedizione di
Dio, diventa benedizione lui stesso per tutti perché rivela la grandezza
dell'amore di Dio e lo splendore che si irradia su tutto.
Così, se Abramo ascolta Dio, Gesù
ascolta il Padre, i discepoli ascoltano Gesù e il frutto della benedizione
promessa rivelerà il suo splendore. Per gli uomini, quello splendore consisterà
nel godere della visione del volto del Cristo, testimone dell’amore di Dio per
gli uomini, nella gloria della Pasqua di morte e risurrezione, condividendo
nella loro umanità lo sguardo di compiacenza del Padre che riposa tutto sul suo
Figlio benedetto. L’ascolto condurrà così alla visione di colui che mentre ci
squaderna il segreto di Dio per l’uomo fa rilucere il mondo dello splendore
della sua bellezza.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
Prima Lettura Gn 12, 1-4a
Dal libro della Gènesi
In quei
giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua
parentela
e dalla casa
di tuo padre,
verso la
terra che io ti indicherò.
Farò di te
una grande nazione
e ti
benedirò,
renderò
grande il tuo nome
e possa tu
essere una benedizione.
Benedirò
coloro che ti benediranno
e coloro che
ti malediranno maledirò,
e in te si
diranno benedette
tutte le
famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 32
Donaci, Signore, la tua grazia: in
te speriamo.
Retta è la
parola del Signore
e fedele
ogni sua opera.
Egli ama la
giustizia e il diritto;
dell’amore
del Signore è piena la terra.
Ecco,
l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera
nel suo amore,
per
liberarlo dalla morte
e nutrirlo
in tempo di fame.
L’anima
nostra attende il Signore:
egli è
nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi
sia il tuo amore, Signore,
come da te
noi speriamo.
Seconda Lettura
2 Tm 1, 8b-10
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo a Timòteo
Figlio mio,
con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e
ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma
secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù
fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore
nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e
l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.
Vangelo Mt 17, 1-9
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse
in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto
brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco
apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la
parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò
qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora
parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce
dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio
compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire
ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.
Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli
occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre
scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa
visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».