Quarto ciclo
Anno liturgico A (2010-2011)
Tempo Ordinario
8a Domenica
(27 febbraio 2011)
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Is 49,14-15;
Sal 61; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34
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Perché la fiducia in Dio trova
spesso le porte chiuse del nostro cuore? Certo non per cattiveria, non per
incredulità, ma per l’oppressione degli affanni e delle afflizioni della vita.
Il Signore lo sa e in molte occasioni cerca di conquistarci alla fiducia. È
l’argomento delle letture di oggi.
Il brano di Isaia lo dichiara
splendidamente: “Si dimentica forse una
donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”.
Sono le parole con cui Dio risponde all’angoscia del popolo: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi
ha dimenticato”. Il profeta aveva già annunciato il ritorno glorioso degli
esuli nella terra dei padri, ma quando sarebbe avvenuto? Ogni israelita poteva
domandarsi: lo potrò vedere io? In altre parole: è possibile nelle afflizioni
continuare a fidarsi di Dio?
Il brano di vangelo risponde a
questo interrogativo e ne stabilisce come la condizione di fondo: non si
possono servire due padroni, non è salutare preoccuparsi del domani, non serve
affatto preoccuparsi. Sì, ma l’indicazione di Gesù non procede da buone
ragioni. Mira ad altro. Invita i cuori all’esperienza della fede, esperienza
che deriva dal fascino suscitato dal nuovo annuncio evangelico di Gesù, che si
presenta come il Dono di Dio all’uomo. Sarà la sua vita, il suo agire, le sue
parole a far vedere giunto fino a noi il Regno di Dio, a convincerci dell’amore
grande del Padre per i suoi figli di cui cerca la compagnia. Senza la percezione
gioiosa di questa ‘novità’, sarà difficile mantenere la fiducia in Dio quando
le preoccupazioni, d’altronde necessarie, della vita ci assilleranno fino a
soffocarci.
Matteo inserisce le ammonizioni di
Gesù nel contesto di una ritrovata libertà dalle preoccupazioni per un cuore
conquistato dall’annuncio del vangelo tanto da indurlo a focalizzare tutti i
suoi sforzi su di un unico obiettivo: custodire la gioia del vangelo nelle
vicissitudini quotidiane. Luca, invece, inserisce le stesse ammonizioni nel contesto
della testimonianza del discepolo di Gesù di fronte al mondo. L’invito a non
preoccuparsi dei beni della vita diventa l’invito a non avere paura, a non
temere quello che ci può venire dagli uomini perché “al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32). Evidentemente, il cuore deve poter essersi già
dischiuso a percepire la bellezza di quel ‘regno’, di cui la Chiesa è allusiva
e di cui è la memoria tra gli uomini e per il quale la fede nel Cristo Signore
è porta di accesso. La narrazione evangelica tende a questo, come del resto
tende a questo anche la celebrazione liturgica.
Quando il canto al vangelo proclama
che “la parola di Dio è viva ed efficace, discerne i sentimenti e i pensieri
del cuore”, nel contesto del brano evangelico odierno significa: non si può a
lungo mescolare ciò che è importante, essenziale, con ciò che è superficiale,
vacuo. Se la parola del Signore tocca il nostro cuore, allora appare subito
evidente che non si può barattare il di più con il di meno. Se voglio la ricchezza
comunque, ciò vuol dire che non voglio il Signore e quindi non mi interessa la
giustizia; se voglio il mio diritto comunque, ciò significa che non mi sta a
cuore il prossimo; se voglio un bene a scapito della giustizia, ciò significa
che non voglio la pace: “Solo in Dio
riposa l’anima mia: da lui la mia speranza”.
Di fronte alle preoccupazioni e alle
vicissitudini della vita, Gesù invita: “Cercate
invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi
saranno date in aggiunta”. È come un invitare a vivere da dentro una
relazione riuscita, quella per cui tutte le cose che cerchiamo trovano la loro
destinazione di fondo. Non agire in questo modo significa vivere a partire
dall’assillo della paura che attanaglia il cuore dell’uomo. Non è solo la paura
di non avere quello che ci è necessario, ma la paura che altri prendano quello
che è nostro, per cui la lotta contro la paura si risolve nella diffidenza
verso tutti e nella lamentela contro la vita.
La scoperta da fare è proprio la benevolenza
di Dio che ha deciso di ‘darci il Regno’ comunque. Il
‘regno’ non si sostituisce ai beni di questo mondo, che ci sono necessari. Fa’
in modo che il perseguimento dei beni non ci perverta il cuore, contro noi
stessi e contro il prossimo; fa in modo che i beni raggiungano la loro vera
destinazione nel senso di schiudere il cuore alla gratitudine e alla
condivisione perché l’amore di Dio splenda nel mondo. Non si tratta però di una
saggezza umana, forse anche condivisibile, ma incapace di rispondere al dramma
dell’uomo e della storia. Si tratta del segreto di Dio per l’uomo, che Gesù
svela e che partecipa ai cuori che sono disposti ad accoglierlo, come più
avanti nel racconto evangelico dirà: “Venite
a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il
mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio
peso leggero” (Mt 11,28-30).
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
Prima Lettura Is 49, 14-15
Dal libro del profeta Isaìa
Sion ha
detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore
mi ha dimenticato».
Si dimentica
forse una donna del suo bambino,
così da non
commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se
costoro si dimenticassero,
io invece
non ti dimenticherò mai.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 61
Solo in Dio riposa l’anima mia.
Solo in Dio
riposa l’anima mia:
da lui la
mia salvezza.
Lui solo è
mia roccia e mia salvezza,
mia difesa:
mai potrò vacillare.
Solo in Dio
riposa l’anima mia:
da lui la
mia speranza.
Lui solo è
mia roccia e mia salvezza,
mia difesa:
non potrò vacillare.
In Dio è la
mia salvezza e la mia gloria;
il mio
riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in
lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a
lui aprite il vostro cuore.
Seconda Lettura
1Cor 4, 1-5
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli,
ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.
Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele.
A me però
importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io
non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna
colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!
Non vogliate
perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli
metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori;
allora ciascuno riceverà da Dio la lode.
Vangelo Mt 6,
24-34
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Nessuno può
servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si
affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la
ricchezza.
Perciò io vi
dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete,
né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più
del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli
uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure
il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi,
per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?
E per il
vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non
faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua
gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che
oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di
poca fede?
Non
preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa
indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro
celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate
invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi
saranno date in aggiunta.
Non
preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso.
A ciascun giorno basta la sua pena».