Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo Ordinario
4a Domenica
(30 gennaio 2011)
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Sof 2,3; 3,12-13; Sal
145; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a
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Con la proclamazione delle
beatitudini Gesù esplicita l’obiettivo della conversione e la natura della sua
sequela. L’uomo aspira alla felicità? Allora Gesù ne traccia le coordinate che
la strutturano perché il cuore dell’uomo non fallisca lo scopo della vita.
Potremmo prima di tutto domandarci:
perché è venuto meno il timbro della gioia nell’esperienza della vita cristiana
in questo mondo? Perché la sequela del Signore sembra suscitare più timore che
felicità? Non ci siamo più premurati di cogliere le beatitudini come porte di
accesso al mistero di Dio che viene a noi e al mistero dei cuori quanto agli
aneliti che li attraversano, limitandoci a vederle come un ideale di perfezione
da perseguire, di fatto però irraggiungibile e perciò ininfluente sulle energie
di vita dei cuori.
La liturgia ce le fa leggere dentro
la prospettiva del ‘regno’, come il salmo responsoriale 145 sottolinea,
esplicitando la profezia di Sofonia: “Il Signore regna per sempre”.
L’espressione corrisponde a quanto proclamerà la moltitudine dei santi in
paradiso: “La salvezza appartiene al
nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello” (Ap
7,10). Se l’uomo non può darsi la salvezza, nemmeno può darsi la felicità. Il
salmo lo dichiara a chiare lettere quando nei primi versetti dichiara: “non confidate nei potenti, in un uomo che
non può salvare”, da rendere con più precisione, secondo la versione greca:
‘in un uomo che non ha salvezza’.
La felicità è paradossale. Non la si
prende dove sembra di vederla, ma la si ottiene spesso con ciò che sembra il
contrario. Perché in gioco è la credibilità stessa di Dio che viene incontro
all'uomo, senza però mai poterlo convincere all'evidenza. Nella felicità è in
gioco non semplicemente l'esaudimento di un cuore, ma l'incontro di due, la
comunione di due.
La stessa struttura di proclamazione
delle beatitudini lo rivela. Alla condizione descritta segue una promessa; ciò
significa che non si tratta di conquistare la felicità, ma di attirarla, di
riceverla in dono, di poterci entrare. Ciò che le beatitudini hanno di
paradossale deriva dall'esperienza di un incontro assoluto che pone tutto il
resto in sott'ordine (ecco perché le beatitudini seguono l’incontro con Gesù
che invita alla conversione e alla sua sequela). E tutto il resto sta in
sott'ordine perché è tale la potenza che si sprigiona da quell'incontro che
nulla potrà sostituirsi al suo fascino. La beatitudine che proclama Gesù deriva
dalla comunione con la sua, da quella vita con il Padre e lo Spirito che lo
rende così Figlio da non volere altro per sé se non di vedere tutti immersi
nello stesso amore del Padre. Deriva dalla rivelazione dell'esperienza del
Regno ormai giunto fino a noi, ormai schiuso nella sua inaccessibilità e nel
suo mistero tanto da schiudere ogni evento alla sua realtà. Occorrerà però
attendere che tutto sia compiuto nella vita di Gesù con la sua morte e
risurrezione per intuire tutto lo spessore di quella esperienza e la bellezza
di quella rivelazione.
Le beatitudini sono otto. La prima e
l’ultima comportano la stessa promessa: ‘perché
di essi è il regno dei cieli’ e racchiudono le altre sei. C’è un doppio
movimento nell’elenco delle beatitudini: un movimento di concatenazione e un
movimento circolare. La concatenazione riguarda lo spazio definito dalla
seconda alla settima, mentre il movimento circolare è dato dal ritornare
dell’ottava alla prima per riavviare, a livelli sempre più profondi, la
concatenazione. Se non si coglie il dono di quel ‘regno dei cieli che è venuto
a noi con Gesù’, come poter afferrare la potenza di quella felicità nuova
promessa? In effetti, la felicità è definita nei termini di una appartenenza (‘di essi è il regno dei cieli’),
appartenenza che allude a una comunione di amore ardentemente desiderata e
finalmente goduta. Corrisponde al godimento del regno proclamato nella parabola
profetica del giudizio finale, alla gioia del banchetto messianico, alla
consumazione di un amore che aveva ferito il cuore. Solo che le condizioni che
la permettono sono paradossali: si parla di povertà e di persecuzione. Il significato
mi sembra questo: l’esperienza promessa è nuova rispetto a tutto ciò che può
produrre il mondo. Ma è tale che può portare a compimento tutto ciò che nel
mondo si vuol vivere.
In effetti, le promesse di
compimento rispetto alle condizioni elencate (beati gli afflitti, i miti, gli
affamati della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di
pace) parlano di qualcosa che i nostri
cuori cercano comunque: essere consolati, godere ciò che ci appartiene, essere
saziati negli aneliti più profondi, essere graziati anche nella nostra
indegnità (=misericordia), essere fatti capaci di
vedere, vivere nella comunione del Padre da figli felici.
Tenuto conto che Gesù parla a cuori
che si stanno aprendo alla rivelazione del regno giunto a loro, la felicità
scaturisce dai passaggi indicati:
se ti affliggi solo per la potenza
del male che ti domina e dal quale vuoi esserne liberato;
se non avrai altro motivo di ira se
non quello di opporti al maligno e così custodirti dolce con tutti; se
cercherai la giustizia al di sopra del tuo interesse;
se condividerai con tutti la
misericordia che avrai gustato nel perdono di Dio;
se sarai così privo di
rivendicazioni e pretese da vedere tutto e tutti nella luce di Dio di cui
godrai la presenza;
se seguirai l’opera di Dio che è la
fraternità tra gli uomini,
allora – è la promessa della settima
beatitudine – sarai come il Figlio di Dio che, per essere venuto a testimoniare
quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini, non ha preferito se stesso
all’amore che lo divorava e ha accettato di essere consegnato nelle mani degli
uomini.
Se nella persecuzione l’uomo non
perde la sua gioia, allora vuol dire che la potenza del Regno l’ha lambito, che la sua felicità non dipende più dal mondo.
Non avrà più bisogno di cercare altra affermazione di sé perché ha trovato
quella capace di soddisfare l’anelito del suo cuore, che così sarà confermato
nella rinuncia alla brama di ogni bene che non sia espressione di
quell’esperienza. Tanto che si affliggerà ancora più profondamente del male che
in lui si annida e ripercorrerà la concatenazione dei passaggi a livelli sempre
più coinvolgenti, finché tutto in lui splenda della bellezza del Regno.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
Prima Lettura Sof 2,3; 3,12-13
Dal libro del profeta Sofonia
Cercate il
Signore
voi tutti,
poveri della terra,
che eseguite
i suoi ordini,
cercate la
giustizia,
cercate
l’umiltà;
forse
potrete trovarvi al riparo
nel giorno
dell’ira del Signore.
«Lascerò in
mezzo a te
un popolo
umile e povero».
Confiderà
nel nome del Signore
il resto
d’Israele.
Non
commetteranno più iniquità
e non
proferiranno menzogna;
non si
troverà più nella loro bocca
una lingua
fraudolenta.
Potranno
pascolare e riposare
senza che
alcuno li molesti.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 145
Beati i poveri in spirito.
Il Signore
rimane fedele per sempre
rende
giustizia agli oppressi,
dà il pane
agli affamati.
Il Signore
libera i prigionieri.
Il Signore
ridona la vista ai ciechi,
il Signore
rialza chi è caduto,
il Signore
ama i giusti,
il Signore
protegge i forestieri.
Egli
sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge
le vie dei malvagi.
Il Signore
regna per sempre,
il tuo Dio,
o Sion, di generazione in generazione.
Seconda Lettura
1Cor 1, 26-31
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Considerate
la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di
vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello
che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello
che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che
è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per
ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a
Dio.
Grazie a lui
voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di
Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si
vanta, si vanti nel Signore.
Vangelo Mt
5,1-12a
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si
avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro
dicendo:
«Beati i
poveri in spirito,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati quelli
che sono nel pianto,
perché
saranno consolati.
Beati i
miti,
perché
avranno in eredità la terra.
Beati quelli
che hanno fame e sete della giustizia,
perché
saranno saziati.
Beati i
misericordiosi,
perché
troveranno misericordia.
Beati i puri
di cuore,
perché
vedranno Dio.
Beati gli
operatori di pace,
perché
saranno chiamati figli di Dio.
Beati i
perseguitati per la giustizia,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli».