Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
Ordinario
33a Domenica
(13 novembre
2011)
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Pr
31,10-13.19-20.30-31; Sal 127; 1Ts 5,1-6; Mt 25,14-30
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Tutte le
parabole parlano di Dio o del Signore Gesù più che dell’uomo. Anche nella
parabola dei talenti, in primo piano non è la risposta dei servi ma la
liberalità del padrone. Il padrone distribuisce i suoi beni per mettere gli
uomini nella opportunità di giocare la loro vita, concepita nei termini di un
esercizio di responsabilità. La domanda che ci fa accedere al mistero della
parabola può essere la seguente: cosa è in gioco nella nostra operosità? In che
cosa siamo servi? Servi per che cosa?
Il padrone,
che parte per un lungo viaggio, è lo stesso Signore Gesù che, con la sua morte-risurrezione-ascensione lascia i suoi discepoli e
affida loro i suoi beni, ciò che di
più prezioso ha: i misteri del Regno. Il padrone è lo stesso personaggio del
buon Samaritano che accudisce l’uomo colpito dai briganti, è il Maestro che
serve, è il padrone che vuole far entrare a tutti i costi quanti più può nella
sala del banchetto nuziale, ecc. Il Signore Gesù non solo lascia ai suoi la
testimonianza più luminosa dell’amore di Dio per l’uomo, ma infonde in loro la
stessa capacità di vivere di quell’amore, come lui stesso è vissuto, nella
potenza dello Spirito che ci ha lasciato in eredità. In quell’ amore, nella
luce di quell’amore il discepolo gioca la sua vita.
I talenti
affidati sono i doni che scaturiscono dalla fede in Gesù. Trafficarli significa
accoglierli come fonte di vita, esaltarne la potenza di vita che racchiudono,
tradurli in vita concreta finché tutto di me sia conquistato. La potenza di
vita si risolve nel compimento dell’amore, di quell’amore che è tanto più vivo
e sincero quanto meno è consapevole della ricompensa, quanto più semplicemente
è solidale con tutti. E ancora, i talenti sono in funzione della gioia del
cuore, nostro e degli altri, nel senso che ogni volta che sulla base della fede
si gioca la propria vita la promessa di Dio si compie e Dio appare più
manifestamente nel suo splendore. È un movimento continuamente in evoluzione,
mai concluso, che sempre richiede la fedeltà di uno sguardo limpido e di un
cuore sincero. Anche di questa gioia siamo i servi, come di sé dice l’apostolo:
“siamo invece i collaboratori della
vostra gioia” (2Cor 1,24). Collaborare alla gioia non significa ipotizzare
un mondo idilliaco, che non sarà mai, ma contribuire a renderlo più vivibile,
luogo dove può ancora risplendere la presenza del Signore, seppur nascosto.
I talenti
sono dati diversamente a ciascuno, perché ciascuno fa un’esperienza particolare
di quell’amore sia nel senso di sperimentarne la grandezza come dono ricevuto
sia nel senso di misurare con esso tutta la propria vita. Ma al Signore non fa
dispiacere tale diversità: lui stesso ne tiene conto. Difatti, quando il
padrone loda i due servi che hanno trafficato i loro talenti, non fa alcuna
differenza quanto alla ricompensa: è sempre la stessa, vale a dire ‘prendi
parte alla gioia del tuo padrone’. È la stessa liberalità, così mal compresa da
noi uomini, che vuole dare all’operaio dell’ultima ora quello che aveva promesso
all’operaio della prima ora. Noi proiettiamo i nostri desideri di giustizia su
Dio invece di accogliere il suo amore che dilata la giustizia fino alla
condivisione piena della gioia comune. Così all’uomo non resta che accogliere
in pace la differenza perché ciò che accomuna davanti a Dio è il fatto che
ciascuno possa dare quello che ha, cioè se stesso. E quando dà se stesso entra
nella gioia del suo padrone, condividendo con Lui e con tutti la stessa gioia,
che è la gioia dell’amore.
La
‘responsabilità’ del dare se stessi è esercitata di fronte a Colui che per noi
ha dato se stesso, ma l’esercizio di tale responsabilità è volto direttamente
verso i fratelli per i quali, come per noi, il Signore ha dato se stesso. Così,
per cogliere la natura del trafficare i talenti, bisogna rivolgersi alla
parabola di domenica prossima, quella sul giudizio finale, allorquando il
Signore Gesù dirà a ciascuno: ‘avevo fame
e mi hai dato da mangiare …’. La vita si gioca
nel dare amore e scoprirsi figli dello stesso Padre. Quando l’uomo teme di dare
se stesso, come nel caso del servo
cattivo, in gioco non è semplicemente la sua pigrizia verso gli altri uomini, ma il fallimento della vita perché
dietro la sua pigrizia sta il cattivo giudizio sul padrone, come ritenesse il
padrone causa della sua paura perché troppo esigente. Ma così ragionando non fa
che proclamare che lui non ha mai creduto alla generosità del suo padrone, non
ha mai sperimentato l’amore del Signore e soprattutto che rifiuta di vedere
nell’agire del padrone l’amore per i suoi servi. E così la vita non assurge mai
a quel livello di dignità che la rende desiderabile, feconda e fruttuosa. Il
servo che ha nascosto il talento è colui che non vuol seguire la dinamica della
fede, ne svigorisce il potere e chiude agli uomini la possibilità di cogliere,
almeno per la parte di cui è responsabile, lo splendore dell’amore di Dio. Non
è più buono a nulla ed è malvagio
perché impedisce a Dio di essere conosciuto dai suoi figli!
La parabola
suggerisce anche qualcosa d’altro. Quando l’uomo, che ha ricevuto i misteri del Regno dal Signore Gesù, li
sperimenta nell’amore agli uomini suoi fratelli, diventa solidale con il Padre,
il quale ci serve nel Figlio che ha inviato per noi. Servendo, nell’amore,
l’umanità di tutti, non facciamo che esercitare quel servizio divino che ridà dignità all’uomo e rende la vita davvero
desiderabile. L’insidia maggiore a questo sogno di Dio è la nostra paura, la
paura che Dio sia così esigente con noi da toglierci ogni illusione di riuscire
a compierlo. Non solo, ma la paura ci impedisce di condividere la gioia del
Signore. Quando Gesù, nell’ultima cena, affida ai discepoli i suoi segreti e li
invita a rimanere nel suo amore rivela che lo scopo del suo agire è la
condivisione della sua gioia (Cfr. Gv 15). E ci può
essere gioia nel Signore senza l’amore per i fratelli per i quali sono svelati
i suoi segreti?
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Pr
31,10-13.19-20.30-31
Dal libro dei Proverbi
Una donna
forte chi potrà trovarla?
Ben
superiore alle perle è il suo valore.
In lei
confida il cuore del marito
e non verrà
a mancargli il profitto.
Gli dà
felicità e non dispiacere
per tutti i
giorni della sua vita.
Si procura
lana e lino
e li lavora
volentieri con le mani.
Stende la
sua mano alla conocchia
e le sue
dita tengono il fuso.
Apre le sue
palme al misero,
stende la
mano al povero.
Illusorio è
il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna
che teme Dio è da lodare.
Siatele
riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue
opere la lodino alle porte della città.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 127
Beato chi teme il Signore.
Beato chi
teme il Signore
e cammina
nelle sue vie.
Della fatica
delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice
e avrai ogni bene.
La tua sposa
come vite feconda
nell’intimità
della tua casa;
i tuoi figli
come virgulti d’ulivo
intorno alla
tua mensa.
Ecco com’è
benedetto
l’uomo che
teme il Signore.
Ti benedica
il Signore da Sion.
Possa tu
vedere il bene di Gerusalemme
tutti i
giorni della tua vita!
Seconda Lettura
1Ts 5,1-6
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Tessalonicesi
Riguardo ai
tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti
sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la
gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà,
come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi,
fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come
un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non
apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo
dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.
Vangelo Mt 25,14-30
Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà
come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò
loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno,
secondo le capacità di ciascuno; poi partì. ]
Subito colui
che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri
cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel
terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
[ Dopo molto
tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò
colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo:
“Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri
cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato
fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo
padrone”. ]
Si presentò
poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato
due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele –
gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto;
prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò
infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che
sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai
sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra:
ecco ciò che è tuo”.
Il padrone
gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato
e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai
banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a
chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto
anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà
pianto e stridore di denti”».