Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
Ordinario
32a Domenica
(6 novembre
2011)
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Sap 6,12-16;
Sal 62; 1Ts 4,13-18; Mt 25,1-13
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L’anno
liturgico volge al termine e in queste ultime tre domeniche vengono proclamate
le tre parabole del cap. 25 di Matteo: la parabola delle dieci vergini, oggi,
quelle dei talenti e del giudizio finale nelle prossime domeniche. Tre immagini
di Dio: quella dello sposo, del padrone e del giudice, a fronte della vita
dell’uomo che si gioca nella profondità dei desideri, nell’esercizio di una
responsabilità e nella maturità di un frutto che diventa criterio di
discernimento dell’autenticità di una vita ben spesa.
L’atteggiamento
di fondo più eloquente per cogliere il senso profondo della parabola delle
dieci vergini è descritto dal salmo responsoriale: “Ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne … il tuo amore vale
più della vita”. La vita non è che la tensione al compimento di quello
struggente desiderio. Se la parabola invita alla vigilanza è perché l’anima può
perdersi dietro illusioni fascinose ma inconsistenti. La Sapienza, nella prima
lettura, proclama che facilmente è contemplata da chi l’ama. Il che significa
che la sapienza è connaturale al cuore dell’uomo, creato per godere di Dio. E
se l’uomo deve constatare che nel concreto non è per nulla facile trovare la
sapienza, a dispetto di quanto dice il libro della Sapienza, ciò significa che
il desiderio di lei, la vigilanza sul desiderio di lei è venuta meno. Questo la
parabola vuole scongiurare.
Il contesto
della possibile illusione è dato dal fatto che il Signore tarda, come già aveva
mostrato Matteo con la parabola dei servi che aspettano il ritorno del loro padrone
(cfr. Mt 24,45-51). Il regno di Dio non è immediato né evidente. Non riusciamo
più a cogliere l’immagine straordinaria del padrone che si mette a servire i
suoi servi (cfr. Lc 12,37); è la descrizione di Dio a servizio dell’uomo, servizio che in Gesù acquista tutto il
suo splendore. La vita nostra non è che attesa del Signore nel senso di poter
godere insieme del suo servizio che
costantemente invita tutti alla sua tavola. Noi non siamo più capaci di vedere
la vita in questo modo e così riusciamo anche a fare il nostro dovere, ma senza
aprirci al bene che fa splendere l’amore. La parabola, con l’olio per le
lampade, allude proprio a questo: un vivere la comunione con il Signore, che ci
ha amati e che continuamente ci cerca, nella condivisione dei sentimenti Suoi
verso i suoi figli, in solidarietà con l’umanità di tutti. L’immagine delle
nozze ne sottolinea l’intensità e l’intimità. Quello che nel linguaggio
quotidiano esprimiamo con: sto proprio bene con te!
Suona strano
che nella parabola si parli di nozze senza parlare della sposa, perché sono
nozze speciali, le nozze del Figlio dell’Uomo: con Lui l’umanità è ormai unita
a Dio. È l’evento più gioioso della storia che sbocca nella condivisione della
gioia di Dio stabilmente goduta nel suo regno, segno di quell’amore che ci ha
raggiunti e lievitati dal di dentro. Per questo la vita non può essere che un uscire incontro a. Le vergini escono
incontro allo sposo, come Abramo esce dalla sua terra, come Israele esce
dall’Egitto. È la vocazione della vita da viversi come un continuo uscire da per andare incontro a. Ciò significa che la vita non la si possiede, ma
la si riceve, continuamente. Ciò comporta la fatica di separarsi da qualcosa
per poter godere l’avventura sacra della vita.
L’immagine
dello sposo e delle vergini allude al mistero di intimità tra Dio e l’uomo,
unico motivo di storia seria per l’anima alle prese con i suoi desideri. La
divisione in due gruppi delle vergini allude alla doppia possibilità concessa
all’anima: a tale incontro ci si può predisporre con intelligenza o con stoltezza,
in modo conveniente o in modo sbadato. Matteo aveva già parlato di questa
doppia possibilità a proposito di chi costruisce la sua casa sulla roccia o
sulla sabbia (cfr. Mt 7,24-27).
La parabola
è raccontata come immagine di ciò che avverrà alla fine ma per mostrare ciò che
avviene quotidianamente nella nostra storia terrena in rapporto al desiderio
del cuore di godere pienezza perché è nella storia terrena che noi giochiamo il
desiderio del cielo. Non per nulla la punta della parabola è proprio la
vigilanza, vale a dire quell’attenzione del cuore a far convergere sul vero
obiettivo i desideri del cuore perché possano trovare pienezza. L’ammonizione
finale invita a stare pronti, da intendersi secondo l’immagine di predisporre
le lampade con l’olio, immagine che corrisponde all’altro invito di Gesù a far
splendere le nostre opere buone. Non semplicemente però nel fare le opere
buone, ma nel far sì che le nostre opere facciano splendere l’amore di Dio per
il mondo, che in Gesù, Sposo, si svela in tutta la sua bellezza. L’olio
corrisponde a quell’amore fraterno, frutto dell’agire dello Spirito e nello
Spirito, che san Paolo descrive nell’inno alla carità in 1Cor 13. Potremmo
fregiarci di altre grandezze o altri vanti rispetto agli uomini, ma davanti a
Dio non conterebbero nulla e ci farebbero restare con le lampade spente, con il
cuore vuoto.
Come molto
significativamente spiega Gregorio di Nissa che
paragona le vergini stolte alla pratica virtuosa che non porta i frutti dello
Spirito enumerati dall’apostolo in Gal 5,22-23:
« … nelle loro anime non c’era la luce, frutto della virtù, e nel loro
pensiero non c’era il lume dello Spirito. Giustamente quindi la Scrittura le ha
chiamate stolte: in loro la virtù si era spenta prima ancora che giungesse lo
Sposo, e per questo lo Sposo tenne fuori le misere dalla camera nuziale
celeste; fece bene a non prendere in considerazione il loro impegno nella
verginità, giacché non si faceva sentire in loro l’attività dello Spirito».
In primo
piano dunque non è l’impegno di una vita buona, ma il frutto di quell’impegno,
che corrisponde ai desideri del cuore, vale a dire la solidarietà con lo
Spirito del Signore, la possibilità di intimità con il Signore che per primo ci
ha amati e nel cui Volto il cuore desidera fissare gli sguardi. Come dice s.
Francesco di Assisi: “Avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”.
Se l’attesa è questa, tutta la vita sarà giocata nella vigilanza a che nulla e
nessuno possa impedire quello sguardo, a che nulla e nessuno possa separarci da
quell’amore, nonostante i sonni e gli addormentamenti che inevitabilmente ci
sorprenderanno.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Sap 6,12-16
Dal libro della Sapienza
La sapienza
è splendida e non sfiorisce,
facilmente
si lascia vedere da coloro che la amano
e si lascia
trovare da quelli che la cercano.
Nel farsi
conoscere previene coloro che la desiderano.
Chi si alza
di buon mattino per cercarla non si affaticherà,
la troverà
seduta alla sua porta.
Riflettere
su di lei, infatti, è intelligenza perfetta,
chi veglia a
causa sua sarà presto senza affanni;
poiché lei
stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei,
appare loro
benevola per le strade
e in ogni
progetto va loro incontro.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 62
Ha sete di te, Signore, l'anima mia.
O Dio, tu
sei il mio Dio,
dall’aurora
io ti cerco,
ha sete di
te l’anima mia,
desidera te
la mia carne
in terra
arida, assetata, senz’acqua.
Così nel
santuario ti ho contemplato,
guardando la
tua potenza e la tua gloria.
Poiché il
tuo amore vale più della vita,
le mie
labbra canteranno la tua lode.
Così ti
benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome
alzerò le mie mani.
Come saziato
dai cibi migliori,
con labbra
gioiose ti loderà la mia bocca.
Quando nel
mio letto di te mi ricordo
e penso a te
nelle veglie notturne,
a te che sei
stato il mio aiuto,
esulto di
gioia all’ombra delle tue ali.
Seconda Lettura
1Ts 4,13-18
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Tessalonicesi
[ Non
vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono
morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se
infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù,
radunerà con lui coloro che sono morti. ]
Sulla parola
del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in
vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono
morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono
della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in
Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti
insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per
sempre saremo con il Signore.
Confortatevi
dunque a vicenda con queste parole.
Vangelo Mt 25,1-13
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno
dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro
allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le
loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro
lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si
assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte
si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle
vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle
sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”.
Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate
piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre
quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano
pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono
anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma
egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate
dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».