Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
Ordinario
29a Domenica
(16 ottobre
2011)
_________________________________________________
Is 45,1.4-6;
Sal 95; 1Ts 1,1-5b; Mt 22,15-21
_________________________________________________
La vita di
Gesù volge al termine e i suoi avversari stanno cercando un pretesto per
riuscire a metterlo fuori gioco. Lo provocano sulla questione del tributo da
pagare all’occupante romano. Si tratta della tassa pro capite (in latino, census) che i romani esigevano da tutti gli abitanti
(uomini, donne e schiavi) di Giudea, Samaria e Idumea, dai 12/14 anni fino ai 65. La tassa versata
corrispondeva a un denaro d’argento, l’equivalente della paga giornaliera di un
operaio, pagata con una moneta speciale che portava l’immagine dell’imperatore
Tiberio (14-37 d.C.) con l’iscrizione: TIBERIUS CAESAR DIVI
AUGUSTI FILIUS AUGUSTUS PONTIFEX MAXIMUS (Tiberio Cesare, augusto figlio del
divino Augusto, sommo sacerdote).
Il tranello
consisteva nel costringere Gesù a prendere posizione pro o contro l’obbligo del
pagamento della tassa: se rispondeva a favore del pagamento, lo si poteva
accusare di antipatriottismo; se rispondeva contro, poteva essere accusato di
sedizione contro l’autorità costituita. Gesù, pur conoscendo la malizia della domanda,
risponde in verità.
Il senso
della sua risposta è illuminato dal canto al vangelo, tratto da un passo della
lettera ai Filippesi 2,15-16: “Risplendete come astri nel mondo, tenendo salda
la parola di vita”. I credenti in Cristo devono al mondo la luminosità
dell’annuncio evangelico, segnale di quella vita
eterna che Gesù ci partecipa con il suo amore perché conquisti tutti. Come
dicesse: la vita che vivete nel mondo è aperta alla gloria di Dio, le vostre
azioni devono restare aperte all’Eterno se non volete restare oppressi e
opprimere. Del resto, è caratteristico che nella tradizione ebraica il salmo
95, cantato dopo la lettura di Isaia che presenta un re pagano, Ciro, come il
servo di Dio mandato a consolare il suo popolo liberandolo dalla schiavitù di
Babilonia, sia tra i salmi recitati in famiglia per il ricevimento dello shabbat. Il
‘sabato’ ci si espone alla luce del Regno perché si possa percepire la presenza
del Signore in mezzo al suo popolo, cessando ogni altra attività. Il ‘riposo’
del sabato allude alla luminosità del Regno che attraversa la vita sebbene le
preoccupazioni mondane ce ne impediscono la percezione. L’invito a lodare il
Signore nella storia quotidiana, tanto da proclamare che cieli, terra, mare,
campagna, alberi, tutto gioisca nella lode del Signore (sal
95), è l’invito a vedere la luce del Regno. Come se il cuore, nella preghiera,
invocasse la fatica che prolunghi nel quotidiano la luce dello shabbat.
L’elogio che
viene tributato a Gesù (“Maestro,
sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai
soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno”) non risponde
solo alla cattiva intenzione dei suoi accusatori, ma esprime anche la
condizione per poter discernere l’eterno nel temporale. Diversamente, la storia
soffoca o temerariamente esalta, ma non si apre alla salvezza. Aprirsi alla
salvezza, alla fin fine, vuol dire sfuggire alla malizia del potere che vuole
tutti ‘soggetti’, senza sapere bene in nome di che cosa. L’aspetto
straordinario e straordinariamente potente della presa di posizione da parte di
Gesù è dato dal fatto che lui è proclamato come non soggetto a nessuno e
tuttavia, lui, di se stesso, si proclama sottomesso a tutti (pensiamo
all’immagine di lui che si cinge il grembiule e lava i piedi ai discepoli),
servo di tutti perché l’amore del Padre conquisti tutti. La libertà che gli è
attribuita gli deriva dalla perfetta comunione con il Padre, che vuole tutti
salvi e che lo abilita a vivere la vita nel servizio di questa straordinaria
provvidenza di amore per l’umanità. Quando Gesù dice di dare a Dio quello che è
di Dio allude proprio a quel Padre da cui lui proviene, che lui conosce, di cui
testimonia l’amore e di cui mette anche noi in condizione di essere in
comunione. Di qui scaturisce quella libertà che, non rendendoci soggetti alle
cose, è capace di aprire gli spazi adeguati perché gli eventi si schiudano
all’eternità, cioè a quella dimensione del vivere un amore nella storia perché
tutti si possa dire: “Grande è il Signore e degno di ogni lode”.
Rispetto al
“Rendete dunque a Cesare quello che è di
Cesare e a Dio quello che è di Dio” possiamo allora notare tre cose.
La prima:
Gesù riconosce la legittimità dell’autorità dello Stato, ma svincola il potere
da una legittimità autoreferenziale. Nell’antichità lo Stato si presentava come
fonte dei diritti e dei doveri in assoluto, compresa la sfera religiosa. Gesù
spezza l’alleanza tra religione e Stato che il paganesimo e l’impero esigevano.
La seconda:
non separa semplicemente Dio e lo Stato, ma riorienta
il temporale, la politica, alla dimensione spirituale che è costituita dal bene
delle persone; non solo, ma riaggancia la politica all’eterno nel senso che
nella storia è in gioco il compimento del piano divino di salvezza per l’uomo.
Come dice Giovanni Crisostomo: “Il precetto di dare a
Cesare quello che è di Cesare va inteso come riferito a quanto non si oppone al
servizio di Dio. Diversamente, non sarebbe più un tributo pagato a Cesare, ma
al demonio” (Omelia 70,2 su Matteo ).
La terza:
l’uomo è sopra il cittadino, il prossimo sopra il connazionale, la coscienza
sopra la norma, la persona sopra la collettività. Conseguenze che scaturiscono
dalla proclamazione: “Io sono il Signore e non c’è alcun altro” che abbiamo
letto nel profeta Isaia. Essere discepoli di Cristo significa prima di tutto
vedere la vita dal punto di vista di Dio: la possibilità di partecipare al dono
del suo Regno nella responsabilità della storia.
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 45,1.4-6
Dal libro del profeta Isaia
Dice il
Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho
preso per la destra,
per
abbattere davanti a lui le nazioni,
per
sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire
davanti a lui i battenti delle porte
e nessun
portone rimarrà chiuso.
Per amore di
Giacobbe, mio servo,
e d’Israele,
mio eletto,
io ti ho
chiamato per nome,
ti ho dato
un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il
Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me
non c’è dio;
ti renderò
pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché
sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è
nulla fuori di me.
Io sono il
Signore, non ce n’è altri».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 95
Grande è il Signore e degno di ogni
lode.
Cantate al
Signore un canto nuovo,
cantate al
Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo
alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i
popoli dite le sue meraviglie.
Grande è il
Signore e degno di ogni lode,
terribile
sopra tutti gli dèi.
Tutti gli
dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore
invece ha fatto i cieli.
Date al
Signore, o famiglie dei popoli,
date al
Signore gloria e potenza,
date al
Signore la gloria del suo nome.
Portate
offerte ed entrate nei suoi atri.
Prostratevi
al Signore nel suo atrio santo.
Tremi
davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le
genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica
i popoli con rettitudine.
Seconda Lettura
1Ts 1,1-5b
Dalla prima lettera di san Paolo
apostolo ai Tessalonicési.
Paolo e
Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è
in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace.
Rendiamo
sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e
tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della
vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù
Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.
Sappiamo
bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo,
infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con
la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.
Vangelo Mt 22, 15-21
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in
fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono
dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a
dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo
verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno.
Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù,
conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla
prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro.
Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli
risposero: «Di Cesare».
Allora disse
loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di
Dio».