Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
Ordinario
28a Domenica
(9 ottobre
2011)
_________________________________________________
Is 25,6-10a;
Sal 22; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14
_________________________________________________
La domanda di
fondo che emerge dalla liturgia di oggi potrebbe suonare: la dignità dell’uomo
su cosa si misura? Nella parabola, altamente drammatica anche per l’accenno
alla catastrofe subita da Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera dei Romani (“Allora il re si indignò: mandò le sue
truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città”),
il re sentenzia: “La festa di nozze è
pronta, ma gli invitati non erano degni”.
Le nozze
dell’Agnello (“sono giunte le nozze
dell’Agnello”, Ap 19,7) sono l’immolazione del
Figlio nella sua dimensione di compimento e vivibilità della comunione tra Dio
e gli uomini dentro lo splendore di un amore goduto. Perché il re proclama che
gli invitati non erano degni? Non ci sono condizioni previe da osservare; c’è
semplicemente il fatto di non aver accolto l’invito. L’indegnità corrisponde
dunque al rifiuto dell’invito del proprio Signore. L’uomo non è mai indegno
rispetto all’amore del Signore perché è il Signore che prende l’iniziativa di
rivolgergli il suo amore, senza condizioni. Ma l’uomo può sempre opporre le sue
ragioni, può ripararsi dietro la nobiltà ostentata delle sue ragioni e non
aderire.
La parabola
allude sia al possibile rifiuto di Israele come al possibile rifiuto della
Chiesa: gli invitati rinunciano, il commensale, che non porta la veste nuziale,
verrà estromesso dalla sala di nozze. Tra la vocazione gratuita e il giudizio escatologico, che appartiene solo
a Dio, sussiste lo spazio che possiamo chiamare della dignità cristiana. Sono
chiamati tutti, buoni e cattivi; non c’è alcuna distinzione rispetto
all’invito. Anzi, come prega la colletta: “O Padre, che inviti il mondo intero
alle nozze del tuo Figlio …”, la dignità dell’uomo si misura sul fatto di non
impedire a nessuno l’accesso all’invito: siamo chiamati tutti alla stessa
tavola del re. Quando però disprezziamo il nostro fratello, quando portiamo
rancore, quando creiamo distanza con i nostri fratelli, è come se impedissimo a
qualcuno di ricevere l’invito del re ad andare alla stessa tavola della vita.
Disprezziamo la volontà del padrone e noi non possiamo più goderla. E questo
avviene perché qualche ragione ‘nobile’ ci ha impedito di accogliere l’invito
del re, perché non abbiamo conosciuto la premura dell’amore di Dio per noi.
Il parallelo
con il brano di Isaia è illuminante. Il profeta descrive il lauto banchetto
imbandito sul monte Sion per tutte le genti. L’elezione di Israele è per
attirare tutte le genti all’amore del Signore, amore che il Signore farà
gustare a tutti. Nella visione del profeta tre sono gli aspetti che
caratterizzeranno la gioia della vita: la conoscenza del Signore invaderà i
cuori (‘il velo strappato), la morte non avrà più potere, ognuno godrà
personalmente (‘lacrime asciugate). Allora si dirà: “Ecco il nostro Dio”,
sottolineando nostro come espressione
di una esperienza goduta. Allorquando le nozze del Figlio saranno celebrate,
guardando a Colui che è stato trafitto, allora si potrà dire: “Ecco il nostro
Dio”, ecco dove l’amore ha condotto il nostro Dio, ecco l’amore che fa vivere
il nostro cuore. La visione di quell’amore non vale semplicemente per me, ma
per me se vale contemporaneamente per tutti. Così, non si tratta di credere
semplicemente al Figlio di Dio, ma di vedere il suo amore per noi che diventa
in noi radice di vita per tutti. Così custodiamo per tutti l’invito alla tavola
del re.
Quando il
salmo 22 riprende la visione di Isaia usa l’immagine del pastore che ci procura
ristoro. In realtà allude alla rivelazione di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò
ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e
umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è
dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,29-30). L’invito alle nozze corrisponde
al ‘venite’ di Gesù e per noi si traduce nell’andarci in compagnia di tutti i
nostri fratelli perché il suo desiderio di comunione con noi si compia nel suo
splendore.
Se ancora ci
perseguita l’idea di indegnità rispetto alla chiamata all’amore, allora valgono
le parole del canto di ingresso: “Se consideri le nostre colpe, Signore, chi
potrà resistere? Ma presso di te è il perdono, o Dio di Israele” (Sal 130,3-4). Il perdono di Dio corrisponde all’invito alla
sua stessa tavola in compagnia di tutti. Così sono custodite la preziosità
dell’invito e l’umiltà per l’invitato.
Come suggeriva il versetto dell’alleluia tratto dalla lettera agli
Efesini, il cui passo completo suona: “il
Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito
di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui; illumini
gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha
chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi …” (Ef 1,17-18). Possa davvero il nostro cuore aprirsi al dono
di speranza e di gloria che il Signore ha preparato per noi! Quello che il
passo dice ai nostri orecchi, l’icona della Trinità di Rublev
lo fa vedere ai nostri occhi: i tre angeli in dolce colloquio, uniti nell’amore
all’uomo per il quale il Padre celebra le nozze del Figlio e invita tutti,
nella forza dello Spirito, a partecipare alla sua gioia. Sulla mensa giace
l’Agnello immolato, simbolo e mistero di questo infinito amore che siamo tutti
invitati a gustare.
Alle nozze
del Figlio fa riscontro la nostra gioia, non la nostra perfezione. Ma la gioia
dice l’apertura del nostro cuore all’invito del Padre, nonostante la nostra
patente indegnità. In questo contesto suona strana la dichiarazione finale
della parabola: ‘molti sono chiamati, ma
pochi eletti’. Di tutta la moltitudine che riempiva la sala, solo uno è
stato trovato senza la veste appropriata! Se non è un invito alla speranza
questo, a fidarci dell’amore di Dio!!!
§^§^§
I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Is 25,6-10a
Dal libro del profeta Isaia
Preparerà il
Signore degli eserciti
per tutti i
popoli, su questo monte,
un banchetto
di grasse vivande,
un banchetto
di vini eccellenti,
di cibi
succulenti, di vini raffinati.
Egli
strapperà su questo monte
il velo che
copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre
distesa su tutte le nazioni.
Eliminerà la
morte per sempre.
Il Signore
Dio asciugherà le lacrime su ogni volto,
l’ignominia
del suo popolo
farà
scomparire da tutta la terra,
poiché il
Signore ha parlato.
E si dirà in
quel giorno: «Ecco il nostro Dio;
in lui
abbiamo sperato perché ci salvasse.
Questi è il
Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci,
esultiamo per la sua salvezza,
poiché la
mano del Signore si poserà su questo monte».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 22
Abiterò per sempre nella casa del
Signore.
Il Signore è
il mio pastore:
non manco di
nulla.
Su pascoli
erbosi mi fa riposare,
ad acque
tranquille mi conduce.
Rinfranca
l’anima mia.
Mi guida per
il giusto cammino
a motivo del
suo nome.
Anche se vado
per una valle oscura,
non temo
alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo
bastone e il tuo vincastro
mi danno
sicurezza.
Davanti a me
tu prepari una mensa
sotto gli
occhi dei miei nemici.
Ungi di olio
il mio capo;
il mio
calice trabocca.
Sì, bontà e
fedeltà mi saranno compagne
tutti i
giorni della mia vita,
abiterò
ancora nella casa del Signore
per lunghi
giorni.
Seconda Lettura
Fil 4,12-14.19-20
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Filippési.
Fratelli, so
vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e
per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto
posso in colui che mi dà la forza. Avete fatto bene tuttavia a prendere parte
alle mie tribolazioni.
Il mio Dio,
a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con
magnificenza, in Cristo Gesù.
Al Dio e
Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Vangelo Mt 22, 1-14
Dal vangelo secondo Matteo
[ In quel
tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai
farisei] e disse:
«Il regno
dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli
mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano
venire.
Mandò di
nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il
mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è
pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al
proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono
e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere
quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai
suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni;
andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli
alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che
trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. ]
Il re entrò
per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale.
Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello
ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo
fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti
sono chiamati, ma pochi eletti».